UNA BORSA IN PELLE DI BISCIONE - CON LE LARGHE INTESE, I TITOLI DELLE AZIENDE DI SILVIO HANNO INCASSATO TRA IL 60 E IL 100% - LA LOTTA TRA FRATELLI RIDISEGNERÀ L’IMPERO

Ettore Livini per "Affari & Finanza - la Repubblica"

Il Biscione allaccia le cinture di sicurezza in vista della doppia sfida della "prova dell'ex". Gli effetti collaterali della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore e dell'uscita dal governo di larghe intese di Forza Italia rischiano di portare di nuovo verso il "brutto tempo" il barometro di Arcore. F ino a una settimana fa la lancetta era fissa sul bello stabile: l'ex premier aveva sfruttato da par suo la golden-share dell'esecutivo di coalizione.

E la sua resurrezione politica alle elezioni di febbraio - una sorpresa non solo per il Pd ma anche per Piazza Affari - aveva messo le ali ai titoli Mediaset (+109% da allora) e di Mediolanum (+59%) facendo lievitare di 1,3 miliardi (oltre 5,2 milioni al giorno) il conto corrente di casa Berlusconi. Ora la festa è finita. L'ex-senatore ed ex-azionista di riferimento delle larghe intese ha traghettato Forza Italia all'opposizione.

Lasciando Cologno & C. esposte al vento di un governo, in linea teorica, più ostile, dove la delega a tutelare gli interessi patrimoniali del Cav. è stata affidata ad Angelino Alfano. Non solo. Il Cavaliere, causa sentenza Mediaset, è a tutti gli effetti un ex politico. E la partita per la sua successione alla guida del centrodestra potrebbe vedere scendere in campo la figlia Marina oppure - azzarda qualcuno - persino la giovane Barbara.

Risultato: il risiko del riassetto dei ruoli manageriali e azionari tra gli eredi di Arcore potrebbe riaprirsi prima del previsto, riportando anche a Villa San Martino, temono i pessimisti, quei venti di scissioni e di rottura che negli ultimi mesi hanno già reso amara la vita dell'ex premier a Roma.

I "vecchi saggi" del Biscione, non a caso, si stavano muovendo da tempo per evitare di arrivare a questo punto. Sia Fedele Confalonieri che Ennio Doris hanno lavorato nei mesi scorsi a fianco delle colombe per convincere Berlusconi a non tirar troppo la corda e garantire al paese - e di riflesso anche a Mediaset e dintorni - quella stabilità di cui entrambi hanno bisogno. Gli "animal spirits" del Caimano però alla fine hanno prevalso. E tanto Fidel come il patron di Mediolanum, come sempre, si sono adeguati alle sue scelte.

«Sono profondamente dispiaciuto per quanto hanno fatto a un uomo buono e generoso», ha detto Doris dopo il voto del Senato sulla decadenza, schierandosi a fianco del Cav. I numeri raccontano bene la sfida che attende nei prossimi mesi la Berlusconi Spa: nei quattro anni (2008/2011) di governo del suo socio di maggioranza, per dire, Mediaset ha messo assieme 1,3 miliardi di profitti. Salvo sprofondare per la prima volta in rosso (con un buco di 287 milioni) quando a Palazzo Chigi si è seduto Mario Monti. Un caso? Può darsi.

L'anno scorso non è stato facile per nessuno nel mondo dei media. Ma la rimonta in Borsa dei primi nove mesi del 2013 conferma come i destini del gruppo siano legati a doppio filo ai capricci della politica a Roma. Le tv di Cologno si presentano alla prova un po' più magre di un anno fa, ancora un po' alle corde ma con qualche motivo di ottimismo. Il boom di Piazza Affari è solo una faccia della medaglia.

L'altra è il buon andamento dei piano di tagli ai costi che pare aver riportato in linea di galleggiamento i conti. I primi nove mesi dell'anno sono ancora in rosso per 27 milioni. Ma 190 milioni di spese sforbiciati da settembre 2012, molti più del previsto, fanno ben sperare anche perché dopo quasi due anni neri sul fronte degli spot (il saldo da gennaio è ancora uno sconfortante -13,5 per cento) da un paio di mesi davanti alla raccolta pubblicitaria è apparso un timidissimo segno più. Certo la Mediaset di oggi è una versione ridotta di quella di soli tre anni fa.

Dal settembre 2010 ha perso quasi 600 milioni di ricavi (scesi a 2,4 miliardi) e bruciato 420 milioni di utili operativo. E l'audience media giornaliera dei canali di Arcore è crollata dal 37,7% al 32,1%. Che rischi corrono Canale 5 & C. con un governo senza Cavaliere? Il vero timore è quello di una riorganizzazione - se non una parziale privatizzazione della Rai o di una politica più aggressiva dei canali pubblici, reduci dall'epoca infausta di Raiset. Dietro le quinte però c'è la paura che Mediaset rischi di rimanere ai margini dei riassetti nel settore tlc e media che vedono protagoniste realtà su cui la politica esercita ancora una forte influenza.

Ei Towers, controllata di Cologno, potrebbe scendere in campo per acquistare le torri di Telecom. E Confalonieri marca a uomo anche le trattative sulla rete e sulla crescita di Telefonica nel capitale dell'ex monopolio delle tlc. Non fosse altro perché il Biscione è socio d'affari del gruppo di Cesar Alierta in Digital+ in Spagna, azienda in cui il gruppo italiano vorrebbe far crescere la sua quota. L'altra conseguenza potenziale dell'effetto-decadenza è quella legata agli equilibri di potere e di portafoglio tra i rampolli di casa Berlusconi.

Silvio, almeno sul fronte azionario, si è portato avanti da tempo. E ha diviso in parti uguali il capitale di Fininvest (7,6 per cento) tra i cinque figli, senza distinzioni tra primo e secondo letto. Tenendosi in tasca lui la maggioranza. Il vero nodo è quello dei ruoli manageriali. Marina e Piersilvio a trent'anni (anche prima) erano già saldamente al vertice di Fininvest, Mondadori e Mediaset.

Anche se affiancati - come tradizione del gruppo - dai fedelissimi di papà. A scalpitare ora è Barbara, la primogenita di Veronica Lario che da tempo si è distinta ad Arcore per il suo anti-conformismo: ha contestato la decisione (artefici i due fratelli maggiori) di non cedere le tv a Rupert Murdoch, si è candidata alla poltrona della Mondadori occupata da Marina, ha punzecchiato persino papà nella sua versione "papi" ricordando - ogni riferimento al Bunga Bunga è puramente casuale - «che il confine pubblico/privato non esiste nella vita di un politico». Barbara oggi ha 29 anni. E nell'organigramma del Biscione, malgrado le sue ambizioni, si è ritagliata solo un ruolo poco più che estetico nel Milan.

Qualche mese fa si è stufata. E, come tradizione, non l'ha mandato a dire. Si è riavvicinata al padre sul fronte politico, andando persino nell'arena di Ballarò (con ottimi risultati) per difenderlo. Ma l'ha messo in croce su quello societario. Rottamando Adriano Galliani, uno dei massimi esponenti del cerchio magico del Cavaliere, e facendo capire urbi et orbi che di star stretta anche nella stanza dei bottoni dei rossoneri. Le acque, insomma, sono già agitate.

E a trasformare il meteo in burrasca potrebbe essere proprio la sfida per il dopo-Silvio alla guida del centrodestra. I falchi di Forza Italia stanno da tempo tirando per la giacchetta Marina, offrendolo la guida del partito in caso di elezioni. Lei ha sempre formalmente respinto al mittente le avances («il mio posto è in azienda») ma nella sostanza ha mosso più di un passo in direzione Roma. Come in occasione del voto del Senato sulla decadenza, quando è uscita con un comunicato di condanna - «una leonessa», ha detto il papà - che sapeva più di manifesto politico che di sfogo filiale. Il trasloco di Marina a Palazzo Grazioli spalancherebbe le porte per l'Opa di Barbara su Fininvest.

Sistemando in linea teorica tutti i tasselli e riportando la pace ad Arcore (Eleonora, sua sorella minore, non pare orientata a lavorare nelle aziende di famiglia mentre Luigi si sta facendo le ossa in finanza con Doris). Ma il tam-tam di Villa San Martino batte anche un'altra voce mai confermata: quella di un possibile interesse di Barbara per la politica. Lei, laureata in filosofia con 110 e lode con una tesi su Amartya Sen, al tema è interessata. Ha stuzzicato il Cavaliere negli anni scorsi sostenendo di appreZZare Renzi.

E ora, per una sorta di nemesi storica, potrebbe essere la sua rivale alle prossime elezioni. Fantapolitica? Può darsi. Ma il Cavaliere ha abituato tutti alle sorprese.

 

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