LA CRISI PUÒ ATTENDERE: TEMPI BIBLICI PER LA NOMINA DELLA NUOVA COMMISSIONE UE. PARTONO LE CONSULTAZIONI MA CI VORRÀ ALMENO UN MESE - CAMERON E LA MERKEL NON VOGLIONO IL “LORO” CANDIDATO JUNCKER

1. TEMPI LUNGHI PER LA COMMISSIONE UE, MANDATO ESPLORATIVO A VAN ROMPUY
Marco Zatterin per "La Stampa"


C'è anche chi immagina una «cena banale» perché «non ci saranno nomi». Dopo una giornata di incontri a ogni livello, stasera i capi di stato e di governo dell'Ue si siederanno a tavola per esaminare, e disinnescare se possibile, la bomba a orologeria dei vertici delle istituzioni da nominare.

Bisogna trovare anzitutto un presidente per la Commissione Ue, che in campagna elettorale è stato presentato sotto forma di 5 candidati sostenuti dalle principali famiglie politiche. 
I popolari rivendicano la vittoria nella consultazione per Strasburgo e dicono che l'uomo da incoronare è il lussemburghese Juncker. Non è detto che finisca così, né che finisca in tempi brevi.
È un esercizio importante privo di blindatura.

I Trattati stabiliscono che il presidente della Commissione deve essere indicato dal Consiglio europeo (i ventotto leader) e approvato dal Parlamento. In vista della tornata elettorale, i grandi schieramenti transfrontalieri hanno cercato il sorpasso a destra presentando i loro candidati al dopo Barroso.

Le capitali non erano contente, ma hanno preso la faccenda sottogamba e ora almeno una parte dei votanti pensa che il popolare Juncker, il socialista Schulz o il liberale Verhofstadt siano davvero in corsa per l'esecutivo comunitario.

Un risultato «più netto» nel voto per l'ottava legislatura a suffragio universale avrebbe aiutato, perché alla vigilia le forze politiche parevano intese sul fatto che chi fosse arrivato primo sarebbe stato in pole position. Joseph Daul, presidente Ppe, se l'è ricordato ieri e ha detto «tocca a Juncker», concetto ribadito dall'interessato: «Voglio essere il presidente della Commissione perché il Ppe ha vinto».

Domenica sera lo sfidante Martin Schulz non è apparso dello stesso avviso. Incapace di ingoiare la sconfitta aveva proclamato che «lui, come Juncker, aveva diritto di tentare di formare una maggioranza». Ieri ha corretto il tiro il capogruppo socialista, Hannes Swoboda: «Le perdite del Ppe dimostrano lo scontento della gente per le politiche della destra, anche se Juncker ha pieno diritto di provarci».

Basta non pensare che, per dirne solo due, britannici e polacchi non lo vogliono. «Non mi interessa», giura il lussemburghese.
Stamane i capigruppo dell'Europarlamento tenteranno di far fronte comune, quindi toccherà ai leader del Consiglio, dove i depressi dal voto (Hollande e Cameron) se la vedranno con gli euforici (Renzi e Merkel). «Mi aspetto che il presidente Van Rompuy ottenga un mandato esplorativo», assicurava in serata una fonte diplomatica.

L'idea è che il fiammingo sondi gruppi e capitali e arrivi con un nome al vertice del 26 giugno, in modo che si possa deliberare in tempo perché il parlamento avvii il processo di approvazione da metà luglio. Un ulteriore vertice, si dice, potrebbe rendersi necessario.
Nel frattempo i nomi potranno cambiare. Nulla è deciso, però si sente dire che Juncker potrebbe scivolare al Consiglio e Schulz restare a secco.

È da designare anche l'alto rappresentante per la Politica estera, così fa tre posti più l'Eurogruppo che devono comprendere una donna, un socialista, qualcuno dell'Est, in un puzzle micidiale che riserva certamente molte sorprese e il rischio d'uno scontro istituzionale. Se il Consiglio non lavorerà bene, il Parlamento sarà pronto a fargliela pagare.

2. ASSE MERKEL-CAMERON CONTRO IL CANDIDATO DEL PPE
Tonia Mastrobuoni per "La Stampa"

Ad un certo punto del negoziato, raccontano fonti ben informate, si era fatto anche il nome di Enrico Letta. Dopo le dimissioni da Palazzo Chigi, gli inglesi e i tedeschi avevano parlato seriamente dell'ipotesi che potesse diventare il prossimo presidente della Commissione europea.

La candidatura successivamente era sfumata, quando la rottura tra Renzi e Letta era diventata troppo pesante. E sarebbe stato comunque difficile far digerire ai partner europei un altro italiano in una posizione chiave, dopo Mario Draghi alla Bce.

In ogni caso, la notizia è che nei corridoi della cancelleria, anche dopo il risultato di domenica, si continua a speculare su candidati alternativi a quelli ufficiali: ancora un italiano, Mario Monti, il primo ministro irlandese Enda Kenny, la premier danese Thorning Schmidt. Né Angela Merkel, né tantomeno David Cameron hanno intenzione di destinare a quella poltrona l'unico uomo che il Ppe ha ufficialmente candidato: Jean-Claude Juncker.

I motivi? Le malelingue parlano di problemi con l'alcol - una notizia emersa sui giornali tedeschi e smentita dal diretto interessato - inoltre i due non vogliono un presidente della Commissione, ipereuropeista oltretutto, che possa fare da vero contrappeso all'intergovernativo, sede ormai quasi esclusiva delle decisioni importanti nella Ue.

Juncker non soltanto ha un profilo politico robusto, ma ora è forte di un mandato diretto degli elettori. Il premier britannico ha ribadito il suo «no» all'ex mister euro anche dopo il responso delle urne, e pare stia organizzando le sue truppe in Parlamento per bocciarne l'eventuale candidatura. La cancelliera, dal canto suo, continua ad essere glaciale sul lussemburghese.

Anche ieri ha sottolineato che l'ex premier «è il nostro candidato», ma senza concedergli l'onore del passaggio logico successivo, alla luce del fatto che i popolari sono il primo gruppo nel Parlamento europeo. Senza dire, finalmente, che lo vuole per la presidenza. Anche nella riunione del partito a porte chiuse, ieri mattina, pare che non lo abbia mai appoggiato.

Ufficialmente ha ribadito che la linea è: «Noi andiamo ad affrontare il dibattito con il nome di Juncker, ma nessuno dei due partiti può da solo decidere il presidente». 
Persino il vicecancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel, ha concesso ieri a Juncker in conferenza stampa l'onore del primo passo: «Naturalmente, se il Ppe è il primo partito, bisogna concedergli per primo la possibilità di provare a formare una maggioranza che lo sostenga in Parlamento». Se dovesse fallire, ha aggiunto, «toccherebbe a Martin Schulz».

Nelle settimane scorse, sia Gabriel, sia la segretaria generale del partito Yasmin Fahimi, erano stati espliciti sulla necessità di non tradire il mandato degli elettori e di scegliere tassativamente uno dei candidati ufficiali. Ma Fahimi era stata anche più esplicita sulla vistosa assenza di Merkel in campagna elettorale e sulle indiscrezioni attorno a presunte terze candidature: «È il segnale di un certo nervosismo».

La cancelliera «sta tentando per questa via di relativizzare le candidature», per «costruire uno scenario in cui viene ribadita la portata del suo potere, la sua possibilità di imporsi». 
Per alzare l'asticella del negoziato, Gabriel ha «consigliato» ieri ai conservatori di liberarsi di Forza Italia e del partito dell'ungherese Viktor Orban, e ha detto che la presenza o meno di questi «partiti populisti, anti europei» nel Ppe potrebbe pesare su un eventuale negoziato per un grande coalizione.

Ma il negoziato è appena cominciato. E la prima ad essere interessata ad una trattativa lunga, che dia il tempo all'opinione pubblica di distrarsi dai risultati delle europee, è Merkel. In cambio della disponibilità a silurare sia Juncker, sia Schulz per il ruolo previsto, pare voglia offrire al primo il posto di Van Rompuy e al secondo un posto da commissario di peso o di responsabile della politica estera della Ue, al posto della Ashton. Si accontenteranno?

 

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