CULATELLO, AR-RENZITI! ARRIVA LO TSUNAMI DEL SINDACO

Goffredo De Marchis per "La Repubblica"

«È un'altra ferita al Pd. Purtroppo, l'unico che pensa al suo destino personale è proprio Renzi. Sta cercando di orientare la scelta che gli conviene di più, quella che lo porti al voto subito». La facciata di Pierluigi Bersani racconta di un leader che minimizza, che si «aspettava tutto questo», che «ne ha viste di peggio», che sapeva come la partita del Quirinale «provochi il massimo di tensione nei partiti».

A costo di sentire i critici, sempre più numerosi, che si passano la voce di un «segretario che non reagisce, che non batte un colpo». Ma i colloqui privati descrivono un Bersani furibondo con il sindaco di Firenze e pronto alla sfida finale. «Quelle di questi giorni sono chiacchiere di cui io sono la prima vittima. Sgradevoli, ma sempre chiacchiere. Poi, arriverà la riunione dei gruppi parlamentari sul voto per il Colle. Vediamo se i renziani accettano la decisione della maggioranza. Se ci mettono la faccia, come dice sempre Matteo, o preferiscono rifugiarsi nella schiera dei franchi tiratori».

Il Partito democratico si salva dalle macerie solo se trova la quadratura del cerchio sul Quirinale. «Se usciamo compatti da quel rebus, si aggiusta anche il Pd», dicono a Largo del Nazareno. Anche Renzi si darà una calmata «perché se punta alla leadership o alla premiership non può pensare di costruirla sulle rovine».

Ma il messaggio di Bersani al sindaco di Firenze, ancora oggi, a 48 ore dalla riunione delle Camere in seduta comune non cambia: le carte le dò ancora io e dopo aver trovato un nome condiviso poi la proposta rimane il governo di cambiamento. Con Bersani candidato naturale alla guida.

Bersani ha evitato pure la difesa pubblica di Anna Finocchiaro e Franco Marini. Li ha chiamati al telefono e nel duello contro Renzi gli ha garantito: «I vostri nomi restano nella rosa del centrosinistra. Lavoriamo anche su di voi». I dirigenti ferocemente attaccati da Renzi non hanno chiesto al segretario una presa di posizione ufficiale. «Ci pensiamo da soli».

Neanche lui ha risposto alla critica ripetuta di pensare solo agli affari propri, quella che lo ferisce di più. «Confermo: se sono di intralcio lascio. L'ho detto mille volte. E ricordo che 15 mesi fa ho detto di sì al governo Monti rinunciando a una vittoria sicura e netta. Alla faccia delle ambizioni personali».

Ma è chiaro che Bersani deve fare di più per tenere unito il partito. Dopo lunghe telefonate con Enrico Letta, il vicesegretario è andato in televisione a spedire due segnali molto chiari: «Il Pd ha bisogno di rimanere unito». Anche nell'interesse di Renzi.

Il giorno dopo l'elezione del capo dello Stato, per il governo si riparte da zero e Bersani
si rimette in gioco. Finocchiaro e Marini paragonano Renzi a Grillo: «Usa gli stessi argomenti». Ma l'accusa di grillismo non spaventa il sindaco. Il Movimento 5stelle ha sfondato nell'elettorato giovanile tra i 18 e i 25 anni. La chiave generazionale continua a essere decisiva nella strategia di Renzi.

Che la stessa chiave possa avere successo dentro il Pd, negli equilibri interni appare più difficile. Matteo Orfini, leader dei Giovani Turchi, non si fa sedurre dagli attacchi ai "vecchi" «Si possono trovare altri candidati sia per il congresso sia per la corsa a Palazzo Chigi. Io per esempio vedo bene Fabrizio Barca più per la seconda che il primo». Per certi versi Orfini usa lo stesso linguaggio del sindaco. «Il Pd è uscito male dalle elezioni, questo è il punto. Tutto ciò che è successo dopo è la conseguenza di un risultato elettorale negativo».

Tra Renzi e Barca la componente di Stefano Fassina e Orfini potrebbe cercare un baricentro diverso, un nome nuovo per la segreteria. L'ago della bilancia prima era Bersani, oggi, secondo i Giovani turchi, non più. Ma prescindere da Renzi appare a tutti impossibile. Ha occupato la scena, si è messo al centro della partita sul Quirinale e ha creato le condizioni perché Bersani arrivi indebolito alla scelta del candidato per il Colle. «Se il nome ci viene imposto da uno dei due blocchi, o Grillo o Berlusconi, il Pd, dal giorno dopo, rischia davvero il tutti contro tutti», dice uno dei dirigenti.

 

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