renzi carlo de benedetti debenedetti

MEA CULPA DI COCCODRILLO - DA DE BENEDETTI A ENRICO LETTA, LE ÉLITE HANNO FINALMENTE SCOPERTO LE LORO COLPE E FANNO AUTOCRITICA. TUTTA UNA GARA A DOLERSI PERCHÉ NON NE HANNO AZZECCATA UNA - “LA VERITÀ”: “MENTRE DE BENEDETTI FA MEA CULPA, IL TRIBUNALE DI ROMA SI PREPARA A MANDARE A PROCESSO IL BROKER CHE ALLA VIGILIA DEL DECRETO RENZI SULLE POPOLARI ACQUISTO' 5 MILIONI DI EURO IN AZIONI PER CONTO DELL'INGEGNERE…”

CARLO DE BENEDETTI

1 - L'INGEGNERE CRITICA TUTTI E SI ASSOLVE MA IL SUO BROKER RISCHIA IL PROCESSO

Francesco Bonazzi per “la Verità”

 

Americani e inglesi lo chiamano name dropping, ovvero seminare nomi di personaggi famosi nel corso di una conversazione per impressionare l'interlocutore. Quando chi si lascia andare al name dropping ha una cert'età ed è comunque una mente di un certo livello, si tratta di una civetteria perdonabile.

 

CARLO DE BENEDETTI

Per fare un esempio, uno dei libri più godibili dell'economista canadese John Kenneth Galbraith s'intitola proprio così, Name dropping (2001), è un'istruttiva carrellata di ricordi personali, dopo una vita passata al fianco di personaggi come Franklin Delano Roosevelt, Harry Truman, John Kennedy e Lyndon Johnson. Poi c'è Carlo De Benedetti, che invece negli ultimi vent'anni ha passato la vita a scegliere i segretari del Pd, e intervistato ieri dal Sole 24 Ore, ha fatto un estenuante name dropping, intervallato da svariate perle di non saggezza, come quella che senza l' euro «finanziariamente saremmo come l' Egitto».

 

Nelle stesse ore, ironia della sorte, il tribunale di Roma si prepara a mandare a processo Gianluca Bolengo, il broker di Intermonte che alla vigilia del decreto Renzi sulle banche popolari diede l' ordine di acquisto per 5 milioni di euro di azioni per conto della Romed di De Benedetti. Anche in quell' occasione l' Ingegnere aveva fatto un po' name dropping, tirando in ballo i suoi rapporti privilegiati con Matteo Renzi, e Bolengo ha fatto la frittata. Anche se poi magari al processo si scoprirà che le uova non le ha portate lui.

berlusconi aznar da bush

 

Il catalogo delle esibizioni debenedettiane di potenza illuminata, laica e antifascista, è questo: «Ricordo una sera a cena con Jacques Delors (94 anni, ndr) di cui ero molto amico»; «Ho avuto occasione di riparlarne (dell' euro, ndr) poco tempo fa in Andalusia con l'allora premier spagnolo José Maria Aznar» e poi citazioni di conversazioni privilegiate con Ugo La Malfa (morto), Romano Prodi (vivo) ed elogio di Mario Draghi, il capo della Bce che «ha salvato la moneta unica e l'Italia». Sulla partecipazione all' euro come condizione necessaria di sopravvivenza per l'Italia, l' ex proprietario della Olivetti si fa scudo anche dell' assenso di Giovanni Agnelli (morto) e poi ricorre al terrorismo psicologico: senza la moneta unica «avremmo fatto la fine dell' Egitto».

 

ROMANO PRODI

E pazienza se il paragone con il Cairo è bislacco, visto che l'Italia è la settima potenza economica del mondo e per la Confindustria è anche la seconda potenza industriale d'Europa, alle spalle solo della Germania.

 

L'Ingegnere che frequentava i potenti (e i sapienti) non è stato però messo a conoscenza che dalla nascita dell'euro a oggi il Pil dell' Italia è sostanzialmente rimasto invariato, con una crescita dal 2002 al 2007, che poi è stata divorata nella crisi seguente. Quanto al potere d' acquisto degli italiani, secondo l' Istat, sarebbe sceso di un paio di punti dal 2002 allo scorso anno, anche in questo caso con un aumento prima della crisi e una lunga flessione dopo il 2007.

 

Anche se il padrone di Gedi-Repubblica a un certo punto la fa anche più tragica e afferma: «Si è trascurato il fatto che i salari non hanno mantenuto il potere d' acquisto, creando nuovi poveri e nuove ingiustizie». Ah ok, dai suoi giornali non sembrava, specie quando non era al governo l'odiato Silvio Berlusconi, ma ecco di chi è la colpa: «Politicamente, la responsabilità di questa accettazione acritica della globalizzazione è da attribuire a Tony Blair e al blairismo che ha contagiato la sinistra europea».

 

mario draghi

Vabbè, meglio dedicarsi a De Benedetti che faceva name dropping con Bolengo. L' allora ad di Intermonte sim rischia il processo per ostacolo alla vigilanza Consob: il 16 gennaio fece guadagnare in un solo giorno a De Benedetti, che oggi scopriamo assai preoccupato dell' impoverimento dei ceti medi, la bellezza di 600.000 euro su azioni delle banche popolari, grazie a una bella dritta del cliente. A processo, Bolengo potrà salvarsi scaricando tutto sull' Ingegnere, o su Renzi. Ma la strada migliore l'abbiamo scoperta ieri: daranno la colpa a Blair.

 

2 - LA SCOPERTA DELLE ÉLITE: ABBIAMO SBAGLIATO DA LETTA A DE BENEDETTI LA GARA DEI MEA CULPA

Paolo Bracalini per “il Giornale”

 

enrico letta

Le élite hanno finalmente scoperto di che è la colpa: delle élite. Finalmente un' autocritica, anche se in clamoroso ritardo? Non proprio, perché le élite sono sempre gli altri. Eppure da giorni, con un sincronismo perfetto, fior di scrittori, illustri professori, fini politologi, influenti capitani d' industria, ex premier, ex editori di giornali, insomma i massimi rappresentanti della classe dirigente italiana che con le élite sotto processo ha avuto grande confidenza, essendo loro stessi quella élite, fanno invece a gara a dolersi perché l' élite non ne hanno azzeccata una.

 

Che sia questo, l' antielitarismo finora considerato sinonimo di populismo destrorso alla Trump, il nuovo vezzo da esibire per essere ammessi nell' élite? Persino il capo dello commissione Ue Juncker si è pentito della durezza dell' austerity («Abbiamo insultato i greci, l' austerità fu avventata»).

ernesto galli della loggia

 

L'ex premier Pd Enrico Letta, sempre caro alle élite italiane, fa sapere nel suo nuovo libro scritto dall'«esilio» dorato di Parigi che i sovranisti hanno vinto per colpa degli errori delle élite, colpevoli di «un mix tossico di autoconservazione e machiavellismo politico».

 

Qualcuno potrebbe obiettare al direttore della scuola di Affari internazionali di «Sciences Po» che il rimprovero poteva farlo direttamente alle élite (banchieri, manager di Stato, lobbisti, grande industria, classe dirigente varia) accorse in passato al suo think tank Vedrò. Ma sarebbe un accanimento ingiusto verso l'ex premier scelto (e poi scaricato) da Napolitano, perché Letta si ritrova in numerosa compagnia e tutta di livello.

 

baricco

In effetti il mea culpa delle élite sulle élite era partito sulle colonne del Corriere della Sera a firma di Ernesto Galli della Loggia. L'editorialista è tormentato da tempo, tanto da aver votato Virginia Raggi nel 2016, e in ben due articoli nel giro di pochi giorni ha spiegato il perché: «Se l'ondata nazionalista-identitaria si va tanto rafforzando in Europa ciò accade in buona misura per una ragione ovvia quanto spesso ignorata: e cioè per il fallimento delle élite tradizionali del continente», specie quella italiana caratterizzata da «conformismo, ostilità a ogni cambiamento e provenienza ideologica di centrosinistra».

 

Il cruccio è condiviso, su Repubblica, dallo scrittore Alessandro Baricco, già simpatizzante renziano in quota Eataly, ora pentito di averlo «scambiato per uno che non c' entrava con le élites», mentre il dramma qui è che «è andato in pezzi un certo patto tra le élites e la gente» e bisogna iniziare ad «accorgersi del casino che abbiamo combinato», noi élite.

 

tony blair

Ad (auto)accusare la classe dirigente c'è anche Carlo De Benedetti: «Quanto alle élite europee, credo che sia necessaria un' autocritica - dice l' ex editore di Repubblica al Sole24Ore - Negli ultimi 20 anni siamo stati tutti troppo innamorati della globalizzazione e delle nuove tecnologie. Tenendo in scarsa considerazione i danni che questa combinazione di fattori avrebbe avuto sui lavoratori. Politicamente, la responsabilità di questa accettazione acritica della globalizzazione è da attribuire a Blair e al blairismo che ha contagiato la sinistra europea». Proprio Blair un tempo campione della terza via riformista, ora simbolo del fallimento elitario della sinistra.

Ultimi Dagoreport

francesco saverio garofani sergio mattarella giorgia meloni maurizio belpietro

DAGOREPORT - MA QUALE “COMPLOTTO DEL COLLE CONTRO GIORGIA MELONI”! DIETRO ALLA DIFFUSIONE DELLE PAROLE DI FRANCESCO SAVERIO GAROFANI ALLA “VERITÀ” DI BELPIETRO C'E' UNA “GOLA PROFONDA” UN PO’ PASTICCIONA, CHE SI E' FATTA SGAMARE IN MEZZA GIORNATA - DAGOSPIA È IN GRADO DI AGGIUNGERE ALCUNI DETTAGLI SULLA CENA DI GIOVEDÌ 13 NOVEMBRE ALLA TERRAZZA BORROMINI. A TAVOLA C’ERANO SEDICI PERSONE: OLTRE ALL’ORGANIZZATORE, LUCA DI BARTOLOMEI, E A FRANCESCO GAROFANI C’ERANO MANAGER, CONSULENTI, UN AD DI UNA BANCA, DUE CRONISTI SPORTIVI E…UN GIORNALISTA CHE IN PASSATO HA LAVORATO IN UN QUOTIDIANO DI DESTRA, GIA' DIRETTO DA BELPIETRO. SARÀ UN CASO CHE LA MAIL A FIRMA “MARIO ROSSI”, DA CUI È NATO LO “SCANDALO”, SIA STATA INVIATA ANCHE AL MELONIANO "IL GIORNALE" (CHE PERO' L'HA IGNORATA) - IL CONTESTO ERA CONVIVIALE, SI PARLAVA DI CALCIO E DEL PD, MA GAROFANI NON HA MAI PRONUNCIATO LA PAROLA “SCOSSONE”, CHE INFATTI NELLA MAIL ORIGINALE NON C’È - L’AUDIO? FORSE NON ESISTE. PERCHÉ BELPIETRO NON LO PUBBLICA? ANCHE SE CI FOSSE PROBABILMENTE NON POTREBBE, PERCHÉ SAREBBE STATO CARPITO ILLEGALMENTE...

maurizio belpietro giorgia meloni la verita

DAGOREPORT - IL GIOCO DI PRESTIGIO DI MAURIZIO BELPIETRO: LO "SCOOP" SUL PRESUNTO “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE LA MELONI” È BASATO SULLE PAROLE “PROVVIDENZIALE SCOSSONE”, CHE IL CONSIGLIERE DEL COLLE, FRANCESCO SAVERIO GAROFANI, AVREBBE PRONUNCIATO ALLA CENA DOPO L’EVENTO IN RICORDO DI AGOSTINO DI BARTOLOMEI. MA NELLA MAIL ANONIMA CHE SEGNALA LA VICENDA A "LA VERITA'" QUELLE DUE PAROLE NON SONO VIRGOLETTATE: SEMBRANO ESSERE UN RAGIONAMENTO DELL’AUTORE, IL MISTERIOSO "MARIO ROSSI" – “LINKIESTA”: “PER CAPIRE COSA PENSI MELONI BISOGNA LEGGERE ‘LA VERITÀ’, ESATTAMENTE COME PER CAPIRE COSA PENSI GIUSEPPE CONTE BISOGNA LEGGERE ‘IL FATTO’. QUANTI SI BEVONO OGGI LA FAVOLA DELLA SVOLTA ATLANTISTA ED EUROPEISTA DI MELONI, FAREBBERO BENE A LEGGERE ‘LA VERITÀ’, SMACCATAMENTE FILO-PUTINIANO, NO VAX E NO EURO. LA VERITÀ DEL GOVERNO MELONI STA LÌ”

maurizio belpietro giorgia meloni francesco saverio garofani

A CIASCUNO LA SUA “VERITÀ” - L’ARTICOLO PUBBLICATO DAL QUOTIDIANO DI BELPIETRO SUL "PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE LA MELONI” È PRATICAMENTE IDENTICO ALLA MAIL RICEVUTA DA MOLTI ALTRI QUOTIDIANI, DA UN ANONIMO CHE SI FIRMAVA "MARIO ROSSI", CHE HANNO DECISO DI IGNORARE LA VICENDA PERCHÉ NON VERIFICABILE - PERCHE' BELPIETRO HA DECISO DI DARE SPAZIO E RISALTO A UNA STORIA COSI' AMBIGUA? HA IN MANO ANCHE UN AUDIO O CI SONO ALTRE RAGIONI? DI CERTO, L'EX ALLIEVO DI VITTORIO FELTRI È UN PO' IN DIFFICOLTÀ: LE COPIE VENDUTE DAL SUO GIORNALE CALANO E "LA VERITÀ" STA DIVENTANDO POST-VERITÀ, CON LO SPAZIO CONCESSO A COMPLOTTISTI, NO VAX E PUTINIANI - FORSE CREARE UN PO’ DI CACIARA CON IL GAROFANI-GATE SERVE A RIPORTARE IL QUOTIDIANO SOTTO I RIFLETTORI - DI SICURO HA FATTO UN FAVORE A GIORGIA MELONI. DEL RESTO, FU LEI NEL 2023 A OPPORSI ALLA VENDITA DEL GIORNALE AD ANGELUCCI, E A TROVARE IN FEDERICO VECCHIONI, AD DI "BONIFICHE FERRARESI" E CARO A LOLLOBRIGIDA, IL "SALVATORE" PRONTO A RILEVARE IL 25% DELLA SOCIETA' EDITRICE BY BELPIETRO - DA ALLORA FIOCCANO INSERZIONI DELLE PARTECIPATE E PEZZI PRO-GIORGIA...

matteo salvini giorgia meloni donald trump vladimir putin sergio mattarella

DAGOREPORT - COME MAI GLI ARTICOLI DELLA “VERITÀ” SUL “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE LA MELONI” ARRIVANO IL GIORNO DOPO LA RIUNIONE DEL CONSIGLIO SUPREMO DI DIFESA, DI CUI GAROFANI È SEGRETARIO, IN CUI SI È RIBADITA LA LINEA DI “PIENO SOSTEGNO ITALIANO ALL’UCRAINA”? - LA LINEA PRO-KIEV DI GIORGIA MELONI SI E' AFFIEVOLITA DA TEMPO (HA MESSO IN “PAUSA” L'ADESIONE DELL'ITALIA AL PIANO PURL PER LE ARMI USA A KIEV) E SALVINI E' IL SOLITO "FIGLIO DI PUTIN" CHE SI OPPONE A OGNI SOSTEGNO A ZELENSKY - NON SOLO: MATTARELLA, ORMAI DA ANNI, INFIOCINA I SOVRANISMI DI MEZZO MONDO, HA PIU' VOLTE CRITICATO TRUMP, PUTIN, ORBAN, NETANYAHU E AFD (GUARDA CASO TUTTI AMICI DI MELONI E SALVINI) - SE L'AUDIO DI GAROFANI ESISTE, E CERTIFICA UN "COMPLOTTO" E NON UN SEMPLICE RAGIONAMENTO POLITICO, PERCHÉ BELPIETRO NON LO PUBBLICA? IL COLLOQUIO DELL'EX DEPUTATO DEL PD È STATO CARPITO AL RISTORANTE IN UNA "CHIACCHERATA TRA AMICI". SE ESISTE L'AUDIO, CHI LO HA REGISTRATO? UN AMICO? UN PRIVATO CITTADINO CHE HA RICONOSCIUTO GAROFANI, NONOSTANTE FOSSE UN VOLTO POCO NOTO? O IL CONSIGLIERE DI MATTARELLA ERA "ATTENZIONATO"? DA CHI?

tommaso foti galeazzo bignami

CHIAGNI E FOTI – A VOLERE QUEL FENOMENO DI GALEAZZO BIGNAMI COME CAPOGRUPPO DI FDI ALLA CAMERA FU TOMMASO FOTI, CHE SCELSE IL CAMERATA BOLOGNESE COME SUO SUCCESSORE. QUANDO CI FU IL PASSAGGIO DI CONSEGNE, FOTI ASSICURÒ CHE NON AVREBBE POTUTO SCEGLIERE UN SUCCESSORE MIGLIORE (PENSA COM'ERANO GLI ALTRI PRETENDENTI) - DI SICURO BIGNAMI NON È MAI STATO TROPPO ISTITUZIONALE NEGLI INTERVENTI IN AULA: SPESSO PROVOCATORIO, OGNI VOLTA CHE PARLA IRRITA L'OPPOSIZIONE. PARE CHE UNA TELEFONATA DA PALAZZO CHIGI E UN CONSIGLIO “PATERNO” BY FOTI LO AVESSERO INDOTTO A MAGGIOR EQUILIBRIO. SINO A IERI…