COSE MAI VISTE! INGROIA DIVENTA L’AVVOCATO DI PARTE CIVILE NELL’INCHIESTA STATO-MAFIA DA LUI STESSO CREATA! (BOCCASSINI PENSACI TU)

Da "Il Foglio"

Quando era magistrato faceva in realtà un altro mestiere: girava per comizi, con Ray-Ban e mano in tasca; batteva in lungo e in largo gli studi televisivi, partecipava alle campagne del Fatto quotidiano con Marco Travaglio e, se proprio gli restava tempo, faceva pure una scappatina dai vetero comunisti di Oliviero Diliberto per intrattenerli amorevolmente con le sue giaculatorie di "partigiano della Costituzione".

Ora che ha lasciato la magistratura ed è un politico a tutti gli effetti - ha fondato un partitino dallo zerovirgola, miserevolmente naufragato alle ultime elezioni e ha già accettato un incarico di sottogoverno dalla regione siciliana - il dottor Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo, prova a rientrare malinconicamente nel palcoscenico dove si celebra il processo, da lui stesso istruito, sulla cosiddetta Trattativa tra stato e mafia. Un processo che pare fatto apposta per richiamare su di sé giornali e televisioni ma che sul piano strettamente giudiziario altro non sembra, stando alla severa analisi di Giovanni Fiandaca, massimo docente di Diritto penale, che una boiata pazzesca.

Ingroia rientra al Palazzo di giustizia di Palermo, e precisamente nell'aula della Corte di assise, con un ennesimo travestimento: indosserà la toga di avvocato di parte civile, in rappresentanza dell'associazione dei familiari delle vittime dei Georgofili e in quanto tale affiancherà i tre pubblici ministeri - Di Matteo, Tagliavia e Del Bene - con i quali aveva lavorato fino al novembre scorso, quando decise di scendere in campo come leader della sfortunatissima Rivoluzione civile.

E' difficile prevedere se il presidente della Corte, Alfredo Montalto, saprà trovare gli strumenti procedurali per limitare gli effetti di questo inopportuno rimescolamento dei ruoli. L'unica certezza è che Ingroia vede questo processo come cosa sua: lo ha utilizzato per ricavarne il massimo della popolarità; e poi, quando credeva di essere diventato il pm più amato dagli italiani, si è buttato in politica con la speranza di trasformare in consenso elettorale gli applausi che, a ogni puntata, gli tributavano Michele Santoro e la sua compagnia di giro. Ma si sa come è finita.

All'apertura delle urne, il pm candidato premier ha potuto contare, più che il numero dei voti, le risate strappate a milioni di italiani dall'inarrivabile imitazione che Crozza aveva fatto di lui e che ancora spopola nel web. E così, dopo avere indossato anche i panni del commissario straordinario dell'Onu per il Guatemala e di commissario liquidatore di un ente mangiasoldi della Sicilia, l'eroe della Trattativa non poteva che tornare al suo processo dove basta una parola, come quella pronunciata ieri da Nino Di Matteo, per chiedere la convocazione di Giorgio Napolitano in qualità di testimone e riaprire così il collaudato gioco di "Ingroia e Di Matteo contro tutti": l'unico gioco in grado di garantire all'ex pm un immediato rientro nel circo mediatico-giudiziario tanto caro a lui e ai suoi fraternissimi amici manettari.

Il processo sulla fantomatica Trattativa contiene, del resto, tutti gli ingredienti necessari per polarizzare l'attenzione della stampa: ci sono gli imputati eccellenti, come l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino, e alcuni boss del calibro di Totò Riina o di Giovanni Brusca; ci sono uomini delle istituzioni, come il generale Mario Mori, già assolto in due processi imbastiti dallo stesso Ingroia, e c'è Marcello Dell'Utri, che fu braccio destro di Silvio Berlusconi e che da diciotto anni si trascina da un processo all'altro per favoreggiamento della mafia.

E c'è soprattutto il superteste Massimo Ciancimino, figlio del mafiosissimo don Vito, che Ingroia, per dare peso e richiamo mediatico alle sue dichiarazioni, aveva trasformato in una "icona dell'antimafia" e che si è rivelato invece un calunniatore e un pataccaro: non solo manipolava le carte del padre e si spacciava con i suoi amici delinquenti per un dritto al quale la procura di Palermo aveva garantito ogni sorta di impunità; ma si inventava anche minacce mai ricevute, come documenta un'indagine, dei pm di Bologna, che verrà presto acquisita dalla Corte d'assise di Palermo.

Per il Fregoli della toga - ieri magistrato, oggi avvocato, domani chissà - l'obiettivo preminente sembra comunque quello di riconquistare la ribalta. Come legale di parte civile potrà affiancare i suoi (ex) colleghi nella definizione della strategia processuale, potrà interrogare i testimoni e potrà chiedere e ottenere quei confronti tra testimoni o tra imputati che tanto attirano giornali e giornalisti.

Il cerchio magico che da sempre lo affianca nelle sue battaglie politiche, per esempio, non vede l'ora di assistere in aula a un confronto tra il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, e l'ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, oggi presidente del Senato, magari per accertare se ci fu o meno da parte di Napolitano una qualche pressione a favore del suo amico Mancino. Immaginate lo spettacolo e immaginate le facce nere che scorreranno sugli schermi della tv durante il controesame dell'avvocato Ingroia che in quella occasione, c'è da giurarci, sarà talmente duro da togliere la scena perfino all'amico e sodale Di Matteo.

Sarà quanto di meglio, teatralmente parlando, il processo di Palermo potrà offrire. Le questioni di giustizia, se mai se ne parlerà, verranno dopo, quando le luci della ribalta si saranno spente e i giudici potranno finalmente verificare se nella tonnellata di carte raccolte dalla procura ci sono, a parte le chiacchiere del pataccaro, prove e movente.

 

 

STRETTA DI MANO TRA INGROIA E GRASSO ingroia nel durante il processo contrada INGROIA AL CORTEO FIOM jpegINGROIA Nicola Mancino Nicola Mancino georgofili ATTENTATO Nino Di MatteoMassimo Ciancimino

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