amato prodi andreatta centri studi

LA FINE DI UNA CLASSE DIRIGENTE ALL'ALTEZZA E' INIZIATA CON LA CHIUSURA DEI GRANDI UFFICI STUDI DI UNA VOLTA - ORA CI SI AFFIDA ALLE SOCIETA' DI CONSULENZA ISTITUZIONALMENTE ANONIME (NON SI CAPISCE MAI CHI VI SIA DIETRO OGNI DOCUMENTO) - LA CONSEGUENZA? NELLA SCRITTURA DEI LORO REPORT, NON CI METTONO LA FACCIA E FANNO CIRCOLARE TESTI NON IMPUTABILI A NESSUNO, QUINDI IRRESPONSABILI - QUELLE FIGURE INTERMEDIE TRA TECNICO E POLITICO

Giuseppe De Rita per "l'Economia - Corriere della Sera"

 

giuseppe de rita

Ora che si sono attenuate, o spente, le polemiche sul ruolo delle grandi società di consulenza nella redazione della parte italiana dell'European Recovery plan, si può e si deve tornare con calma sui problemi, seri e irrisolti, che stanno sotto tali polemiche. E lo si deve fare sperabilmente fuori dalle miserie circolate in merito: le denunce indignate dei possibili gravi conflitti d'interesse e le maldestre risposte sul superamento o meno della dovuta soglia contrattuale (quando tutti conoscono le collaborazioni, talvolta milionarie, fra poteri pubblici e grandi società di servizi professionali).

 

L'argomento non può scadere in polemiche di parte, anzi merita un approccio che tenga conto del delicatissimo rapporto che si crea fra la dimensione tecnica e la dimensione politica in ogni testo di programmazione di lungo termine, che per necessità ha bisogno di due diverse competenze: da un lato, il padroneggiamento culturale dei fenomeni e dei processi economici che si vogliono risolvere nel presente e guidare nel futuro; dall'altro lato, la capacità di incardinare tale cultura socio-economica in una dinamica squisitamente politica, attenta cioè al consenso collettivo e agli strumenti amministrativi disponibili.

 

DONATO MENICHELLA

Se queste due facce non si combinano - e addirittura talvolta si delegittimano -, allora scattano le accuse reciproche, quando molti tecnici considerano «palle al piede» le mediazioni politiche e amministrative, e tanti politici o burocrati considerano «fuori dal mondo» tecnici pur universalmente stimati, in un inutile contrasto fra migliori e peggiori (o presunti tali) che alimenta solo il qualunquismo.

 

Non è stato sempre così. Anzi, ricordando le nostre vicende passate, si può prendere atto che per decenni tutta l'azione di governo vedeva unite in alcune strutture di vertice, spesso in poche persone, la capacità di esercitare insieme la dimensione tecnica e la dimensione politica delle varie misure da mettere in campo.

 

Sappiamo tutti quale peso abbia avuto Nitti sulla politica economica dell' 800 (con la pratica generale dell' economia mista), prima e dopo la sua esperienza di premier; ma ancora di più conosciamo il ruolo fondante avuto da Beneduce durante il fascismo sull'assetto bancario e finanziario del Paese; sappiamo tutti quanto peso hanno avuto gli eredi di Beneduce (Saraceno, Giordani, Menichella, Mattioli, ecc.) nell'impegnativo rilancio post-bellico (l'Erp, o Enterprise resource planning, di allora), con lo sviluppo delle partecipazioni statali e la creazione della Cassa per il Mezzogiorno; e ricordiamo tutti che i primi tentativi di pianificazione degli anni '50 e '60 (Piano Vanoni, Rapporto Saraceno, Piano Giolitti, Rapporto Ruffolo, ecc.) sono stati figli di quella cultura tecnico-politica via via accumulata.

 

PASQUALE SARACENO

Una cultura che trovava casa e sviluppo in alcuni grandi uffici studi, vere e proprie «cantere» del lavoro tecnico-politico del pianificare: l'ufficio studi dell'Iri (con Saraceno che guidava Marsan, Giovannetti, Grassini, Livi, ecc.); l'ufficio studi dell'Eni (con Ruffolo che coordinava Sylos Labini, Fuà, Pirani, Carabba, ecc.); l'ufficio studi della Banca d'Italia sotto Menichella e Baffi (con Fazio, Savona, Ciocca, Barattieri, ecc.); nonché quell'atipico ufficio studi che fu la Svimez (con Molinari, Sebregondi, Napoleoni, Annesi, Novacco, Graziosi, Baratta, ecc.).

 

Tutti coloro, quorum ego, che hanno lavorato in quelle diverse «cantere» sanno di aver svolto un lavoro squisitamente tecnico-politico (da «centauro», è stato detto), dove il rispetto per l'autonomia e il primato della politica non era inferiore al rispetto per la propria professionalità.

 

RAFFAELE MATTIOLI

Certo, alcuni dei più «centauri» fra noi (penso ad Amato, ad Andreatta e a Prodi) fecero scelte personali di diretta responsabilità politica; ma anche loro si sono sempre sentiti mediatori fra tecnica e politica, non puri sacerdoti della loro alta professionalità, sempre lontani da quella declamata incompatibilità fra tecnici e politici che avremmo visto in funzione negli anni successivi.

 

Qualcuno si sorprenderà dei tanti nomi elencati, ma è una cosa voluta, perché ogni testo, specie programmatico, deve avere il nome e il cognome di chi scrivendolo ci mette la faccia. E si capisce quanto ci si ritrovi spiazzati oggi rispetto all'assoluto anonimato che regge ogni documento di improbabile pianificazione.

 

Passi per i piani industriali delle aziende, dove l'obiettivo è molto specifico e verificabile con gli esiti del mercato; ma l'anonimato non è accettabile per i piani di sviluppo complessivo del sistema. Qui si conoscono testi preparatori intermedi (se non di sintesi) di fatto scritti "al ciclostile", partendo da bozze preparate da singole amministrazioni, che fanno poi la ronda fra uffici centrali e periferici (con qualche sosta nelle società di consulenza); senza però nessuna firma di una persona o di un gruppo che certifichino la garanzia della necessaria osmosi fra cultura alta e umile esercizio di scrittura (ricordo che Claudio Napoleoni faceva spesso colazione con Mattioli e Sraffa, ma poi nel pomeriggio scriveva i capitoli del Rapporto Saraceno).

mario draghi giuliano amato

 

Nel panorama attuale, i programmi li scrivono quindi gli amministrativi, senza l'aiuto delle «cantere» e spesso senza neppure una complessa linea politica da seguire. I grandi uffici studi di una volta non esistono più e Giulio Sapelli ha citato, con un voluto tono di disprezzo, un grande imprenditore che negli anni 2000 ha deciso di chiudere l'ufficio studi e la scuola di management sentenziando che «mi costano troppo, preferisco fare un contratto con un'azienda di consulenza».

 

È la stessa decisione silenziosamente presa dallo Stato: quei pochi uffici studi o centri di ricerca esistenti sono stati chiusi (addirittura - e lo ricordo con nostalgia - l' Istituto di studi sulla congiuntura di Miconi e Cipolletta) ed è arrivata l' onda del ricorso alle società di consulenza volutamente e istituzionalmente anonime (non si capisce mai chi vi sia dietro ogni documento).

FILIPPO E BENIAMINO ANDREATTA

 

Sono potenti, organizzativamente e finanziariamente; hanno un consolidato metodo di lavoro; possono mettere a disposizione folti plotoni di giovani ben preparati; gestiscono pertinenti prodotti di medio livello; ma di fatto non ci «mettono la faccia» e fanno circolare testi non imputabili a nessuno, quindi silenziosamente irresponsabili. In fondo, fanno un servizio, anche di livello, ma non hanno - anzi, non vogliono avere - una propria cultura, una propria intenzionalità, una propria idea della realtà e delle modalità di governarla.

 

Se ripercorriamo il percorso dell'attuale nostro Erp, troviamo l'effetto della debolezza del lavoro di mediazione tecnico-politica che invece aveva sostenuto l' Erp degli anni '50; e paradossalmente avvertiamo un' assoluta assenza della politica. Sulla urgenza di consegnare presto a Bruxelles il nostro Piano, singoli dipartimenti dei ministeri sono stati impegnati a scrivere un' ipotesi di intervento; l' insieme di quelle ipotesi, senza alcuna sintesi intermedia, è stata trasferita a Palazzo Chigi; da qui il voluminoso incartamento, magari tramite una società a partecipazione statale, è finito sui tavoli delle società di consulenza; e queste hanno rimesso in bella quel che avevano ricevuto; dopo di che il tutto è stato restituito ai primi estensori del testo, affinché scrivano un programma più stringato e operativo.

arturo parisi romano prodi

 

Un andare e venire, probabilmente con poco valore aggiunto, nella speranza che alla fine della ronda ci siano al vertice teste pensanti capaci di fare una sintesi di alto potere contrattuale presso l'Unione europea. Il che però non copre il vuoto del tessuto intermedio di elaborazione che sta sotto il via vai dei documenti di lavoro, né il vuoto di adeguate formule di attuazione e rendicontazione degli interventi.

 

La riflessione che precede potrà apparire a molti un getto di autobiografica nostalgia per un mondo ormai scomparso e di cui pochi sono i sopravvissuti. Ma lo si prenda anche come uno stimolo a rivedere una situazione chiaramente di inerzia culturale, oltre che di povertà programmatica. E quindi, in positivo, come un invito a reagire. La prima strada da seguire per una non rinviabile reazione è quella di rinsanguare il dibattito politico sul significato profondo dell' attuale Piano di Recovery.

 

ALCIDE DE GASPERI

Non è un puro rinvio di sigle ricordare che l' attuale Erp ha la stessa sigla di quell' Erp che fra il '45 e il '55 andò sotto tanti nomi e tanti padri (il punto IV di Truman, il Piano Marshall, la Banca Mondiale del presidente Edge) e rappresentò una pietra angolare della nostra ricostruzione post-bellica, ma anche una esplicita pietra di scandalo politico. Tutti i leader politici di allora (De Gasperi, Nenni, Togliatti, per primi) si sentirono impegnati a capire, decifrare, accettare o negare quello che c' era dietro quel programma di aiuti; e anche i politici di caratura tecnica si gettarono nella mischia, da Rodolfo Morandi e Ugo La Malfa ad Amendola, fino ai molto settoriali Vanoni e Antonio Segni, tutti impegnati ad avviare ogni momento della pianificazione economica del dopoguerra.

 

Erano evidenti le linee di contrasto politico di allora (la scelta occidentale, la scelta neocapitalistica, la scelta di un pesante intervento dello Stato, la liberalizzazione degli scambi commerciali, ecc.), ma il dibattito sull' Erp di allora fu accompagnato da un forte calore politico.

la malfa nenni

 

Non c' è chi non veda l' abissale differenza con la situazione attuale. Sull' Erp di oggi ci si dilunga su mirabolanti obiettivi innovativi (la digitalizzazione e la transizione ecologica) o ci si perde su questioni di bottega (quanti soldi sui singoli settori e come spenderli); ma nei verbali parlamentari e nei quotidiani non c' è una sola riga in cui si possa registrare un dibattito sulla dimensione politica degli obiettivi del piano.

 

Sull' argomento è caduto un governo e ne è nato un altro, ma nell' assoluto silenzio della classe politica e dell' opinione qualificata. Per cui i documenti di pianificazione in corso d' opera rischiano di contenere elenchi di improbabili progetti di innovazione o banali agglomerati di intenzioni e di proposte, scritti da dirigenti ministeriali e da società di consulenza, in una dinamica di rimpallo e di eco destinata, a ogni passaggio, alla inevitabile perdita di vigore.

 

palmiro togliatti

Serve allora un dibattito squisitamente politico. Non si può evitarlo, perché comunque entro aprile dobbiamo presentare a Bruxelles almeno una bozza di piano. Per l' Europa, l' attuale ERP è una sfida complessa (di competizione verso Est e verso Ovest, di rafforzamento strutturale interno, di eccellenza dei propri campioni imprenditoriali, di traino dei Paesi più fragili) ed è necessario che l' Italia non arrivi a Bruxelles senza aver svolto un dibattito interno su tali sfide comuni e sul modo in cui le interpretiamo nel trattare il nostro sviluppo.

 

Arrivare a Bruxelles con la semplice idea di indire bandi per presentare centinaia di progetti, senza una sintesi politico-programmatica, potrebbe portare al pericolo di marginalizzazione di chi andrà a contrattare la nostra parte dell' Erp.

 

UGO LA MALFA

Ma si può svolgere il necessario dibattito politico senza un adeguato supporto tecnico? Negli anni tra il '45 e il '60, i leader politici poterono contare su una ricca elaborazione culturale: con vicinanze addirittura personali, con collegamenti stretti con le varie strutture collaterali tecnico-politiche; con l' utilizzo degli uffici studi e delle «cantere» sopra citate; con la presenza socio-politica dei vertici delle partecipazioni statali e della Cassa per il Mezzogiorno.

 

Quei fili di raccordo fra la dimensione politica e la dimensione tecnica non ci sono più ed è improbabile che siano ricostruibili oggi, in una cultura collettiva diventata più povera. Ma qualcosa bisognerà pur tentare, magari sfruttando il vincolo europeo secondo cui non si finanziano interventi se non legati a riforme strutturali significative. E la riforma strutturale più significativa può e deve essere fatta nel governo della cosa pubblica: riguarda gli assetti tecnico-politici di vertice.

antonio segni

 

Una riforma che si focalizzi sul rafforzamento dei soggetti primi del dibattito politico: specialmente dei partiti, che dovrebbero ritornare a essere soggetti di cultura politica e tecnica (con i loro centri di ricerca, con le loro riviste, con le antenne di collaborazioni esterne, ecc.); e specialmente dei luoghi di governo (gabinetti ministeriali e commissioni parlamentari), che dovrebbero poter contare su nuclei di persone ad alta qualificazione tecnico-politica.

 

Nel rapporto a due fra dimensione tecnica e dimensione politica resta decisivo il ruolo dei dirigenti apicali delle diverse amministrazioni, cui si dovrebbero poter garantire occasioni collegiali di informazione e formazione di stampo manageriale, con un' adeguata conoscenza e con un adeguato padroneggiamento dei processi reali del sistema economico e sociale, in vista di un forte lavoro di raccordo fra volontà politica, intenzioni programmatiche e gestione della macchina pubblica.

 

Si comprende facilmente che un impegno di questo tipo non è di facile attuazione: non esiste più quel contesto culturale e politico degli anni '50 che spingeva tutti a discutere e mediare. Converrà non indulgere al passato e "prendere le armi" nella più difficile situazione attuale, rimettendo lentamente a posto i fondamentali del rapporto fra dimensione tecnica e dimensione politica.

Ultimi Dagoreport

biennale di venezia antonio monda pietrangelo buttafuoco alessandro giuli alfredo mantovano

DAGOREPORT - ANTONIO MONDA, IL ''BEL AMI'' PIÙ RAMPINO DEL BEL PAESE, È AGITATISSIMO: SI È APERTA LA PARTITA PER LA DIREZIONE DELLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA DEL 2026 - UNA POLTRONISSIMA, CHE DOVREBBE FAR TREMARE I POLSI (È IN CONCORRENZA CON IL FESTIVAL DI CANNES), CHE DA ANNI TRAVAGLIA LA VITA E GLI INCIUCI DEL GIORNALISTA MONDA, MAGNIFICAMENTE DOTATO DI UNA CHIAPPA A SINISTRA (“REPUBBLICA” IN QUOTA ELKANN); MENTRE LA NATICA DI DESTRA, BEN SUPPORTATA DAL FRATELLO ANDREA, DIRETTORE DELL’”OSSERVATORE ROMANO”, GODE DEI BUONI RAPPORTI CON IL PIO ALFREDO MANTOVANO - ALL’ANNUNCIO FATALE DI GIULI, SU INPUT DI MANTOVANO, DI CONSEGNARE LA MOSTRA DEL 2026 NELLE MANINE FATATE DI MONDA, IL PRESIDENTE DELLA BIENNALE BUTTAFUOCO, CHE NON HA MAI STIMATO (EUFEMISMO) L’AEDO DELLA FUFFA ESOTERICA DI DESTRA, AVREBBE ASSUNTO UN’ESPRESSIONE ATTONITA, SAPENDO BENE COSA COMPORTEREBBE PER LUI UN FALLIMENTO NELLA RASSEGNA CINEMATOGRAFICA, MEDIATICAMENTE PIÙ POPOLARE E INTERNAZIONALE (DELLE BIENNALI VENEZIANE SU ARCHITETTURA, TEATRO, BALLETTO, MUSICA, NON FREGA NIENTE A NESSUNO)

marina berlusconi silvio vanadia greta jasmin el moktadi in arte grelmoss - 3

DAGOREPORT - BUNGA BUNGA FOREVER! IL VERO ''EREDE ORMONALE" DI SILVIO BERLUSCONI È IL NIPOTE SILVIO, RAMPOLLO PRODOTTO DEL MATRIMONIO DI MARINA CON MAURIZIO VANADIA - SE IL CAVALIER POMPETTA PROVOCAVA INQUINAMENTO ACUSTICO E DANNI ALL'UDITO GORGHEGGIANDO CANZONI FRANCESI E NAPOLETANE, IL VENTENNE EREDE BERLUSCHINO NON E' DA MENO: E' BEN NOTO ALLE SPERICOLATE NOTTI MILANESI LA SUA AMBIZIONE DI DIVENTARE UN MITO DEL RAP, TENDENZA SFERA EBBASTA E TONY EFFE - SUBITO SPEDITO DA MAMMA MARINA A LONDRA, IL DISCOLO NON HA PERSO IL VIZIO DI FOLLEGGIARE: DA MESI FA COPPIA FISSA CON LA CURVACEA GRETA JASMIN EL MOKTADI, IN "ARTE" GRELMOS. PROFESSIONE? CANTANTE, MODELLA E INFLUENCER, NATA A NOVARA MA DI ORIGINI MAROCCHINE (COME LA RUBY DEL NONNO) - IL RAMPOLLO SU INSTAGRAM POSTA FOTO CON LE MANINE SULLE CHIAPPE DELLA RAGAZZA E VIDEO CON SOTTOFONDO DI CANZONI CON RIME TIPO: "GIRO A SANTA COME FA PIER SILVIO, MANCA UN MILIARDINO. ENTRO IN BANCA, MI FANNO L'INCHINO". MA PIER SILVIO È LO ZIO E MARINA E' FURIBONDA... - VIDEO

francesca fialdini mario orfeo

DAGOREPORT: MAI DIRE RAI! – COME MAI “REPUBBLICA” HA INGAGGIATO UNA BATTAGLIA CONTRO L’ARRIVO DI NUNZIA DE GIROLAMO AL POSTO DI FRANCESCA FIALDINI NELLA DOMENICA POMERIGGIO DI RAI1? NON È UN MISTERO CHE IL DIRETTORE, MARIO ORFEO, ANCORA MOLTO INFLUENTE A VIALE MAZZINI, STIMA MOLTO LA FIALDINI (FU LUI A FAVORIRNE L’ASCESA DA DIRETTORE GENERALE) - PER EVITARE IL SILURAMENTO DEL PROGRAMMA DELLA CONDUTTRICE, A LARGO FOCHETTI HANNO MESSO NEL MIRINO PRIMA IL TRASH-SEX SCODELLATO DA NUNZIA COL SUO "CIAO MASCHIO", E POI IL PRESIDENTE RAI AD INTERIM, IL LEGHISTA ANTONIO MARANO, PER UN PRESUNTO CONFLITTO DI INTERESSI - MA L'ORGANIGRAMMA RAI VUOLE CHE IL DIRIGENTE RESPONSABILE DEL DAY-TIME, DA CUI DIPENDE IL PROGRAMMA DELLA FIALDINI, SIA ANGELO MELLONE...

elly schlein friedrich merz keir starmer emmanuel macron

DAGOREPORT - ELLY HA FINALMENTE CAPITO DA CHE PARTE STARE? – IN POCHI HANNO NOTATO UNA IMPORTANTE DICHIARAZIONE DI SCHLEIN SULL’UCRAINA: “SUL TRENO PER KIEV, CON I LEADER DI FRANCIA E GERMANIA, CI SAREI ASSOLUTAMENTE STATA” – LA SEGRETARIA CON UNA FIDANZATA E TRE PASSAPORTI E' PRONTA AD  ABBANDONARE IL PACIFISMO PIÙ OTTUSO PER ADERIRE A UNA LINEA PIÙ REALISTA E PRAGMATICA? – IN CAMPANIA ELLY È VICINA A UN ACCORDO CON DE LUCA SULLE REGIONALI (MEDIATORE IL SINDACO MANFREDI) – OTTIME NOTIZIE DAI SONDAGGI DELLE MARCHE: IL PIDDINO MATTEO RICCI È DATO AL 51%, CONTRO IL 48 DEL MELONIANO ACQUAROLI…

chiocci vespa rossi

FLASH! – IN RAI STA NASCENDO UNA COALIZIONE CONTRARIA AL DINAMISMO POLITICO DI GIANMARCO CHIOCCI, CHE PARLA SPESSO CON ARIANNA E GIORGIA MELONI, DISPENSANDO MOLTI CONSIGLI DELLA GOVERNANCE RAI – IL MOVIMENTISMO DEL DIRETTORE DEL TG1 E DI BRUNO VESPA HANNO GRANDE INFLUENZA SU PALAZZO CHIGI, E I LORO ''SUSSURRI'' FINISCONO PER RIMBALZARE SULL’AD GIAMPAOLO ROSSI, CHE SI TROVA ISOLATO DAI DUE DIOSCURI – E FAZZOLARI? PREFERISCE RESTARE IN DISPARTE E ESERCITARE LA SUA INFLUENZA SUI GIORNALISTI NON ALLINEATI AL GOVERNO MELONI...

giorgia meloni matteo piantedosi ciriani cirielli mantovano santanche lollobrigida

DAGOREPORT - PROMOSSI, BOCCIATI O RIMANDATI: GIORGIA MELONI FA IL PAGELLONE DEI MINISTRI DI FDI – BOCCIATISSIMO MANTOVANO, INADEGUATO PER GESTIRE I RAPPORTI CON IL DEEP STATE (QUIRINALE, SERVIZI, MAGISTRATURA) E DOSSIER IMMIGRAZIONE – RESPINTO URSO, TROPPO COINVOLTO DAL SUO SISTEMA DI POTERE – CADUTO IN DISGRAZIA LOLLOBRIGIDA, CHE HA PERSO NON SOLO ARIANNA MA ANCHE COLDIRETTI, CHE ORA GUARDA A FORZA ITALIA – BOLLINO NERO PER IL DUO CIRIANI-CIRIELLI - DIETRO LA LAVAGNA, LA CALDERONE COL MARITO - NON ARRIVA ALLA SUFFICIENZA IL GAGA' GIULI-VO, MINISTRO (PER MANCANZA DI PROVE) DELLA CULTURA - LA PLURINDAGATA SANTANCHÉ APPESA A LA RUSSA, L'UNICO A CUI PIEGA IL CAPINO LA STATISTA DELLA GARBATELLA – SU 11 MINISTRI, PROMOSSI SOLO IN 5: FITTO, FOTI, CROSETTO, ABODI E…