CASELLI CONTRO TUTTI - IL MAGISTRATO SCRIVE UN LIBRO DA PARTIGIANO DELLA GIUSTIZIA CONTRO LA POLITICA - ROMPE CON VIOLANTE: “PER LUI I PM DOVREBBERO ESSERE LEONI COI POVERACCI E BENEVOLI CON CHI PIÙ CONTA” - POI SE LA PRENDE ANCHE CON ORLANDO DEL PD, CHE HA PUBBLICATO IL SUO PROGRAMMA SUL “FOGLIO” DI FERRARA: “ORMAI IL BERLUSCONISMO HA FATTO BRECCIA ANCHE NELL’OPPOSIZIONE” - TACCIATO PRIMA DI ESSERE UN FASCISTA E POI UN COMUNISTA, ADESSO LO CHIAMANO MAFIOSO PER LE SUE INDAGINI SUI DISORDINI IN VAL DI SUSA…

Giovanni Bianconi per "Corriere della Sera"

Un tempo venivano dipinti a braccetto, l'uno che sosteneva l'altro nel presunto tentativo di trasformare l'Italia per via giudiziaria. Luciano Violante e Gian Carlo Caselli, il politico e il magistrato, alla testa del cosiddetto «partito dei giudici». Passati vent'anni o poco meno, dominati dalla presenza sulla scena di Silvio Berlusconi e dai suoi virulenti attacchi alla magistratura, quell'immagine non esiste più.

Al punto che oggi Caselli può scrivere: «Il berlusconismo è qualcosa che va al di là del suo inventore e più volte sembra aver fatto breccia anche tra le fila di chi avrebbe dovuto opporvisi. L'opposizione, anche quando è stata al governo, in tema di giustizia è spesso stata molto timida, fragile, affascinata da ipotesi di omologazione più che impegnata in un'autentica contrapposizione dialettica, fino ad appiattirsi su alcuni slogan tipici dell'avversario. Ed è un'attitudine contagiosa, se si pensa che persino Luciano Violante, in un suo libro, ha teorizzato che i magistrati dovrebbero essere sì "leoni", ma tranquilli sotto il "trono" del potere politico. Vale a dire leoni coi poveracci e benevoli con chi più conta».

Immaginaria o reale che fosse l'unione tra i due, la separazione sembra insanabile. Forse la sintesi che Caselli fa del pensiero di Violante è eccessiva e non piacerà all'ex magistrato ed ex presidente della Camera, tuttora esponente di spicco del Partito democratico, ma è il compendio di una rottura che appare difficile da ricomporre. E sembra definitiva l'evaporazione di un'ipotetica sponda politica, se Caselli se la prende pure con l'attuale responsabile giustizia del Pd, Andrea Orlando, che ha scelto di pubblicare il suo programma sul «Foglio» diretto da Giuliano Ferrara, «consigliere autorevole e spregiudicato del signor B.». Alias Berlusconi.

Gian Carlo Caselli è un magistrato culturalmente piantato a sinistra, che in quarant'anni ha attraversato le bufere del terrorismo, della mafia e della corruzione, passando dal Csm e dalla direzione delle carceri. Un bel pezzo della storia giudiziaria e politica d'Italia. E giunto alla fase finale della sua carriera, nel suo libro "Assalto alla giustizia" (Melampo, pp. 154, 16) mette in guardia dai rischi di una nuova emergenza.

Che si manifesta non attraverso la commissione di reati bensì con l'insofferenza del potere, di qualsiasi colore, al controllo di legalità. Ne deriva un conflitto permanente tra politica e giustizia che in realtà è unilaterale, aizzato dalla politica contro la giustizia. Un assalto, appunto, secondo il procuratore di Torino che ha combattuto le Br e Cosa nostra (e non rinnega, ma anzi rivendica il termine «lotta» contro questi fenomeni) e perciò fu tacciato prima di essere un fascista, poi un comunista e infine mafioso («mi mancava, ed è accaduto di recente, sui muri della città»), a causa delle indagini sui disordini in val di Susa.

La ragione dell'attacco, ricostruisce Caselli, è nell'impegno che i magistrati hanno assunto dagli anni Settanta in poi, di obbedire alla Costituzione in maniera non più simbolica, come quando erano molto più ossequiosi rispetto al potere politico, ma dinamica, andando a individuare non solo i doveri, ma anche i diritti violati dei cittadini: «Se mai esiste un periodo storico in cui la magistratura italiana si è emancipata con successo dalla politica, è proprio la nostra epoca». Dai cosiddetti «pretori d'assalto» a Mani pulite, passando per le inchieste sulle collusioni tra mafie e rappresentanti delle istituzioni.

Il fastidio verso le toghe davvero indipendenti ha scatenato una resa dei conti che s'è concretizzata con i progetti di riforma e controriforma targati Berlusconi, ma non solo. Perché l'insofferenza, denuncia il procuratore, va al di là degli interessi personali dell'ex presidente del Consiglio e delle nostalgiche inclinazioni del suo schieramento politico. Le correzioni per far funzionare la macchina giudiziaria in perenne affanno dovrebbero essere altre, e Caselli ne indica alcune, quasi tutte «a costo zero». Basterebbe volerle, ma alla politica non conviene. Preferisce perpetuare il paradosso della «inefficienza efficiente», che torna sempre utile: «Perché se la giustizia non funziona, sarà più facile attaccare i giudici».

 

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