qanon trump

COMP-LOTTA CONTINUA - COSA C'È DIETRO IL DELIRIO DI QANON E DEGLI ESTREMISTI DI DESTRA RESPONSABILI DELL'ASSALTO DI WASHINGTON? UNA LUNGA STORIA CHE COMPRENDE IL NUOVO KU KLUX KLAN, L'ALT-RIGHT E FIGURE COME STEVE BANNON - INTANTO LE MILIZIE ATTACCANO IL PRESIDENTE TRUMP: "CI HA ABBANDONATI IN BATTAGLIA, MA IL NOSTRO MOVIMENTO È PIÙ GRANDE DI LUI"...

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1 - NON SOLO QANON: ALLE RADICI DEL DELIRIO COMPLOTTISTA DIETRO L’ASSALTO A WASHINGTON

Sandro Modeo per www.corriere.it

 

una donna di qanon in texas

Come ha scritto giustamente Erin Vanderhoof su Vanity Fair, le immagini di Capitol Hill sono «deeply unsetting» («profondamente inquietanti»), ma «not entirely surprising», non davvero sorprendenti. E questo non solo perché Capitol Hill è stata in due secoli teatro di tensioni e scontri di ogni ordine e grado; anche se, per vedere sequenze di portata simile, bisogna risalire all’estate 1814, quando, nel corso della «guerra civile» anglo-americana, le truppe inglesi bruciano l’edificio governativo di Washington D.C., trasformato — solo dopo l’incendio e la successiva ritinteggiatura — in Casa Bianca.

 

QANON

La relativa mancanza di sorpresa è dovuta soprattutto al fatto che le immagini di Capitol Hill sono la foce o il delta inevitabile di un corso dal flusso ben preciso; di una concatenazione (o almeno correlazione) di sequenze fattuali e ideologiche riconducibile a sorgenti piuttosto remote. Sono quelle sequenze a portare a QAnon, il movimento complottista filo-trumpiano alla base dei fatti del Congresso, e alle sue caratteristiche-base: l’allarme su un movimento «satanico» trans-nazionale antiamericano, di lontane ascendenze giudaico-massoniche (le stesse che, in QAnon, caratterizzano l’establishment anti-trumpiano, da Obama a Hillary Clinton); la necessità di un «Grande Risveglio» evangelico che apra gli occhi alle masse; un set ideologico che mescola all’anticomunismo e al nazionalismo ferito vari gradi di razzismo, suprematismo bianco e antisemitismo.

 

DONALD TRUMP E QANON

Semplificando, potremmo dividere quel corso — quel fiume — in cinque tratti (foce o delta compresi):

1. L’antefatto: l’eclissi della rappresentanza

2. La rabbia degli anni Novanta

3. Dall’offline all’online: Bannon e gli altri influencer

4. Ritratto di QAnon: cos’è, e come è nato il movimento

5. L’assalto al Congresso e la non-fine del «trumpismo»

 

donald trump qanon

1. L’antefatto: Richard Hofstadter e l’eclissi della rappresentanza

Si potrebbe, addirittura, risalire ai ghiacciai che alimentano la fonte del fiume. Su tutti, il legame delle classi dirigenti americane col nazismo (esempi arcinoti: Henry Ford o la General Motors): legame non solo economico-commerciale, ma di empatia ideologico-politica, se una parte consistente di quell’establishment (ma anche del «popolo» americano) riteneva di combattere la guerra contro il «nemico sbagliato». E non si tratterebbe, sia chiaro, di una venatura laterale, dato che l’ombra lunga di un Quarto Reich millenaristico inteso come «dimensione parallela» ha permeato tutto l’immaginario americano del dopoguerra, dai fumetti Marvel ai capolavori della science-fiction (su tutti The Man in High Castle di Philip K. Dick, in italiano La svastica sul sole, in cui i nazisti hanno vinto la guerra e invaso gli States, poi ripreso dal Philip Roth di Plot Against America) su su fino alla recente fiction-Netflix The Hunters, con Al Pacino. Forse, però, il punto migliore da cui partire non è il cripto-filonazismo di una parte — più o meno consistente — della società americana, ma il suo rovescio simmetrico, l’anticomunismo, ingrediente essenziale di una visione post-bellica fondata solo in parte sul bipolarismo della Guerra Fredda e concentrata, com’è noto, nel periodo e nella «visione» maccartista (dal nome del senatore Mc Carthy, protagonista di un’accanita «caccia alle streghe» contro gli infiltrati «rossi» non solo nell’esercito o nelle istituzioni, ma anche in ambienti culturali come il cinema hollywoodiano).

 

donald trump e qanon 8

Quindi il miglior punto da cui partire è forse un saggetto di Richard Hofstadter del 1964, The Paranoid Style in American Politics, di appena due anni successivo al capolavoro letterario di Dick. Dalla vita beve ma intensa (Buffalo 1916- New York 1970), Hofstadter è un classico immigrato «borghese e istruito»: genitori di origine tedesca (padre ebreo, madre «luterana»), segue una rigorosa formazione storica e filosofico-sociologica prima di spartire la carriera tra versante accademico (cattedra di Storia americana alla Columbia) e giornalistico-letterario, quest’ultimo culminato in un doppio Pulitzer, nel ’56 per The Age of Reform e sempre nel ’64 per il celeberrimo Anti-Intellectualism in American Life. Iscritto da giovane proprio al Partito Comunista, Hofstadter diventa via via un liberal indipendente e insofferente a ogni deformazione ideologica, vicino al disincanto radicale di un Isaiah Berlin.

 

qanon 2

Il pretesto del saggetto sul «paranoid style» è la candidatura in quell’anno — la prima volta a livelli presidenziali — di un estremista di destra come Barry Goldwater (Arizona); ma lo sviluppo di tesi e implicazioni va molto oltre. Sulla scorza, infatti, il pamphlet psicosociale di Hofstadter cerca di registrare esempi di «paranoia» traendoli da serbatoi della realtà circostante, come quelli «dell’armamentario della John Birch Society»: l’opposizione al contenimento del commercio delle armi in nome del contrasto al «governo mondiale comunista» o quella all’aggiunta di fluoro all’acqua potabile per non ratificare «un progresso del socialismo sotto le mentite spoglie della salute pubblica».

 

donald trump e qanon 3

Nella polpa, però, Hofstadter ricollega queste stimmate del maccartismo a una visione complottista ben più estesa e stratificata, tale da contenere tutti, ma proprio tutti i tratti che ritroveremo in QAnon.

 

Come ricorda Fabrizio Tonello— uno degli studiosi italiani più acuti della storia e dell’antropologia americane —, il libretto di Hofstadter presenta almeno altri due pregi. Il primo è quello di capire come la tentazione millenarista-cospirazionista non sia un’esclusiva delle destre, ma coinvolga certe frange liberal e molta sinistra: vedi la lettura macchiettistica dello stesso Quarto Reich su suolo yankee. Il secondo (il più importante in assoluto e il più carico di premonizione) consiste nella capacità di capire prima di giudicare: di focalizzare come lo schema «noi contro loro» rappresenti, specie nelle fasi di crisi economico-sociale, l’extrema ratio abbracciata da vaste masse di «esclusi»; da quelle aree di popolazione «tagliate fuori dalla contrattazione politica» e dalla «formazione di decisioni». Questa «eclissi della rappresentanza» per il «popolo» (non solo americano) è l’origine e la chiave di tutto; processo oggettivo, ma con un carico fatale di ambiguità e distorsioni.

 

donald trump e qanon 1

2. L’innesco offline: la «rabbia» degli anni ‘90

Esce nel 1998 in America — in Italia verrà tradotto solo 4 anni dopo, all’indomani dell’11 settembre — un libro straordinario dello scrittore Joel Dyer, Harvest of Rage (Raccolti di rabbia), il cui asse portante consiste proprio nel dimostrare come le tante «teorie del complotto» alla base delle rivendicazioni avanzate in quel decennio dalla cosiddetta «destra rurale» rappresentino risposte devianti agli effetti obiettivamente devastanti della transizione politico-economica in corso.

 

donald trump e qanon 2

Il libro di Dyer si concentra soprattutto sugli Stati del Sud, ma abbraccia anche vaste aree del Midwest (specie il cosiddetto «Corn Belt», l’area di coltivazione del mais), tutte zone colpite in cui il progressivo oligopolio delle corporation agroalimentari (in 4 detengono l’80% del mercato) portano in 20 anni — dall’inizio degli ’80 alla fine dei ’90 — alla chiusura di quasi un milione di aziende familiari medie e piccole.

 

L’esito è un impoverimento di massa che vede accompagnarsi al collasso economico quello socioassistenziale, coi drastici tagli sanitari che lasciano immense estensioni prive di ospedali in mezza America; e la crisi di reddito vira presto in crisi psicosociale e identitaria, con vaste fasce di popolazione che precipitano in quell’ampio range di reazioni «disadattative» costitutive di ogni alienazione: alcolismo, depressione, aumento delle violenze domestiche, suicidio.

 

donald trump e qanon 5

Fino a quando, dopo una lenta rielaborazione, lo «schema» descritto da Hofstadter trova nuova linfa. E qui— al fondersi del disagio socioeconomico con un quadro di deriva sottoculturale quando non di neoanalfabetismo funzionale e affettivo — si compie la tempesta perfetta.

 

Le ingiustizie oggettive a livello di gestione politico-economica (in cui i liberal non sono meno colpevoli dei Repubblicani, anzi) non vengono ricondotte alle disfunzioni che le originano (per esempio a una legge Antitrust perennemente inapplicata): o meglio, quelle disfunzioni vengono ricondotte a loro volta proprio alle categorie archetipiche individuate da Hofstadter, cioè a un «Satana» federale e internazionale composito, in cui confluiscono «giudei, negri, omosessuali e Illuminati». Per contrastare l’«Armageddon incombente», nascono così movimenti cristiano-evangelici come i Patriots (nome che anticipa gli epiteti di queste ore) o sette «separatiste» che fondono KKK (Ku Klux Klan) e neonazismo, creandosi propri microeserciti e propri tribunali, il cui compito è quello di punire giudici e poliziotti «ingiusti» o «complici» del Sistema.

 

donald trump e qanon 4

Sbaglierebbe però chi limitasse quel movimentismo complottista alla sola dimensione rurale, come mostra un altro libro-chiave di quegli anni, il denso In Bad Company del criminologo Mark Hamm, che analizza la risorgenza neonazi nei contesti urbani. In particolare, Hamm dedica una lunga zoomata all’ARA, l’Esercito della Repubblica Ariana (quartier generale a Columbus, Ohio) decrittandone ogni aspetto: l’eterogeneità della milizia (che recluta reduci del Vietnam come skinheads); l’intricato mix tra high e low tipico di molte culture di destra (Rudolph Hess, Jung, Jim Morrison); e la complessa psicopatologia dei suoi leader, come il fondatore (e figlio di un funzionario Cia) Peter Langan (transgender passato per una durissima esperienza carceraria) o come Mark Thomas, un paranoico sosia di Hitler.

 

donald trump e qanon 6

E soprattutto, dopo aver ricordato le 22 rapine bancarie della setta, ne dimostra il coinvolgimento nella strage di Oklahoma City (19 aprile ’95, 168 morti), dato che tra le sue file milita l’esecutore materiale Timothy Mc Veigh, ex veterano della prima guerra del Golfo. Per una sintesi e un’interpretazione complessiva del complottismo di destra nell’America degli anni ’90, si può ricorrere di nuovo a Tonello, in particolare a un testo (Da Saigon a Oklahoma City, Limina) che completa bene il quadro dei deficit politico-istituzionali.

 

donald trump e qanon 7

Perché se i Democratici — con la loro miopia e sordità — hanno contribuito a incubare il «mostro», quelli Repubblicani ne hanno sempre fatto un uso strumentale a livello «centrale» e locale, in una sorta di quadratura del cerchio tra destra affaristica e plebea: vedi Reagan che cerca consenso con un cocktail di spiritualismo, antiabortismo e millenarismo; l’ex Gran Maestro del KKK David Duke che sfiora il soglio di governatore della Louisiana; e lo speaker della Camera Newt Gingrich che condanna pubblicamente le violenze di militanti cui lui stesso ha indicato i bersagli.

 

qanon 1

Trump porterà questo schema al diapason: ma prima ci vorrà un altro passaggio decisivo.

 

3. Dall’offline all’online: Steve Bannon e gli altri influencer

Il substrato «ideologico-culturale» del trumpismo, com’è noto, è stato alimentato da figure a lungo macchiettizzate (e sottovalutate) sia dalle classi intellettuali che dall’opinione pubblica: vedi i casi di Alex (Emerick) Jones, conduttore radiofonico che fonda nel ‘99 il sito InfoWars, volano di ogni teoria complottista, dalle più triviali (il mai avvenuto allunaggio; il nesso tra vaccini e autismo) alle più fantasmagoriche e pericolose (la strage di Sandy Hook del 2012 «inscenata» da Obama per ledere la lobby delle armi); di Milo Yannopoulos, il bad boy inglese (di origine greco-irlandese) ex-redattore capo di Breitbart News e campione del «politicamente scorretto» a 360 gradi, che plana negli Usa nel 2016 per sostenere la campagna di «The Donald»; e, naturalmente, Stephen K. (Steve) Bannon.

 

qanon 4

Posto a Trump come l’intellettuale russo Alexandr Dugin, un po’ abusivamente, a Putin, in una simmetria o specularità quasi inquietante (fondata, alla base, su una comune visione apocalittico-palingenetica, tra minaccia di fine del mondo e Resurrezione dell’Occidente purificato o della Stella Nera eurasiatica), Bannon ha un pensiero filosofico più contorto che complesso, come succede sempre nei cortocircuiti che cercano di ammantare di dignità intellettuale il vuoto dell’anti-intellettualismo.

 

qanon 5

Quel pensiero, come quello di Dugin, è infatti in realtà liofilizzabile in poche categorie logore, ben note agli studiosi della «cultura di destra», a cominciare dal rimpianto Furio Jesi: il richiamo a concetti e lessico mitico-simbolici da impiegarsi — siano sacri o pagani — rigorosamente con la maiuscola (Tradizione, Radici, Razza, Patria, Sacrificio, Mistero); il mix (o insalata russa) di residui ideologici e teorici estremisti serviti in salsa post-ideologica, anche in forma chimerica (il fascio-socialismo o il nazi-leninismo) da opporsi alla «zona grigia» dell’establishment; l’ambivalenza-ambiguità tra realtà e fiction e tra cultura alta e bassa, con Bannon che declina il suo «Darkness is Good» citando Dick Cheney (lo spietato vicepresidente di Bush II), il Dart Fener di Star Wars e Satana stesso.

 

qanon 1

Questo pacchetto, servito proprio dalla piattaforma web di Breitbart News (fondata nel 2005 da un giornalista «conservative» scomparso nel 2012 ad appena 43 anni) diventa presto «la» voce dell’Alt(ernative) o della Far Right; di una destra che altro non è, per certi versi, che la sintesi e l’evoluzione delle destre americane degli ultimi 60 anni, dal maccartismo ai Patriots cristiani degli anni’90.

 

Da lì, il maggior influencer politico degli ultimi anni si rivela uno dei vettori decisivi nell’ascesa di Trump e (soprattutto) del trumpismo; nel convincere l’«America profonda» — delusa comunque da Obama — a scuotersi dall’inerzia qualunquista e dall’assenteismo elettorale dell’antipolitica; a delegare a «The Donald», se non la speranza, almeno l’illusione di vedere finalmente rappresentate le proprie ragioni. Ma «The Donald», dopo essersene servito, se ne sbarazza in tempi brevi: prima lo rimuove dal CSN (a poco più di 2 mesi dall’inserimento), quindi, (il 18 agosto del 2017) gli toglie anche l’incarico di «capo stratega» della Casa Bianca, restituendolo a Breitbart News. Il sostegno ideologico deve mutare: come in una staffetta, l’exit di Bannon lascia spazio a un nuovo attore, anzi auna mente-alveare, a una Rete più partecipativa e proattiva. Il disagio di quell’America deve potersi dilatare e trasfigurare in delirio.

 

steve bannon e donald trump

4. QAnon

QAnon esordisce ufficialmente nell’ ottobre 2017, quando — sotto quella lettera — una «talpa» anonima comincia a rivelare sulla piattaforma 4chan i tratti di un «piano segreto» con cui una sorta di «Deep State» parallelo starebbe tentando di rovesciare la presidenza Trump.

 

Mai c’è stata continuità-contiguità più profonda rispetto al paesaggio descritto da Hofstadter. Abbiamo già visto all’inizio come questa cyber-versione della paranoia politica degli anni ’50 e ’60 ne riprendesse molti tratti; e a cornice di tutto, non si può non vedere nell’oggetto della paura di quell’America («l’esistenza di una vasta e insidiosa rete internazionale, di efficacia sovrannaturale, forgiata con lo scopo di perpetrare le azioni più diaboliche») la miglior descrizione possibile del «Deep State».

 

steve bannon

Diversi sono gli enigmi destinati a restare tali in QAnon.

 

La stessa lettera-sigla, che si riferisce alla Q-clearance (il presunto livello massimo di autorizzazione all’accesso di fonti top-secret nel governo americano, in realtà in uso solo al dipartimento dell’energia) e che qualcuno (gli stessi scrittori) riconduce all’ambiguo personaggio-ombra della narrazione post-postmoderna del «collettivo» bolognese Luther Blissett, poderoso racconto storico e plurimetaforico che ricostruendo le guerre di religione cinquecentesche condensa nella Controriforma l’archetipo di ogni repressione anti-utopista. O, va da sé, l’identità della talpa (delle talpe), collegata a decine di entità individuali e collettive, dai boss della piattaforma 8Chan, succeduta a 4 Chan (il proprietario Jim Watkins e l’amministratore, il figlio Ron) a un ufficiale dell’intelligence militare, da un insider dell’Amministrazione Trump a Trump stesso.

 

manifestante vs guardia nazionale

In fondo, poco importa.

 

Conta solo che la Q — legata all’Anon di Anonymous — sia diventata in breve la sigla del più vasto movimento complottista globale.

 

Speziandosi, va da sé, di varianti locali: il QAnon italiano, dopo aver appoggiato il presunto filo-trumpismo di Conte, vira in fretta su Salvini. La continuità-continuità con lo schema di Hofstadter non può dissolvere però le specificità di QAnon, consistenti non tanto nelle venature del delirio (il «Deep State» sarebbe pervaso e guidato da una rete di pedofili, ovviamente satanisti), quanto nei tratti cyber.

 

stop the steal le truppe trumpiane senza mascherina al congresso

Permeato da codici, memi e hastagh degli «affiliati» e nutrito da un imaginario metaforico-metafisico insieme classico e contemporaneo (dal bianconiglio di Alice alla «pillola rossa» di Matrix, simbolo della rivelazione di una sotto-realtà criptata ai «dormienti»), QAnon somiglia a un infinito videogame, in cui «indizi e cornici» contino più delle certezze e la narrazione-confabulazione in sé, anche in senso psichiatrico, più di una conclusione sempre prorogabile.

 

Non a caso, si nutre di profezie vaghe, alla Nostradamus: e siccome non si avverano (quasi) mai (vedi l’ondata mondiale di arresti — The Storm — con cui Trump avrebbe dovuto preparare l’insediarsi del revenant John Kennedy jr.) vengono rimpiazzate con altre.

 

supporter di trump assaltano il congresso usa 1

5. La convergenza tra online e offline: anche QAnon scende in campo

A pochi mesi dalla sua occupazione della Rete, QAnon comincia a trasferirsi nella dimensione offline: alcuni suoi affiliati a far coincidere il proprio avatar col proprio corpo, punteggiando con la loro presenza, qua e là, «la società americana». Più o meno dal giugno 2018 (e per tutto il 2019), si susseguono episodi a macchia.

 

A veri o sedicenti aderenti a QAnon vengono ricondotti nell’ordine: l’incidente della diga di Hoover, Nevada, con un certo Phillips che la blocca per un’ora con un blindato perché incaricato da QAnon «di costringere il Dipartimento di Giustizia a pubblicare il rapporto dell’FBI sulle mail di Hillary Clinton quand’era segretaria di Stato»; le minacce al legale Michael Avenatti, difensore dell’attrice Stormy Daniels in una causa contro Trump; le minacce alla cronista CNN Jim Acosta, circondata da un gruppo di QAnonisti a Tampa, Florida.

 

un poliziotto aiuta una supporter di trum p

E altri dello stesso tenore si registrano nel 2020, fino a poco prima del confronto elettorale. Tra i tanti: la bandiera col simbolo di QAnon impiantata da John Mappin (affiliato anche all’associazione filo-trumpiana Turning Point) fuori dall’Hotel Camelot Castle vicino al castello di Tintagel in Inghilterra; l’arresto di Jessica Prim, armata fino ai denti e intenzionata «a eliminare Joe Biden»; quello di Cecelia Celeste Fulbright a Waco, Texas (luogo evocativo: lì nell’aprile ’93 c’è il massacro della setta dei davidiani da parte dell’FBI), colta in stato di ebbrezza dopo aver speronato un’auto il cui autista era a suo dire «un pedofilo che aveva rapito una ragazza per traffico di esseri umani».

 

Nel mezzo (marzo 2019), l’episodio più eccentrico: l’omicidio di Frank Cali, legato alla famiglia criminale Gambino da parte di Anthony Comelio (Staten Island), fanatico di QAnon convinto di agire guidato e protetto da Trump e che Cali fosse membro del «Deep State».

 

supporter di trump assaltano il congresso usa

Intanto, il movimento inizia una simultanea penetrazione nelle istituzioni: diversi candidati repubblicani al Congresso esprimono «interesse» e «simpatia» per QAnon (sono almeno 15 all’agosto 2020); in quello stesso mese, il Partito Repubblicano del Texas sceglie un nuovo slogan QAnonista («We are the storm»), cercando poi di venderlo puerilmente per citazione biblica; e nel settembre successivo il democratico Tom Malinowski riceve da QAnon minacce di morte per aver presentato al Congresso una risoluzione bipartisan (col repubblicano Denver Riggleman) di condanna del movimento.

 

un poliziotto si fa un selfie con i supporter di trump

Il resto è cronaca di questi mesi e giorni, tesa a fissarsi subito in Storia.

 

In un primo momento, l’appoggio incondizionato di QAnon ai lamenti trumpiani sul carattere «fraudolento» del voto (con decine di teorie deliranti, come quella sulle macchine della Dominion Voting Systems alterate ad arte per sottrarre milioni di voti al Messia); poi, l’epifania di Capitol Hill, dove — va da sé — QAnon è solo la venatura principale di un «Dark Carnival» che viene da lontano, lungo tutto il percorso che abbiamo seguito.

 

manifestanti pro trump alla city hall di los angeles

Quella folla chiazzata di bandiere sudiste e effigi di Batman, suprematisti bianchi anziani e adolescenti (come quelli delle milizie dei Boogaloo e dei Proud Boys) è la convergenza spaziotemporale di tutte le folle di «esclusi» e «complottisti» di questi decenni: e non sembra un caso che Trump definisca gli stessi Proud Boys «Patriots», proprio come il vasto movimento cristiano-evangelico delle «campagne rabbiose» degli anni ’90.

 

È una convergenza che invita a un paio di considerazioni urgenti, quasi brutali.

 

La prima è sulle ragioni e sui limiti dell’«America profonda».

 

proteste in mississipi

È vero, quell’America continua a restare poco ascoltata nelle sue richieste economiche e sociali. A leggere, per esempio, la potente narrativa di Chris Offutt (su un Kentucky che nell’ultimo trentennio sembra congelato nel suo mix di «alcol e fucili, rabbia e rassegnazione») è impossibile non sintonizzarsi con quell’umanità disperata e abbandonata, e si potrebbe essere tentati di giustificarne il ricorso a Trump — in senso fideistico o pragmatico — come all’unico salvagente nella tempesta. Ma è solo il primo strato di una valutazione «realistica». Intanto, Trump stesso ha mantenuto solo in parte le sue promesse massimaliste: se da un lato ha elargito all’agroalimentare 25 miliardi di sussidi (più 3 per acquistare le merci invendute causa COVID-19) tutto questo non ha minimamente compensato — come hanno denunciato tanti agricoltori — il crollo dei prezzi dovuto alle contro-sanzioni nella «guerra dei dazi» con la Cina. E poi lo sguardo va allargato, collocando la crisi dell’America rurale nel contesto della transizione economico-produttiva generale.

 

Non c’è dubbio — lo denunciava già Dyer 20 anni fa, come s’è visto— che la politica avrebbe dovuto e dovrebbe intervenire in modo più incisivo (vedi un antitrust effettivo), ma molto del crash occupazionale dipende all’introduzione di un bio-tech (ogm in testa) che ha determinato drastici miglioramenti nella produttività e nella tutela ambientale.

 

manifestazioni pro trump in texas

La seconda considerazione è ancora più pressante, e anche in questo caso viene in aiuto uno scritto di Hofstadter, il già citato Anti-Intellectualism in American Life. La spaccatura — più sfumata, ma ancora marcata — tra «America profonda» e establishment — in estrema sintesi: il sud e il Midwest rurale e gli operai senza rappresentanza contro la borghesia urbana e i college delle coste — somiglia, più che a una guerra «tra» culture (lo stesso QAnon, nonostante i suoi pochi riferimenti letterari o pop, è un monumento all’antiintellettualismo) a una guerra «alla» cultura, mossa da una parte del Paese a un’altra.

 

capitol hill

E in quanto tale, riattualizza prepotentemente una domanda posta già da uno dei Padri Fondatori del Paese, Thomas Jefferson, quando si chiedeva — riferendosi alla democrazia — se «il popolo nel nome del quale nasceva quell’esperimento politico» sarebbe stato all’altezza «nel gestirne le conquiste».

 

Lo snodo, come si vede facilmente, non è solo americano, ma globale, se quella spaccatura — quella «guerra alla cultura», spesso combattuta indossando le maschere del nazionalismo-sovranismo — è estesa ormai a molti Paesi.

 

In questo senso, la fine (?) di Trump non può coincidere con quella del trumpismo, qualunque forma o nome dovesse assumere il mix di interessi e valori cui l’ismo si riferisce; e in questo senso, Capitol Hill non è una foce o un delta, ma solo il segno di un altro tratto, di un’ansa, lungo un fiume destinato a scorrere ancora a lungo.

 

 

2 - TRUMP, LA RABBIA DELL’ESTREMA DESTRA: «IL PRESIDENTE CI HA ABBANDONATI IN BATTAGLIA»

Viviana Mazza per www.corriere.it

 

assalto al congresso meme3

«Ha appena detto che i patrioti che hanno preso il Campidoglio la pagheranno. Smettetela di pensare che tutto dipenda lui. Dipende da TE, da me, da tutti noi in questo Paese e con le nostre libertà. Non fate le pecore. Pensate con la vostra testa. Trump ha appiccato il fuoco e poi se n’è andato, lasciandoci a gestire i resti carbonizzati». Sono passate poche ore dal video in cui Donald Trump si dice «indignato per la violenza, l’illegalità e il caos» dell’assalto al Congresso. Sul social che ha accolto l’estrema destra, Parler, il leader dei Proud Boys Enrique Tarrio dà voce alla delusione di molti: Trump li ha abbandonati nel mezzo di una battaglia che lui stesso li aveva incitati a combattere. «Non potrei essere più d’accordo. Quando la situazione si è fatta seria, ci ha mandati a casa. Non ha declassificato documenti, appena ha vinto ha rinunciato ad arrestare Hillary Clinton. Salviamo Dio e il Paese!», gli fa eco l’utente PatriotParty24. Anche sul forum 4chan, tanti si sentono traditi: «Wow, è un pugno nello stomaco»; «Sono sotto shock. Mi sento svuotato».

 

assalto al congresso usa

Dove c’è rabbia c’è rissa. Uno se la prende con Tarrio perché non ha partecipato di persona all’assalto, essendo stato arrestato lunedì scorso e poi bandito da Washington: «Vaffanculo, hai fatto in modo di farti arrestare per una sciocchezza così da avere una scusa per non essere con noi a fare il tuo dovere patriottico. Sei scappato con la coda tra le gambe! Nessun ordine del tribunale avrebbe impedito a me di esserci. Non sei un patriota, sei un codardo». C’è poi chi è ancora al primo stadio del lutto: il diniego. Circola la teoria che il video del pentimento di Trump sia un falso oppure che abbia solo preso tempo. «Ti sbagli, non è finita per Trump, Qualcosa di grosso sta per accadere. Il male non prevarrà».

 

federali al congresso dopo l assalto dei supporter di trump

Siti della destra come Breitbart e Daily Caller scelgono una copertura cauta, forse condizionati dalla fetta del partito che ora incolpa Trump non solo per l’assalto al Congresso ma anche per la sconfitta elettorale. C’è poi la linea del deputato della Florida Matt Gaetz o dell’ex candidata alla vicepresidenza Sarah Palin: ripetere che l’assalto sarebbe stato in realtà compiuto da attivisti di Antifa travestiti. Ma queste tesi fanno infuriare alcuni dei veri rivoltosi che sono orgogliosi e convinti di aver condotto un’impresa eroica: «Fa male vedere gente dare ad Antifa la gloria».

 

assalto al congresso meme 2

Arriva il tweet del senatore texano Ted Cruz: fino a poche ore prima ha osteggiato la conferma della vittoria di Joe Biden, dopo la morte del poliziotto ferito nella sommossa parla di «attacco terroristico». Su Parler questa «indignazione ipocrita» viene accolta con disprezzo: «Non abbiamo fatto niente di peggio rispetto a Black Lives Matter», commenta il collettivo che gestisce il profilo Murder the Media (uccidi i media).

 

Il loro mondo si è capovolto. La destra è quella che risponde «Blue Lives Matter» (blu come le divise degli agenti) agli slogan di Black Lives Matter. «Una cosa che ho capito durante l’assalto al Congresso —racconta su Twitter Elijah Shaffer, reporter conservatore diThe Blaze che era sul posto — è che c’è una crescita esponenziale del risentimento verso la polizia nella destra conservatrice, dovuta anche al fatto che in questi mesi gli agenti hanno applicato i lockdown anti-Covid. Strano vedere le cose capovolgersi». Ricercati dalle autorità, timorosi di essere inseriti in una no-fly list, licenziati o sospesi al lavoro (sta succedendo anche questo), ora i rivoltosi rischiano 10 anni di carcere per vandalismo o distruzione di monumenti e statue, a causa di un ordine esecutivo approvato in estate proprio dal loro presidente durante le manifestazioni di Black Lives Matter.

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DAGOREPORT - LE RESURREZIONI DI “LAZZARO” SANGIULIANO NON SI CONTANO PIÙ: “BOCCIATO” DA MINISTRO, RIACCIUFFATO IN RAI E SPEDITO A PARIGI, ORA SBUCA COME CAPOLISTA ALLE REGIONALI CAMPANE - ESSÌ: DIVERSAMENTE DAGLI IRRICONOSCENTI SINISTRATI, A DESTRA LA FEDELTÀ NON HA SCADENZA E GLI AMICI NON SI DIMENTICANO MAI - DURANTE I TRE ANNI A PALAZZO CHIGI, IL “GOVERNO DEL MERITO COME ASCENSORE SOCIALE” (COPY MELONI) HA PIAZZATO UNA MAREA DI EX DEPUTATI, DIRIGENTI LOCALI, TROMBATI E RICICLATI NEI CDA DELLE AZIENDE CONTROLLATE DALLO STATO - COME POTEVA LA STATISTA DELLA GARBATELLA DIMENTICARE SANGIULIANO, IMMARCESCIBILE DIRETTORE DEL TG2 AL SERVIZIO DELLA FIAMMA? IL FUTURO “GENNY DELON” ‘’ERA SALITO TALMENTE TANTO NELLE GRAZIE DELLA FUTURA PREMIER DA ESSERE CHIAMATO A SCRIVERE PARTE DEL PROGRAMMA DEI MELONIANI, INVITATO A CONVENTION DI PARTITO E, ALLA FINE, RICOMPENSATO ADDIRITTURA CON UN POSTO DI GOVERNO’’ - E’ COSÌ A DESTRA: NESSUNA PIETÀ PER CHI TRADISCE, MASSIMO PRONTO SOCCORSO PER CHI FINISCE NEL CONO D’OMBRA DEL POTERE PERDUTO, DOVE I TELEFONINI TACCIONO E GLI INVITI SCOMPAIONO… - VIDEO

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DAGOREPORT – DOBBIAMO RICONOSCERLO: GIORGIA MELONI HA GESTITO IN MANIERA ABILISSIMA IL CASO DELL'ATTENTATO A RANUCCI, METTENDO ANCORA UNA VOLTA IN RISALTO L'INETTITUDINE POLITICA DI ELLY SCHLEIN - GETTARE INDIRETTAMENTE LA RESPONSABILITA' DELL'ATTO TERRORISTICO ALLA DESTRA DI GOVERNO, COME HA FATTO LA SEGRETARIA DEL PD, È STATA UNA CAZZATA DA KAMIKAZE, ESSENDO ORMAI LAMPANTE CHE LE BOMBE SONO RICONDUCIBILI AL SOTTOMONDO ROMANO DEL NARCOTRAFFICO ALBANESE, OGGETTO DI UN'INCHIESTA DI "REPORT" - E QUELLA VOLPONA DELLA PREMIER HA RIBALTATO AL VOLO LA FRITTATA A SUO VANTAGGIO: HA CHIAMATO RANUCCI PER MANIFESTARGLI SOLIDARIETÀ E, ANCORA PIÙ IMPORTANTE, HA INVIATO TRE AUTOREVOLI ESPONENTI DI FRATELLI D’ITALIA (TRA CUI, BIGNAMI E DONZELLI) ALLA MANIFESTAZIONE INDETTA DAL M5S PER RANUCCI E LA LIBERTÀ DI STAMPA - DOPO L’ATTENTATO, NESSUNO PARLA PIÙ DI UN POSSIBILE PASSAGGIO DI "REPORT" A LA7: SIGFRIDO, ORA, È INTOCCABILE… - VIDEO

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DAGOREPORT - TAJANI, UNA NE PENSA, CENTO NE SBAGLIA. IL SEGRETARIO DI FORZA ITALIA CI HA MESSO 24 ORE AD ACCORGERSI CHE GIORGIA MELONI HA STRACCIATO UNO DEI SUOI CAVALLI DI BATTAGLIA IN EUROPA: IL SUPERAMENTO DEL DIRITTO DI VETO. IL MINISTRO DEGLI ESTERI È RIUSCITO A PARTORIRE SOLO UNA DICHIARAZIONE AL SEMOLINO (“HA DETTO LA SUA OPINIONE, IO PENSO INVECE CHE SI DEBBA FARE QUALCHE PASSO IN AVANTI”), MENTRE È STATO ZITTO DI FRONTE ALLE INVETTIVE ANTI-RIARMO E CONTRO L’UE DEI PARLAMENTARI LEGHISTI. IL POVERINO È ANCORA STORDITO DALLA PROMESSA, SCRITTA SULLA SABBIA, CON CUI L'HA INTORTATO LA DUCETTA: SE FAI IL BRAVO, NEL 2029 TI ISSIAMO AL QUIRINALE AL POSTO DI MATTARELLA (E CI CREDE DAVVERO) – IN TUTTO QUESTO BAILAMME, TAJANI PROVA A METTERE LE MANI SULLA CONSOB CON UNA MOSSA DA ELEFANTE IN CRISTALLERIA: NOMINARE IL DEPUTATO AZZURRO MAURIZIO CASASCO. MA SI È DIMENTICATO DI COORDINARSI CON LA FAMIGLIA BERLUSCONI, CHE NON L’HA PRESA BENE…

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DAGOREPORT – TRUMP HA FINALMENTE CAPITO CHE NON POTEVA PERMETTERSI, COME È SUCCESSO A FERRAGOSTO IN ALASKA, DI FARSI PRENDERE DI NUOVO PER CULO IN MONDOVISIONE DA PUTIN - L’INCONTRO DI BUDAPEST NON POTEVA ASSOLUTAMENTE FINIRE CON UN NUOVO FALLIMENTO, MA DI FRONTE AL NIET DI MOSCA A OGNI COMPROMESSO, HA DOVUTO RINUNCIARE – ORA CI SONO DUE STRATEGIE: O RIEMPIE KIEV DI TOMAHAWK, MISSILI IN GRADO DI COLPIRE IN PROFONDITÀ LA RUSSIA, OPPURE SCEGLIE LA STRADA MORBIDA CHE VERRÀ LANCIATA DOMANI DAL CONSIGLIO EUROPEO (L’INVIO A KIEV DI 25 BATTERIE DI MISSILI PATRIOT) – L’INNER CIRCLE “MAGA” LO PRESSA: “L’UCRAINA? LASCIA CHE SE NE OCCUPI L’UE” –  IN USA MONTA L’ONDATA DI SDEGNO PER LA SALA DA BALLO ALLA CASA BIANCA - LA STRIGLIATA A NETANYAHU DEL TRIO VANCE-WITKOFF-KUSHNER… - VIDEO

niaf francesco rocca daniela santanche arianna meloni claudia conte zampolli peronaci

DAGOREPORT: METTI UNA SERA A CENA…I FRATELLI D’AMERICA! -SEMBRAVA DI ESSERE IN UN FILM DEI VANZINA AL GRAN GALA DEL NIAF, 2180 INVITATI, 218 TAVOLI DA 150MILA DOLLARI OGNUNO, OCCUPATI DAI BOSS DELLE PARTECIPATE DI "PA-FAZZO CHIGI" (DONNARUMMA, CATTANEO, FOLGIERO, ETC.), JOHN ELKANN CHE HA TRASFORMATO IL GIARDINO DELL'AMBASCIATA IN UN AUTOSALONE (TRA MASERATI E FERRARI, TRONEGGIAVA UN TRATTORE!), FINANZIERI VARI E DE LAURENTIIS, IL GOVERNATORE ROCCA E SANTANCHÉ - CAUSA SHUTDOWN DEL GOVERNO USA, NON C'ERA ALCUN TIRAPIEDI DI TRUMP: DELUSI COLORO CHE SOGNAVANO, ATTRAVERSANDO L'ATLANTICO, DI BANCHETTARE CON SUA MAESTÀ "THE DONALD" E LA SUA "RAGAZZA PONPON" GIORGIA MELONI - QUELLI DEL NIAF HANNO "COPERTO" IL BUCO DELLE AUGUSTE PRESENZE INVITANDO ARIANNA MELONI, UNICO SEGRETARIO POLITICO PRESENTE, CHE HA COSÌ RICEVUTO IL SUO BATTESIMO NELL'AGONE INTERNAZIONALE - NON POTEVA MANCARE L’ONNIPRESENTE CLAUDIA CONTE CHE SI È FATTA RITRARRE INSIEME ALL’AMBASCIATORE PERONACI, GIA’ CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI PIANTEDOSI, E A QUEL MARPIONE DI PAOLO ZAMPOLLI, INVIATO SPECIALE DI TRUMP - LA PASTA SCOTTA E L’ESIBIZIONE DEL PREZZEMOLONE BOCELLI - VIDEO

matteo salvini alberto stefani luca zaia

DAGOREPORT - LUCA ZAIA MINACCIAVA DI DIVENTARE UN SERIO “PROBLEMA” PER MATTEO SALVINI E FORSE LO SARÀ: NON POTENDO IL “DOGE”, PER ORDINE DI SALVINI IN COMBUTTA CON MELONI, GUIDARE UNA LISTA A SUO NOME, UNA VOLTA SBATTUTO A CAPOLISTA IL SUO ENTUSIASMO POTREBBE SCEMARE E LA LEGA IN VENETO CORRE IL RISCHIO DI UN SORPASSO DI FRATELLI D'ITALIA - EVENTUALITA' CHE METTEREBBE DI NUOVO IN DISCUSSIONE LA LEADERSHIP DEL "CAPITONE" - I RAS LOCALI HANNO CRITICATO PER ANNI SALVINI, SENZA MAI AVERE IL CORAGGIO DI SFIDUCIARLO. QUESTA VOLTA, TRA UN VANNACCI CHE SI PRENDE I PIENI POTERI NEL PARTITO E I MALUMORI PER LA "CESSIONE" DELLA LOMBARDIA A FDI, UN FLOP IN VENETO POTREBBE ESSERE LA GOCCIA CHE FA TRABOCCARE IL VASO - SE SALVINI NON RIDE IN VENETO, ELLY SCHLEIN POTREBBE PIANGERE IN CAMPANIA: IL GRILLONZO ROBERTO FICO NON ENTUSIASMA E FA INCAZZARE DE LUCA CON LE SUE LEZIONCINE ETICHE SUI CANDIDATI. TANT'E' CHE TRA I FEDELISSIMI DI DON VICIENZO È PARTITO IL FUGGI FUGGI VERSO LE SIRENE DELLA DESTRA DI POTERE...