AIUTO, GLI DEI SONO TORNATI! – LA DESTRA MAGA DI TRUMP (BANNON) E I SOGNI IMPERIALI DI PUTIN (DUGIN), POGGIANO SULLA TRADIZIONE, A QUEL COSTRUTTO DI IDEE CHE HA ELETTO A NEMICO LA MODERNITÀ E IL SUO ESITO PIÙ PREZIOSO E FRAGILE, CIOÈ LA DEMOCRAZIA - PER COSTRUIRE IL NUOVO ORDINE GLOBALE, TANTO IN AMBITO AMERICANO QUANTO IN QUELLO RUSSO, VENGONO RISCOPERTI PENSATORI EUROPEI, MARGINALI E SCARSAMENTE LETTI, COME RENÉ GUÉNON, JULIUS EVOLA, MIRCEA ELIADE - LA RECENSIONE DI ANTONIO GNOLI DI ‘’TRADIZIONALISMO’’ DI MARK SEDGWICK, UN LIBRO IMPORTANTE PER COMPRENDERE COME MAI SIAMO FINITI IN UN MANICOMIO GLOBALE DIRETTO DA PAZZI…
Antonio Gnoli per La Repubblica
Non sorprende che la “tradizione” – per dirlo rozzamente, il ricorrere al passato aurorale per legittimare il presente – si insinui tra le pratiche politiche delle destre antiglobaliste e identitarie. Dopotutto, la crisi delle ideologie, il perdurante neoliberismo, e la perdita del vecchio ordine mondiale richiedono nuove suggestioni culturali.
La destra, nelle sue varie declinazioni, ha sovente interagito con i grandi temi della tradizione e delle sue potenzialità. Ma pensatori europei, marginali e scarsamente letti, come René Guénon, Julius Evola, Mircea Eliade vengono riscoperti tanto in ambito americano quanto in quello russo.
Il pensiero “Maga” attinge disinvoltamente a quel costrutto di idee che ha eletto a nemico la modernità e il suo esito più prezioso e fragile, cioè la democrazia; quanto all’ortodossia russa, rivestita di valori arcaici e religiosi, appoggia senza riserve la politica putiniana volta ad aggredire gli spazi di un ipotetico futuro “impero” da riconquistare.
Mark Sedgwick, il cui importante libro Tradizionalismo esce in questi giorni per le edizioni Atlantide, ricostruisce con grande efficacia la mappa con quelle figure che hanno fortemente influenzato certe aree, soprattutto estreme, della cultura di destra. Sedgwick, di origini britanniche, ha vissuto alcuni anni al Cairo occupandosi di sufismo. Si tratta di una corrente del pensiero islamico alla quale si avvicinò Guénon nell’ultima parte della sua vita quando, convertendosi alla religione musulmana, decise di vivere in Egitto.
Molte pagine del libro di Sedgwick sono dedicate a questo singolare personaggio la cui attenzione oltre che all’Islam, fu rivolta alla dottrina Vedanta, cioè al corpus di scritti vedici, in particolare le “Upanishad” che, secondo Guénon, fondano la “Tradizione primordiale”.
Ossia quell’insieme di rituali che non possono essere indagati, dimostrati o compresi in termini di semplice sviluppo storico. Qualunque tentativo di ascendere a una visione autentica del mondo deve perciò ricorrere a quella scienza sacra deposta nei testi scritti tra l’ottavo e il quinto secolo a. C.
Per Guenon, ma altresì per Evola, la storia è un incidente. Mentre la modernità legge il movimento storico come un’esperienza lineare arricchente (il mito del progresso); il tradizionalismo la interpreta come ciclica riproposizione della caduta. C’è sempre un’età dell’oro all’origine delle antiche civiltà (seguono l’argento, il bronzo e il ferro) che si conclude catastroficamente con una caduta e di solito con la rinascita di un nuovo ciclo.
Il tradizionalismo associa la modernità alla ragione strumentale, al declino delle forme religiose, allo sconvolgimento delle caste; Marx, che tradizionalista non era, criticò la modernità per i suoi tratti capitalistici e alienanti; Nietzsche ne sentenziò la morte di Dio; Weber descrisse l’uomo moderno prigioniero della gabbia d’acciaio e preda del disincanto; Baudelaire colse nella modernità il transitorio, il fuggitivo, il contingente. Oggi vi aggiungiamo i tratti della paura, dell’angoscia, dell’insicurezza e di un rinnovato razzismo.
Nella visione ciclica di Guénon, il moderno fu accostato al kali-yuga. A quel periodo, nel quale ancora siamo immersi, in cui l’umanità si è separata dal divino. Il kali-yuga è il regno delle quantità, i cui simboli di calcolo e di denaro, hanno distrutto l’ordine sacro su cui poggiava il mondo antico. Incapaci di comprenderne la portata devastante, le masse sono state le prime vittime di questa prolungata età del buio.
Alla verità, dice rassegnato Guenon (e con lui Evola) possono accedere solo in pochi. Ma le élite, nelle diverse forme storiche, sono sempre esistite. Guénon le identifica con la casta sacerdotale; Evola le associa alla razza dei signori e dei dominatori. Esse percorrono il sentiero del guerriero ed evocano in sé, sostiene Evola, “la forza trascendente della distruzione”. La distinzione da Guénon è nell’accento che Evola mette sull’azione, sul mito della rivolta, sulla pulsione bellica.
Da questo sfondo metafisico e religioso si è sviluppata per Sedgwick la riflessione politica di Alexander Dugin in Russia, tra le estreme destre europee e nel movimento Maga americano, attraverso il suo rappresentante più noto: Steve Bannon. Non a caso il libro di Sedgwick ha come sottotitolo “Verso un nuovo Ordine Mondiale”.
Dove ci condurrà? Dugin resta la figura più complessa. Ha ripreso la teoria schmittiana del “grandi spazi” e ridefinito, in chiave geopolitica, il concetto di Eurasia, per cui essendo la Russia nella sua essenza “archeomoderna” può aspirare a diventare il nuovo perno tra Oriente e Occidente.
Alle sue idee pare non sia insensibile Putin. Ma non saprei quanto, l’indecifrabile Vladimir, possa condividere della lettura “paolina” di Dugin secondo la quale il nuovo impero russo agirà come “katechon”, come potere che frena ritardando la dissoluzione del mondo. Con ogni evidenza siamo in piena tematica apocalittica.
La parola “Tradizione” designa con una certa forza l’urgenza di un linguaggio nuovo che enunci le difficoltà in cui la nostra epoca è gettata. Anche da sinistra si registrano appelli che colgono nella crisi climatica, nel dominio dell’algoritmo, nel tramonto del vecchio ordine la possibilità di un cambiamento radicale. La difficoltà massima per ogni apologia della Tradizione sta nella sua natura vincolante e remota a un tempo.
Quanto a Bannon, da neoisolazionista respinge la visione geo-politica di Dugin pur condividendo il desiderio di rivolta, per citare il testo più noto di Evola, contro il mondo moderno. Quello che sta accadendo in America non è, ai suoi occhi (si pensi ai noti fatti di Capitol Hill), un tentativo ostile di guerra civile ma la sacrosanta contrapposizione alla globalizzazione e al liberalismo. Bannon, per Sedgwick, ha adottato solo alcuni aspetti del tradizionalismo.
La domanda che sorge spontanea è quale Tradizione piace a gente così.
Da tempo essa ha smarrito il significato di Auctoritas conservando solo quello di Potere. Ma un potere senza autorità è tutto tranne che stabile. Nel caos, nelle sue accelerazioni, nel puro scorrere incoerente della vita, Donald Trump sembra trovarsi perfettamente a suo agio. Egli somiglia, evolianamente, al Re investito da un mandato divino.
Come in un gioco di prestigio la legittimazione del suo “potere regale” nasce dalle stesse qualità taumaturgiche che si attribuisce. È un circolo vizioso i cui tratti eliogabalici rendono la sovranità un’esperienza per ora farsesca. Un domani forse tragica.
Siamo abituati a pensare il sacro come legame nato dalla devozione per un evento incomprensibile ma così potente da sconvolgere la vita. Dimentichiamo il lato oscuro, la ferocia che a quell’esperienza si può accompagnare. Non è solo il meccanismo vittimario ben colto da René Girard nell’esame del sacrificio, è quello che esso designa nella sua ostentata verticalità.
La congiura del moderno verso la tradizione risale ai primi vagiti della scienza sperimentale, dell’Io penso e del dubbio che ridicolizzarono quella somma prodigiosa di inattuali illuminazioni. Fu così che la tradizione, con le sue enunciazioni fondamentali, finì in mani poco abili. Sradicata dal suo habitat divenne una minacciosa caricatura. Come il sacro ormai nascosto nel grottesco della superstizione.
max weber
GIORGIA MELONI A FAVORE DELLA FAMIGLIA TRADIZIONALE
charles baudelaire immortalato da nadar
karl marx
Friedrich Nietzsche









