CONDANNATO A MORTE DALLA NASCITA - LA STORIA DI “PULCE”, IL BOSS-BONSAI DI QUARTO OGGIARO - A 14 ANNI HA GIA’ UN CURRICULUM CRIMINALE DI TUTTO RISPETTO: SENTINELLA DEI NARCOS, LADRO DI MOTORINI, RAPINATORE, PICCHIATORE - SABATO SCORSO HA CAPEGGIATO UNA RIVOLTA NEL CARCERE MINORILE DI MILANO - MADRE, PADRE E FRATELLO PREGIUDICATI, IL SUO DESTINO E’ SEGNATO - MA IL CAPPELLANO DEL “BECCARIA” HA ANCORA UNA SPERANZA…

Andrea Galli per il Corriere della Sera

Mani in alto, basta, ci arrendiamo. Così piccolo e così esile nei suoi centocinquanta centimetri d'altezza, i brufoletti, la fessura tra gli incisivi, il naso un poco a patata, gli occhi scuri da cucciolo che pur nel chiuso di una stanza di commissariato hanno avuto irrefrenabili, privatissime crisi di pianto. Eppure li ha disarmati tutti. Sempre. Dalle maestre all'assistente sociale al prete della comunità d'accoglienza che stanco e rassegnato lo portò in stazione, partiva un treno per Milano e ce lo mise sopra. In segno di resa. Quant'è fuoriluogo il nomignolo che gli han dato in quartiere, Pulce.

Certo meglio di quello che si è scelto lui, piccolo Vallanzasca ; è un quattordicenne rimasto bimbo e già diventato un bandito adulto. Sabato giusto per «creare casino» ha comandato una rivolta al carcere minorile Beccaria, solitamente calmo. Cinquantanove i detenuti. Quaranta - il fuoco appiccato a lenzuola e materassi - hanno obbedito a Pulce, ospite del Beccaria da pochi giorni. Dall'angolo della cella incitava un poliziotto che cercava di calmarlo: «Mettimi le mani addosso mer...! Dai mer...!».

Pulce viene da Quarto Oggiaro, periferia. La strada si chiama via Pascarella. Cortili con Madonne votive circondate da palazzi di case popolari. Negli appartamenti le borse coi pantaloni e la giacca della tuta negli armadi, borse pronte per la galera. Camere da letto avvolte da enormi specchi nella convinzione, come raccontò un boss, di trasformare le stanze in amatoriali quotidiani set pornografici.

La cocaina nascosta nei bilocali al buio, protetti dalle tapparelle, delle vecchiette incensurate e insospettabili. Sono in quattro, nella famiglia di Pulce. Padre pregiudicato, madre pregiudicata, fratello pregiudicato. Di notte sotto casa passavano alle tre squadre di ammiratori, adolescenti che inneggiavano a Pulce. Per la gioia di mamma. All'ennesimo colpo uno sbirro la prese da parte. «Lo capisce o no che finirà morto ammazzato?». La donna emise un prolungato ghigno: «L'ho fatto mascolo io!».

Arruolato dai boss che dominavano il mercato della droga e a busta paga come sentinella, ladro di motorini, rapinatore, fidanzatine messe incinte che hanno abortito, picchiatore, lo sfrenato richiamo della foresta metropolitana a insidiarlo come un demone. Una mattina c'era un inseguimento sul marciapiede per regolamenti di conti, in cinque correvano appresso a uno di venticinque anni grande e grosso, Pulce non c'entrava, non erano fatti suoi, si trovava di passaggio.

Aveva un casco in braccio, lo trasformò in arma, saltò addosso all'inseguito e gli fracassò il naso. Rubava dunque gli scooter, li smarmittava e rumorosamente percorreva chilometri, dal tramonto all'alba nel quartiere, il gladiatore che fa il giro dell'arena. La scuola non la conosce, un lavoro nemmeno. Se ne sta al Beccaria perché beccato in settimana dopo un furto. Aveva provato a fuggire, da una finestra al quarto piano s'era lanciato da fermo, sopra il balcone di sotto.

Un commissario capo che sarebbe piaciuto al giallista Simenon - non il semplice tintinnare di manette ma una, a volte, tormentata curiosità per le ragioni sociali e il contesto del delinquere - ripete che Milano non può non salvare Pulce, la sua Pulce in cui tanto, troppo lui è incappato, fino a vederlo in lacrime. Forse i servizi sociali non l'hanno mai davvero seguito, forse come scrive il gip è un «pericolo elevatissimo e concreto per la collettività».

Forse. Don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria, ne ha visti di più crudeli, più spietati. È l'ultimo sulla linea del fronte, don Gino, 73 anni. Un ultimo baluardo. Sarà l'ultimo duello? Il sacerdote demolisce la retorica banditesca con la consueta semplicità: «Il ragazzo è stato cresciuto da genitori che l'hanno trattato da eroe. Crede di stare nel mito, agisce per acclamazione, per i fan. Ora è solo, è in silenzio. L'ho visto, ci siamo scambiati uno sguardo. Sorrideva. Dobbiamo farcela, ce la faremo».

 

 

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