IL BUONO, IL BRUTTO E IL CATTIVO: LA STORIA DEL “TRIO DELLE MERAVIGLIE” FELTRI-SALLUSTI-FARINA RACCONTATA DA UN EX DEL “GIORNALE” - CARRIERE INCROCIATE DA SEMPRE, FINCHE’ IL TERZETTO DIVENTA UN TUTT’UNO AL ‘’QUOTIDIANO NAZIONALE’’ E POI A “LIBERO”: SALLUSTI “UOMO MACCHINA”, FELTRI E FARINA A FIRMARE I PEZZI PIU’ IMPORTANTI - NEL 2006 FARINA VIENE RADIATO: E’ UNA SPIA DEI SERVIZI - VA IN PARLAMENTO MA CONTINUA A SCIVERE CON UNO PSEUDONIMO…

Michele Brambilla per "la Stampa"

Era da poco finito «Porta a porta» quando, secondo il racconto fatto poi da Luca Telese sul sito di «Pubblico», è scoppiata l'ira di Vittorio Feltri versus Renato Farina. «È la più grande delusione umana della mia vita», avrebbe detto Feltri, e questa sarebbe la frase più gentile nei confronti di Dreyfus. Eh già, perché questo è il motivo dell'ira di Feltri: Farina è il famigerato Dreyfus. Perché non si è autodenunciato? Perché non ha detto di essere lui l'autore del pezzo che manda in galera un altro? Solo ieri mattina, alla Camera, ha confessato. «Troppo tardi, infame», gli ha scritto Enrico Mentana su Twitter.

Eppure s'erano tanto amati, Feltri, Farina e Sallusti. Un trio che ha scritto una pagina importante nel giornalismo degli ultimi anni. Hanno avuto successo e sono stati discussi. Molto discussi. Sono stati amati e detestati: anche nel centrodestra, nel quale non tutti si riconoscono nel loro modo di fare giornalismo.

Un trio che all'inizio era una coppia. Millenovecentonovantaquattro. Vittorio Feltri è appena diventato direttore del «Giornale» al posto di Indro Montanelli. Imprime al quotidiano di via Negri uno stile molto più aggressivo: troppo, secondo molti, ma le vendite raddoppiano. Renato Farina è invece orfano del «Sabato», settimanale di Cl che proprio in quel tempo chiude i battenti. Feltri, che di fiuto ne ha, lo assume.

Dapprima come redattore ordinario. Poi lo fa inviato. Perché diciamo che Feltri ha avuto fiuto? Perché Renato Farina è un narratore straordinario: qualità di scrittura sopraffina, grande capacità di osservazione. È anche ambizioso (come tutti) e a un certo punto la casacca da inviato gli sta stretta. Chiede a Feltri di farlo vicedirettore. E Feltri prima cerca di dissuaderlo («Guarda che nei giornali o fai il direttore o fai l'inviato, il resto è merda»), poi lo accontenta.

Quando Feltri lascia il «Giornale», le strade dei due si dividono per un po', per poi ricongiungersi nel 1999, a Bologna: Feltri diventa direttore del «Quotidiano Nazionale» e si porta appresso Farina. Ed è qui che entra in scena Alessandro Sallusti. Chi è Sallusti? Da dove viene?

Enfant prodige, a ventisei anni è già direttore di un quotidiano della sua città, Como, che si chiama «L'Ordine». Poi è caporedattore ad «Avvenire». Quindi un breve passaggio al «Giornale» di Montanelli. Un mese agli esteri. Racconta divertito di una gaffe con il grande Indro. Una mattina, al termine della riunione di redazione, Montanelli dice: «Sono stanco, vado a casa», e si dirige verso l'attaccapanni per prendere l'impermeabile. Sallusti glielo porge pensando di fargli una cortesia ma Montanelli lo gela: «Ho detto stanco, non vecchio».

Dopo il «Giornale», Sallusti va al «Messaggero», dove diventa in breve il pupillo del direttore, Mario Pendinelli, che lo fa caporedattore. A Roma si apre la prospettiva di una carriera luminosa. Ma Sallusti ama le pazzie e così accetta di andare a Milano, al «Corriere della Sera», dimezzandosi lo stipendio, come redattore ordinario. Via Solferino è per tutti quelli che fanno questo mestiere un mito che val bene un mezzo stipendio, perfino per un manibucate come lui («Io spendo la metà di quel che guadagno - scherzava spesso Feltri -, ma Sallusti spende il doppio»).

E poi lui, grande lavoratore, ci mette poco a diventare il pupillo di un altro direttore: Paolo Mieli. Da cronista vince l'ambito Premiolino con un'inchiesta su un quartiere degradato. Poi diventa caporedattore all'ufficio centrale e ha un ruolo importante, nel 1994, nella pubblicazione della notizia dell'invito a comparire per Berlusconi. Quindi diventa capocronista. Se ne va per fare il vicedirettore del «Gazzettino»; quindi il direttore de «La Provincia» di Como. Fino, appunto, al 1999, quando va al QN con Feltri e Farina.

È da quel momento che i tre diventano un tutt'uno. Ciascuno con il proprio carisma: Farina grande penna, Sallusti grande organizzatore, e Feltri è Feltri. A Bologna però dura poco. Feltri se ne va perché ha in mente di fondare un quotidiano tutto suo: «Libero». È il 2000 e i tre studiano insieme la formula giusta. Riunioni, colloqui per le assunzioni, ricerca di finanziatori, numeri zero. Sempre insieme. Quando è il momento di partire, però, Sallusti esita. Va a «Panorama» a fare il vicedirettore. Così, si torna alla coppia Feltri-Farina.

Ma Sallusti cambia idea dopo pochi mesi e va anche lui a «Libero», a riformare il terzetto. Che funziona in questo modo: Sallusti dietro le quinte a far da allenatore, Feltri e Farina a firmare gli articoli più importanti. Per tutti, «Libero» è il giornale di Feltri e Farina, non di Sallusti. Finché nel 2006 - chi scrive allora era a «Libero», dov'è rimasto sei mesi come vicedirettore - si scopre la sciagurata seconda vita di Farina. È un informatore dei Servizi segreti.

L'Ordine dei giornalisti in questi casi non perdona e lo radia. Mentre «Libero» rischia grosso, Feltri cerca anche di salvare, più che il giornalista Farina ormai irrecuperabile, l'uomo Farina. Sa che senza scrivere Renato è mezzo morto. Si studia una soluzione e si decide di farlo scrivere sotto pseudonimo: Farina sceglie Dreyfus e scrive, anche se soffre perché non ha più la firma, altra ragione di vita per chi fa il nostro mestiere. L'Ordine dei giornalisti, che non è fesso, capisce il trucco e Sallusti, che di «Libero» è direttore responsabile, si becca pure un procedimento disciplinare perché fa lavorare un radiato. Ma il motto: è tutti per uno, uno per tutti.

Non può durare, però. E infatti non dura. Farina finisce a fare il deputato, e così il trio torna a essere una coppia; che però, questa volta, è Feltri-Sallusti. Una coppia con qualche momento di crisi, ma che resiste fino a prendere la guida, nel 2009, del «Giornale». Il resto è storia recente. Farina non c'è più, ma resta sullo sfondo.

Fino a scatenare l'ira appunto del suo ex nume tutelare, che gli rimprovera di non aver detto prima di essere Dreyfus: nom de plume oggi paradossale, perché Dreyfus era un innocente condannato, mentre lui è un colpevole nemmeno processato. Forse Farina ha pensato di avere già pagato troppo: una radiazione è un ergastolo. Ora comunque nei guai c'è Sallusti. Di andare in galera non gliene frega niente. Ma perdere il «Giornale» gli sarà durissima.

 

REDAZIONE DI LIBERO alessandro-sallusti-condannatoalessandro sallusti farina renato jpegalessandro sallusti RENATO FARINA vittorio feltri daniela santanche VITTORIO FELTRI

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