LA CONSO-LAZIONE DEI BOSS - TRA I BENEFICIARI DELLA REVOCA DEL ’41 BIS’ C’ERANO ANCHE 45 ‘TESTE CORONATE’ DELLA MAFIA: L’EX MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, CONSO, HA SEMPRE DETTO DI AVER PRESO LA DECISIONE “IN SOLITUDINE” (GUARDACASO 10 GIORNI DOPO LA NOTA DEL DAP) - DI MAGGIO E CAPRIOTTI REGISTI OCCULTI DEL PROVVEDIMENTO DI REVOCA DEL CARCERE DURO (PER CONTO DI CHI?): “SI INCONTRAVANO OGNI SERA AL MINISTERO”…

Salvo Palazzolo per "la Repubblica"

La trattativa portò benefici non soltanto ai boss di Cosa nostra, ma anche agli uomini della 'ndrangheta, della camorra e della Sacra Corona Unita. C'è il gotha delle mafie italiane fra i 326 "41 bis" che il ministro della Giustizia Giovanni Conso non prorogò, nel novembre ‘93. «Per una scelta fatta in solitudine», continua a ribadire lui. Ma i pm di Palermo non gli credono, lo accusano di false dichiarazioni. E nel loro atto d'accusa hanno inserito anche la lunga lista dei boss che in quei giorni di fine ‘93 tirarono un sospiro di sollievo.

Gli investigatori della Dia di Caltanissetta hanno analizzato nome per nome, e hanno scoperto che fra i 326 beneficiati c'erano 45 nomi di rango, al vertice di tutte le mafie: 20 capi di Cosa nostra, 10 capi della Camorra, 9 capi della 'ndrangheta, 6 capi della Sacra Corona Unita. Resta una vero giallo quella decisione di Conso. I magistrati hanno scoperto che cinque mesi prima, la mancata proroga dei 41 bis era stata caldeggiata al Guardasigilli da un documento del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, allora retto da Adalberto Capriotti e dal suo vice, Francesco Di Maggio.

Ma Conso continua a parlare di «decisione presa in solitudine ». Adesso, però, lo smentisce anche il suo capo di gabinetto di allora, Livia Pomodoro, attuale presidente del tribunale di Milano. Convocata dai pm, il 15 dicembre 2011, ha detto: «Sottoposi la nota del Dap all'attenzione del ministro, mi diede la direttiva di attendere ulteriori aggiornamenti, che avrebbero dovuto essere forniti dal vice capo Di Maggio».

Sul documento c'è un'annotazione,datata 5 luglio 1993: «La scrissi io», ha spiegato Livia Pomodoro. «Il documento del Dap fu protocollato nello stesso giorno in cui fu scritto, il 26 giugno, mentre le disposizioni del ministro risalgono al 5 luglio. Il documento sarà rimasto dunque nella disponibilità del ministro per qualche giorno, poi chiesi verosimilmente per telefono alcuni chiarimenti a Di Maggio, ma non ricordo di avere visto alcuna nota di risposta».

La dottoressa Pomodoro spiega che Conso aveva «rapporti diretti col Dap, quasi ogni sera incontrava al ministero Di Maggio e Capriotti»: «Dunque è possibile che Di Maggio abbia fornito direttamente gli aggiornamenti richiesti », aggiunge l'ex capo di gabinetto. Il giallo dunque prosegue, e ruota tutto attorno al magistrato Francesco Di Maggio, che nell'inchiesta sulla trattativa diventa sempre di più il regista del colpo di spugna sul 41 bis. Ma per conto di chi, non è ancora chiaro. Resta un mistero anche il suo arrivo improvviso al Dap da un organismo Onu con sede a Vienna. Il ministro Conso si è limitato a dire: «L'avevo visto in televisione, mi aveva fatto una buona impressione».

Ma anche in questa occasione non ha convinto i magistrati. Livia Pomodoro ha detto di «non sapere nulla della nomina di Di Maggio». E neanche Liliana Ferraro, all'epoca direttore degli Affari penali, ha saputo dare indicazioni più precise. Però, il 25 gennaio, ha precisato ai pm: «Penso che senza il ministro Conso non si poteva fare niente, quindi Di Maggio l'avrà richiesto lui».

Di Maggio è deceduto nel ‘96. Di quella convulsa stagione resta la lista delle mancate proroghe: fra i 20 capimafia siciliani che poterono lasciare il carcere duro ci sono Andrea Di Carlo, autorevole padrino di San Giuseppe Jato; Giuseppe Farinella, capo del mandamento di San Mauro Castelverde; Giuseppe Fidanzati, del clan Arenella; Giuseppe Gaeta, capo della famiglia mafiosa di Termini Imerese; Antonino Geraci, capo del mandamento di Partinico. E poi ancora altri nomi di rango: Francesco Spadaro e Vito Vitale.

Ma i nomi importanti sono anche di capi della 'ndragheta: Giosuè Chindamo, Domenico Cianci, Michele Facchineri, Giovanni Ficara, Antonio Latella, Domenico Martino, Luigi Rao, Vincenzo Rositano. Seguono i capi della Camorra: Antonio Letizia e Domenico Belforte, di Marcianise; Mario Ascione, di Ercolano; Leonardo Di Martino, del clan Imparato di Castellammare; Salvatore Foria, della Nuova famiglia di Pomigliano; Clemente Perna, della Nuova camorra organizzata di Portici ed Ercolano. Non meno importanti erano i capi della Sacra Corona Unita: Antonio Capriati, Nicola De Vitis, Michele Diomede, Renato Martorana, Antonio Scarcia. E dopo quella decisione sul 41 bis, le stragi si fermarono.

 

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