DOLCE&GABBA-TI - LA BANDA DEL LODEN CI COSTRINGE A TIRARE LA CINGHIA E POI PERDONA I GRANDI EVASORI - UNA NORMA CONTENUTA NELLA LEGGE DI DELEGA FISCALE APPROVATA DAL GOVERNO PREVEDE “L’ESCLUSIONE DELLA RILEVANZA PENALE PER I COMPORTAMENTI ASCRIVIBILI ALL’ELUSIONE FISCALE” - COSÌ L’EVASIONE FISCALE DEGLI STILISTI DOLCE E GABBANA, DI UNICREDIT DI PROFUMO E DI INTESA DI AIRONE PASSERA, NON SARÀ PIÙ CONSIDERATA REATO. CONTENTI?…

Nicola Porro per "il Giornale"

Si potrebbe definire norma Dolce&Gabbana. Oppure articolo salva-banchieri. Più concretamente trattasi di condono penale. Nella poderosa legge di delega fiscale approvata due giorni fa dal governo, c'è anche un articoletto molto interessante: il numero nove. Diciamo subito che si tratta di una misura che va nella direzione giusta e cioè quella di depenalizzare alcune ipotesi di reato fiscale. Il titolo del benedetto articolo è sibillino: «revisione del sistema sanzionatorio».

Secondo il principio penale per cui la norma successiva più favorevole prevale, vedrete che si tratta di un vero e proprio condono. Contiene vari commi e cioè varie misure che il governo si è impegnato ad adottare nei prossimi mesi.

E che vi risparmiamo. Ma quella che interessa è la seguente: «esclusione della rilevanza penale per i comportamenti ascrivibili all'elusione fiscale». Tac: nero su bianco il nostro condono. Apparentemente roba per pochi tecnici, ma fondamentale per alcuni processi importanti che si stanno celebrando in queste settimane. Per quello l'abbiamo subito ribattezzata norma Dolce&Gabbana e in modo decisamente più spericolato potremmo anche definirla salvabanchieri. Vediamo perché.

I due supersarti, è inutile entrare nel dettaglio, il prossimo 8 giugno dovranno di nuovo comparire in un processo penale (dopo aver già chiuso con sanzioni la vicenda con l'Agenzia delle entrate) per una presunta elusione fiscale miliardaria. Eppure il tribunale d'appello aveva loro dato ragione: non c'era reato. Ci si è messa la Cassazione, ad annullare il proscioglimento. Ha fatto ripartire tutto daccapo e ha autorevolmente certificato che, in contrasto col giudice d'appello, l'elusione fiscale si ritiene reato.

La questione è tutta qua. C'è una pattuglia di «grandi elusori» pizzicata con le mani nella marmellata dagli uomini di Attilio Befera, dell'Agenzia delle entrate. Befera inizia nei loro confronti durissimi accertamenti che in genere si concludono con salate transazioni.
Nel momento in cui gli accertamenti partono, i pubblici ufficiali hanno l'obbligo di segnalare alle Procure notizie di possibile reato. E così possono partire le indagini penali e nuovi procedimenti nei confronti di coloro che hanno già chiuso la partita con il Fisco.

Ecco qualche altro esempio. La banche e i banchieri fanno al caso nostro. L'Unicredit e il suo ex ad, Alessandro Profumo, avrebbero occultato 750 milioni di profitti e per questo stanno concludendo un accordo con l'Agenzia delle entrate, ma nel frattempo la Procura di Milano ha messo sotto indagine 20 manager che erano al vertice dell'azienda. Banca Intesa, all'epoca guidata da Corrado Passera, oggi ministro, ha chiuso una transazione con il fisco da 270 milioni di euro più interessi.

Anche in questo caso gli uomini di Befera hanno inviato notizia di reato fiscale a una pattuglia di Procure (che fine abbiano fatto è questione di ben celato, per una volta, segreto istruttorio). L'Mps ha fatto un accordo da 260 milioni, il Credem da 45, la Popolare di Milano 186 e via discorrendo.

La morale è molto semplice, il governo con il suo articolo nove fa chiarezza. L'elusione fiscale non può essere considerata un reato. Non è materia di indagine per le Procure. Ciò non toglie che si possano configurare degli illeciti amministrativi e che dunque le banche siano tenute a pagare il dovuto alle casse del Tesoro.

Ma non si debbono confondere i due piani. I procuratori potranno entrare in banca, ma dovranno ravvisare un comportamento fiscalmente fraudolento (del tipo contraffazione di documenti) come stanno cercando di fare nel caso di Profumo e dell'Unicredit.
Ma gli avvocati sanno bene che con questa depenalizzazione la strada per molti processi imbastiti negli ultimi mesi sarà per loro molto più facile.

La via d'uscita per tutti quei banchieri o industriali che siano coinvolti in un processo penale è dimostrare che la propria condotta più che fraudolenta sia stata elusiva. E il gioco è fatto. Parliamo sempre e solo del processo penale: per quello tributario il discorso è ovviamente diverso.

Sempre nel nostro benedetto articolo 9, si fa chiaramente riferimento «all'applicabilità di sanzioni amministrative anziché pe¬nali » per le fattispecie meno gravi. Occorre ricordarsi che qui si parla sempre di Fisco.

Ebbene sembra una decisa marcia indietro rispetto a quanto previsto (incredibile dictu) dal governo Berlusconi e alle cosiddette manette agli evasori previste da Giulio Tremonti. Le soglie per l'intervento di un giudice penale furono abbassate a 50mila euro per il reato di dichiarazione infedele e a 30mila per quella fraudolenta. Sembra davvero di capire che questi limiti verranno alzati dal governo Monti «nel rispetto del principio di proporzionalità».

Ovviamente quella introdotta con la delega fiscale dal governo Monti è una norma che farà molto discutere. La depenalizzazione viene vista da una certa parte dell'opinione pubblica come l'unica soluzione per fare pulizia nella nostra società. Insomma più manette e galera per tutti. Il governo evidentemente ha voluto rendere più «prevedibile» la vita di un'impresa in Italia. Ciò non vuol dire impunita: ma semplicemente sanzionata o più velocemente o con strumenti diversi da quello penale.

 

 

DOMENICO DOLCE E STEFANO GABBANA jpegAGENZIA DELLE ENTRATE MARIO MONTI ATTILIO BEFERAALESSANDRO PROFUMO CORRADO PASSERA

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