LA CRISI DELL’ILVA È COLPA DEI MAGISTRATI?

Da "il Foglio"

Dopo l'aggressione dei magistrati al patrimonio personale della famiglia Riva - il colpo di maglio ideologico-giudiziario che, in aperta sfida alla linea d'intervento decisa dall'esecutivo Monti, è destinato ad ammazzare l'Ilva di Taranto e con essa tutta la siderurgia italiana - ieri era il primo giorno utile per articolare una possibile risposta da parte del governo e delle istituzioni locali pugliesi, a colloquio con i dimissionari vertici dell'Ilva presso il ministero dell'Industria.

Un tavolo, coordinato dal ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, servito più che altro come ricognizione della situazione aziendale in vista del complicato vertice con il presidente del Consiglio, Enrico Letta, in programma questa mattina. Ieri, sul tavolo, c'era anche un rapporto interno del ministero dell'Ambiente, che confermava l'esistenza di inadempienze da parte di Ilva. In verità la reazione più incisiva di giornata è stata quella dei Riva, che hanno deciso di contrastare l'azione della magistratura.

La settimana scorsa nell'ambito di un'inchiesta per una serie di reati ambientali, i magistrati di Taranto hanno predisposto il sequestro di 1,2 miliardi di euro alla holding finanziaria dei Riva, la Riva Fire, che controlla l'Ilva; è una prima parte degli 8,1 miliardi che i giudici vorrebbero recuperare. Un'azione giudiziaria che, con ogni evidenza, pregiudica il processo di risanamento imposto dall'applicazione dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), cioè l'ammodernamento degli impianti, deciso per decreto dal precedente governo e da completare entro il 2016.

Ieri Riva Fire ha perciò dato mandato ai propri legali di impugnare la decisione del tribunale di Taranto. Il sequestro è solo l'ultimo di vari provvedimenti presi contro l'Ilva. A novembre il gip Patrizia Todisco aveva ordinato il sequestro di materiale siderurgico già prodotto, poi dissequestrato in seguito ai ricorsi dell'azienda. Dopo l'azione della magistratura di venerdì scorso, il cda dell'Ilva ha annunciato le dimissioni; sarà l'assemblea degli azionisti a decidere se accoglierle o meno il prossimo 5 giugno.

Al presidente, Bruno Ferrante, e all'ad, Enrico Bondi, ieri il ministro Zanonato ha chiesto chiarimenti sulla continuità aziendale. Secondo il governatore della Puglia, Nichi Vendola, presente al tavolo, l'amministrazione straordinaria è "un'ipotesi". Il presidente di Federacciai vede nel sequestro l'intenzione dalla magistratura di fare chiudere lo stabilimento.

Per Antonio Gozzi non ci sarebbero alternative valide a scongiurarlo, perché la nazionalizzazione (ipotesi circolata sulla stampa) è subordinata ai vincoli europei sugli aiuti di stato e, soprattutto, a oggi è quasi impossibile trovare risorse pubbliche per l'acquisto. "I magistrati stanno deresposabilizzando i Riva - dice Gozzi al Foglio - le principali risorse per il risanamento sono quelle della famiglia, senza queste sarà impossibile procedere con la bonifica".

Non ci sono certezze per il primo impianto siderurgico d'Europa in balìa della magistratura. La chiusura dell'Ilva peserebbe per un punto di pil; gli effetti più gravi si avrebbero in Puglia, dove l'Ilva è il primo polo industriale e impiega 24 mila addetti. L'intera filiera dell'acciaio rischia il collasso trascinando con sé la manifattura collegata. L'Ilva produce 8 milioni di tonnellate d'acciaio l'anno per soddisfare il 67 per cento del consumo nazionale. Il 25 per cent va al settore auto, quindi alla Fiat.

 

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