IL SUICIDIO DELLA CENSURA - ENNESIMA FIGURACCIA DELL’ITALIA NON BIGOTTA MA CON LA GOTTA AL CERVELLO: IL CARTOON “LA BOTTEGA DEI SUICIDI”, VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI - ROBA CHE NEANCHE TINTO BRASS SE L’È BECCATA, PER UN CARTONE CHE RACCONTA UNA STORIA IN STILE TIM BURTON CON TANTO DI ROMANTICO LIETO FINE - ADDIRITTURA IL MIBAC SI È OPPOSTO: IL FILM SARÀ RIESAMINATO E C’È DA SCOMMETTERE CHE LA CENSURA SARÀ TOLTA…

Michele Anselmi per "il Secolo XIX"

Non ci si può credere. Un cartone animato francese, "La bottega dei suicidi", firmato da Patrice Leconte, regista di gran bei film come "Il marito della parrucchiera" e "Ridicule", è stato vietato ai minori di 18 anni. Succede solo in Italia. È la "pensata" della VI Commissione di censura, anzi, come recita la legge del 1962 con antiquato eufemismo, "di revisione cinematografica". Assente il critico Boris Sollazzo, che si dissocia ad alta voce, la decisione è stata presa a maggioranza, martedì sera, dal presidente Pierilio Sammarco e dai colleghi Alessandra Devoto, Massimo Capoleoni, Egidio Bernava, Monica Dal Sasso e Lucio Giuseppe Di Gianni.

Proprio ieri mattina, mercoledì, il film è stato mostrato ai giornalisti, e nessuno, nella sala stracolma della romana Casa del cinema, poteva lontanamente immaginare che di lì a poco la distributrice Videa avrebbe diffuso la notizia del massimo divieto, annunciando ricorso. Il film dovrebbe uscire venerdì nella capitale e il 28 su tutto il territorio nazionale. Adesso che succederà?

Se Leconte ironizza sulla censura italica, dicendo che «a due giorni dalla fine del mondo questo divieto ridicolo è una beffa insensata», il distributore Sandro Parenzo è furibondo. «Il ricorso? Mi è passata la voglia. Abbiamo fatto su questo film delizioso, di un autore affermato, un investimento notevole, a questo punto lo ritiro. Una roba bestiale, lo faremo uscire in Svizzera e quando sarà il momento in home video». Magari cambierà idea.

Ammoniscono i censori, nel motivare la scelta, per molti versi senza precedenti: «Il tema del suicidio è trattato con estrema leggerezza e facilità di esecuzione, come se fosse un atto ordinario o un servizio da vendere al dettaglio, creando il pericolo concreto di atti emulativi da parte di un pubblico più giovane, quali gli adolescenti che attraversano un'età critica». E ancora. «Per di più la rappresentazione sottoforma di cartone animato costituisce un veicolo che agevola presso il pubblico più giovane la penetrazione di tale messaggio pericoloso».

Siamo al ridicolo, bisogna tornare con la memoria agli anni Settanta, ai due cartoon su "Fritz il Gatto" vietati a causa del sesso e del linguaggio sboccato, per trovare qualcosa del genere. Il film di Leconte è uscito dappertutto senza divieti e problemi: in Francia, Russia, Belgio, Olanda. Insomma anche in Paesi dove vige una notevole cura nella difesa dei minori. Al festival di Cannes 2012, "La bottega dei suicidi" fu presentato addirittura nella sezione "Écrans Juniors", dedicata ai temi dell'infanzia. Da noi, invece, magari per via del Natale incipiente, il film s'è beccato il divieto più severo e mortificante, quello che nemmeno ai più recenti porno-soft "d'autore" di Tinto Brass veniva più attribuito.

Si può capire la sorpresa al Mibac, il ministero ai Beni culturali che pure coordina il lavoro delle otto commissioni di censura. Il direttore per il cinema Nicola Borrelli fa sapere al "Secolo XIX": «Abbiamo già organizzato l'appello per domani (oggi per chi legge, ndr). È sempre la stessa triste storia: la revisione cinematografica è un residuato del secolo precedente, bisogna intervenire».

In pratica, i componenti delle Commissioni I e VIII vedranno stamattina il film "incriminato" e decideranno sul da farsi in riunione congiunta. L'esperienza insegna che l'appello va quasi sempre a buon fine. Nel senso che probabilmente "La bottega dei suicidi" diventerà per tutti o al massimo sarà vietato ai minori di 14 anni. Sarebbe meglio per tutti: perché davvero, pure assumendo il punto di vista delle associazioni genitoriali, non si capisce la ragione di tanta miopia punitiva.

"La bottega dei suicidi", tratto dal romanzo di Jean Teulé "Le magasin des suicides", racconta in maniera palesemente ironica e provocatoria una storia di suicidi, ribaltandone completamente il significato. Come? Attraverso l'esasperazione degli elementi macabri e cupi, un po' alla Tim Burton di "Nightmare Before Christmas", trasmettendo un messaggio di ottimismo e gioia di vivere come unici antidoti possibili alla crisi socio-economica che sta funestando tanta parte dell'Europa odierna, Italia inclusa.

In effetti non ha torto la Videa quando sottolinea «il trattamento ingiustificato e penalizzante manifestato dalla censura nei confronti di un film che, malgrado il titolo e l'ambientazione noir, rappresenta un inno alla vita e alla felicità». Conferma il regista francese: «Il messaggio che volevo suggerire è positivo. Diciamo che la vita è bella e va affrontata con la giusta dose di umorismo».

La bottega dei suicidi in questione è un negozio, nel cuore di una metropoli ingrigita e oppressa dal cemento, gestito dai signori Tuvache: il padre si chiama Mishima, come il poeta giapponese che fece harakiri, la madre Lucrece, come Lucrezia Borgia esperta in veleni. All'insegna del motto «Se la tua vita è un fallimento, fai della tua morte un successo», i due bottegai si sono arricchiti vendendo articoli di ogni tipo utili a farla finita. Il via vai di clienti è frenetico, la depressione è diffusa, a causa della malasorte tutti pensano alla morte.

Finché il pargolo Alan, cresciuto col sorriso perenne sulle labbra, "vittima" di una contagiosa "joie de vivre", non riuscirà a convertire genitori, fratelli e clienti a un'esistenza più lieta, colorando il quartiere e trasformando la mesta bottega di morte in un'allegra pasticceria specializzata in "crêpe" al cioccolato. Lo strillo di lancio? «Dulcis in fundo, perché i vecchi clienti non si sentano spaesati».

La commedia è riuscita a metà, l'animazione fatica a competere con i modelli americani, le canzoni non sono travolgenti: «Contro la crisi e il carovita, scegli una dolce dipartita, prendi il coraggio fra le dita. Canta con noi: viva il suicidio!» recita un verso. Però vietarla ai minori di 18 anni è una scemenza ancora prima che una cantonata alla quale porre rimedio. Come è successo, nel recente passato, con "17 ragazze", "Gli sfiorati", "Quando la notte" o "Il cigno nero": prima vietati ai minori di 14 anni e poi derubricati, cioè resi per tutti.

 

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