1- MA È UN PREMIER O UN AVVOCATO DIFENSORE? SI PUÒ PERMETTERE UN CAPO DEL GOVERNO, ESEMPIO DI COMPORTAMENTO CIVICO, A UNA PERSONA CHE STA PER ESSERE ARRESTATA E DOMANDA “CHE DEVO FARE? TORNO E CHIARISCO TUTTO?”, SUGGERIRE “RESTA DOVE SEI” E RIMANERE ALL'ESTERO, EVITANDO IL CONFRONTO CON GLI INQUIRENTI? 2- TARANTINI, OLTRE AD ESSERE SOVVENZIONATO CON VENTIMILA EURO AL MESE, OTTIENE DA BERLUSCONI IL DIFENSORE DI FIDUCIA, SECONDO QUANTO HA DICHIARATO AI MAGISTRATI L'AVVOCATO PERRONI: “MI CHIAMÒ IL PRESIDENTE BERLUSCONI (CHE LUI ASSISTE IN VARI PROCEDIMENTI, NDR) E MI CHIESE DI ASSUMERE LA DIFESA DI TARANTINI” 3- TRAVAGLIO: “I CASI SONO DUE: O IL TESTE B. MENTIRÀ ANCHE A VERBALE, PERSEVERANDO NELLA BARZELLETTA DELL’ELEMOSINA “A UNA FAMIGLIA BISOGNOSA”. OPPURE – DIO NON VOGLIA – DIRÀ LA VERITÀ SULLE ORDE DI SANGUISUGHE CHE LO STANNO SPOLPANDO VIVO A SUON DI RICATTI E SUI FONDI RISERVATI DA CUI ATTINGE TUTTO QUEL CONTANTE PER TACITARE QUESTO E QUELLA”

1- MA È UN PREMIER O UN AVVOCATO DIFENSORE?
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Anche nella nuova telefonata che suscita ulteriori perplessità sul sottobosco che gli è cresciuto intorno e sul modo in cui lui stesso lo coltiva, Silvio Berlusconi avrebbe ripetuto quel che sempre afferma: «Non ho fatto nulla di illecito». Può darsi che sia vero: quando ha detto a Lavitola «resta dove sei» (al netto delle possibili interpretazioni da dare all'intera conversazione non ancora conosciuta), il giornalista-imprenditore suo amico non era ufficialmente latitante, sebbene dalle anticipazioni di Panorama (settimanale della casa editrice di Berlusconi) s'intuisse chiaramente che pendeva una richiesta d'arresto.

Resta però insoluto un punto che non riguarda tanto l'illiceità di comportamenti o consigli, quanto l'opportunità e perfino la legittimità per così dire «politico-sociale» di quel che sostiene o fa il capo del governo. E allora, a una persona che domanda «Che devo fare? Torno e chiarisco tutto?», rispondere di non fare nulla e rimanere all'estero, evitando il confronto con gli inquirenti, non sembra il miglior suggerimento da parte di chi ha la responsabilità di guidare il Paese e in qualche modo dovrebbe essere un esempio di comportamento civico.

Pare più il consiglio di un avvocato difensore, se non qualcosa di più inquietante. Tanto più dopo ciò che è emerso dagli atti (intercettazioni e non solo) dell'indagine napoletana sul presunto ricatto al premier. Che vede Valter Lavitola nel ruolo di principale protagonista.

L'uomo in contatto con Berlusconi e in continuo movimento tra l'Italia e l'America Latina, ad esempio, è definito dal coindagato Gianpaolo Tarantini «un mascalzone... un pazzo... uno psicopatico». Per lui Lavitola era diventato un «bancomat» attraverso il generoso presidente del Consiglio: «Io non ho mai pensato di ricattare Berlusconi. È Lavitola che forse lo ricattava». Lo dipinge come «uno spregiudicato», e quando l'ha visto al cospetto del premier si mostrava «arrogante e invadente». Lui invece era «un cagnolino».

Ovvio che anche le dichiarazioni dal carcere di uno come Tarantini, ex imprenditore rampante che aveva investito sul presidente del Consiglio procurandogli ragazze a pagamento, vanno prese col beneficio d'inventario. Ma queste descrizioni si sommano ai colloqui registrati in cui lo stesso Lavitola si dipinge come uno che gioca su più tavoli, che fa i promemoria a Berlusconi anticipandogli quel che rischia nell'indagine chiamata P4, e quando il premier gli risponde di essere tranquillissimo, con la moglie di Tarantini commenta: «Non ci sta proprio...». La donna riassume: «È come parlare col muro», e Lavitola ribatte: «Brava, hai detto proprio bene».

Valter Lavitola è colui che, quasi certamente, ha raccomandato presso la presidenza del Consiglio il carabiniere Enrico La Monica, oggi latitante come lui, affinché ottenesse un impiego ai servizi segreti in cambio di informazioni da sfruttare politicamente. Sembra ammetterlo lui stesso quando di quell'inchiesta dice: «È tutta una chiacchiera, tranne il fatto del maresciallo...». E commenta così le dichiarazioni dell'altro inquisito per la P4, Luigi Bisignani: «Diciamo almeno l'80 erano cose che facevo io, non che faceva lui... imbecille».

È in questo quadro che s'inserisce il suggerimento di Berlusconi a Lavitola, nel momento in cui per il giornalista e Tarantini si prospetta una richiesta d'arresto. Ed è difficile leggerlo come un semplice e disinteressato consiglio; perché è pure possibile, viste le premesse, che il capo del governo avesse qualcosa da temere dal rientro in Italia e l'ingresso in carcere del suo amico al quale garantiva soldi e probabilmente consulenze negli enti pubblici.

All'altro presunto estorsore sovvenzionato con ventimila euro al mese il premier quasi nominò personalmente il difensore di fiducia, secondo quanto ha dichiarato ai magistrati l'avvocato Perroni: «Mi chiamò il presidente Berlusconi (che lui assiste in vari procedimenti, ndr) e mi chiese di assumere la difesa di Tarantini». Di fronte a simili mosse, al di là del ricorrente «non ho fatto nulla di illecito», dubbi e sospetti, anziché diradarsi, aumentano.

2- LA DOLCEVITOLA
Marco Travaglio per "il Fatto Quotidiano"

Gli pareva strano di non essere indagato. Ma come: lui, il massimo collezionista di reati della storia moderna e anche antica, scaduto a "parte offesa"? Dopo una vita passata a guadagnarsi accuse di strage, mafia, riciclaggio, corruzione giudiziaria e non, finanziamento illecito ai partiti, falso in bilancio, frode fiscale, appropriazione indebita, abuso d'ufficio, estorsione, prostituzione minorile, minaccia a corpo dello Stato, aggiotaggio, falsa testimonianza, calunnia e diffamazione, quando ormai per completare l'album gli mancavano solo il taccheggio al supermercato, l'immigrazione clandestina e l'abigeato, arriva dalle toghe rosse l'estremo oltraggio: un'indagine che, anziché accusarlo di aver commesso un reato, ipotizza che l'abbia subìto.

Per molto meno, negli ambienti della mala, rischi di passare per frocio. Non sia mai. E così, appena ha saputo in anteprima dell'inchiesta di Napoli - la prima della storia in cui non figura come protagonista, ma come comparsa, per giunta vittima di un Gianpi e un Lavitola - ecco il colpo di reni per tornare l'imputato di un tempo: l'editto bulgaro telefonico a Lavitola, riparato a Sofia, per raccomandargli di restarsene all'estero.

Consiglio che di lì a poco si rivelerà prezioso: Valterino scamperà al prevedibile mandato di cattura piovutogli sul capino nel giro di qualche giorno. Ma, sventuratamente, l'abile mossa ha fatto cilecca: come spiega Tinti qui a fianco, incitare alla latitanza non è reato (non lo è nemmeno la latitanza, che anzi è un diritto). Intendiamoci: B. non l'ha fatto apposta: era in assoluta buona fede, sinceramente convinto di delinquere un'altra volta, come ai bei tempi. Solo che non ce la fa più.

Sarà l'età, o la mancanza di allenamento, o la lontananza dai vecchi complici Previti e Dell'Utri, o l'ansia da imputazione: ma non è più lui. Fino a pochi mesi fa commettere un reato gli riusciva facilissimo, naturale, come bere o respirare: ora invece, per quanti sforzi faccia, colleziona più fiaschi di una cantina sociale. Ma chi, come noi e le Olgettine, lo vorrebbe sempre in splendida forma, non deve disperare. L'ultima grande occasione si presenterà martedì, quando comparirà dinanzi ai pm di Napoli come testimone.

Certo, "testimone" non è una bella cosa. Anche perché, in quella veste disonorevole, B. sarà interrogato senza avvocati, nudo come mamma Rosa l'ha fatto. E, senza Ghedini che gli dà i calcetti sotto il tavolo e alla mala parata lo porta via di forza, è capace di tutto: anche di confessare l'affondamento del Titanic e l'abbattimento delle Due Torri. L'ultima volta che gli capitò, nel ‘96, chiamato dagli avvocati di Dell'Utri a testimoniare nel processo di Torino per le false fatture di Publitalia, cercò di convincere i giudici che un po' di evasione fiscale non ha mai fatto male a nessuno, anzi: quando ci vuole ci vuole.

Risultato: Dell'Utri si beccò 3 anni di galera e, prudenzialmente, non lo chiamò più a testimoniare a suo favore, sennò gli davano l'ergastolo. Ora lo chiamano i pm di Napoli: vogliono sapere tutto sugli 800 mila euro passati a Tarantini (più affitto e stipendio mensile di 20 mila euro, tutto rigorosamente in nero, nell'ambito della rinata lotta all'evasione) e in parte trattenuti da Lavitola. I casi sono due: o il teste B. mentirà anche a verbale, perseverando nella barzelletta dell'elemosina "a una famiglia bisognosa".

Oppure - Dio non voglia - dirà la verità sulle orde di sanguisughe che lo stanno spolpando vivo a suon di ricatti e sui fondi riservati da cui attinge tutto quel contante per tacitare questo e quella.

Nel primo caso, scatterebbe l'incriminazione per falsa testimonianza e ritroveremmo il formidabile imputato colpevole degli anni verdi (la prima imputazione fu proprio di falsa testimonianza sulla P2, a Venezia, nel 1989, e il primo processo non si scorda mai). Nel secondo, non lo riconosceremmo più e dovremmo rassegnarci alla sua ineluttabile fine. Forza Cavaliere, non ci deluda.

 

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