stella rizzo

STAMPA BASTARDA - DOPO AVERLO INCENSATO FINO ALLA NAUSEA, IL “CORRIERE” INTONA “ADDIO MIA BELLA NAPOLI” - RE GIORGIO AVEVA ACCUSATO (A RAGIONE) I MEDIA DI AVER CAVALCATO L’ONDA “EVERSIVA” DELL’ANTIPOLITICA - STELLA E GALLI DELLA LOGGIA SI DIFENDONO MENTENDO

GIAN ANTONIO STELLA PH MARIO CASTIGLIONI GIAN ANTONIO STELLA PH MARIO CASTIGLIONI

DAGOANALISI

Essì.

C’e’ una “zona grigia” non soltanto tra l’amministrazione pubblica e la criminalità organizzata come rivela l’ultima inchiesta romana sulla cupoletta malandrina che da anni agiva, indisturbata, dalle parti del Campidoglio.

 

Giacché, come vedremo, c’è pure una materia (cerebrale) più plumbea: quella dei giornalisti smemorati che adesso si arrovellano accigliati su quel “mondo di mezzo” figlio anch’esso dell’antipolitica. Almeno è quanto si coglie nel leggere la stampa dei Poteri marciti, con tutte le immancabili sfumature filologiche sul fenomeno delinquentistico-tangentaro e – appunto -, sull’”antipolitica eversiva” (negata), evocata un po’ a sorpresa anche dal capo dello Stato ormai in uscita dal Quirinale.

Gian Antonio Stella Gian Antonio Stella

 

L’INCORRUTTIBILE “CITTA’ DIO” PASOLINIANA, CINICA E CRUDELE

Dal “Gobbo del Quarticciolo”, l’ex partigiano “rosso” Giuseppe Albano, al “Guercio di Sacrofano”, l’ex terrorista “nero” Massimo Carminati, in realtà dal dopoguerra in poi la storia del malaffare romano si è sempre intrecciata con la politica, le sue vecchie ideologie e i servizi segreti più o meno deviati. 

 

“A Roma bisogna pur arrangiarsi…”, sosteneva Pier Paolo Pasolini. Negando lo scrittore di “Ragazzi di vita”, con un mirabile paradosso, che la città possa essere corrotta come la immaginavano a Milano. E per una ragione (forte) tutta “pasoliniana”: la Città di Dio, “cinica e crudele” è sempre stata “corrotta” perché non “purezza” da ostentare o difendere.

giorgio napolitanogiorgio napolitano

 

“Sarà pure scetticismo e anti-giornalismo, ma qui a Roma tutto è già abbastanza accaduto, tutto qui si accalca e si contamina…”, ha ben sottolineato su “la Repubblica” il puntuale Filippo Ceccarelli.

 

Così, l’unica vera novità rispetto al passato banditesco romano l’ha colta sul “Corriere della Sera” l’eccellente Giovanni Bianconi: “Non i malavitosi a disposizione della politica e dell’amministrazione, ma il contrario”.

 

Benvenuti, allora, nella cosiddetta Seconda Repubblica che doveva essere “purificata” dalla santa Rivoluzione italiana, proclamata a mezzo stampa da Mieli&Scalfari.

 

SCIASCIA E LA “MAFIA” APPLICATA ALLA “COSA” CHE NON E’ COSA

giorgio napolitanogiorgio napolitano

Quanto alla diatriba innescata da Giulianone Ferrara su “il Foglio” (La Grande Bufala), contestando che nella capitale agisse un autentico sistema di cosche mafiose - come sostiene invece il procuratore capo Giuseppe Pignatore, promotore dell’inchiesta Mafia Capitale -, già nel 1972 Leonardo Sciascia (“La storia della mafia”) faceva osservare che “la parola mafia è stata applicata alla cosa, o la cosa ha preso quel nome, in forza di una distinzione qualitativa” o di un “pregiudizio”.

 

Ma questa distinzione, aggiungeva lo scrittore è antica, “vien fuori” nel 1838 dalla relazione dell’allora procuratore di Trapani don Pietro Ulloa che, a proposito di mafia, parla di “oscure fratellanze, sette segrete che diconsi partiti, un popolo che le fiancheggia, magistrati che le proteggono”.

 

Il che non sembra essere il “caso” (o la “cosa”) della banda guidata da Er Guercio di Sacrofano e dall’ex galeotto Salvatore Buzzi che si dava appuntamento in una pompa di benzina. E che qualcuno nel Pd renziano chiamava “il capo” (Micaela Campana).

 

E’ CADUTA UNA STELLA (GIAN ANTONIO) AL CORRIERE DELLA CASTA

ferruccio de bortoliferruccio de bortoli

E arriviamo all’esternazione di Re Giorgio II. Il presidente della Repubblica sottolineando le degenerazioni della politica in antipolitica come “patologia eversiva”, ha aggiunto che a quest’azione eversiva non si sono sottratti “infiniti canali di comunicazione, a cominciare da giornali tradizionalmente paludati, opinion makers lanciati senza scrupoli a cavalcare l’onda, per impetuosa e fangosa che si stesse facendo, e anche, per demagogia e opportunismo, soggetti politici pur provenienti delle tradizioni del primo cinquantennio della vita repubblicana”.

 

Ben detto Bella Napoli!

Gli ammutinati di via Solferino capitanati da Flebuccio de Bortoli non l’hanno presa bene l’intemerata del sovrano fin qui adulato fino alla nausea. Il Gabibbo alle vongole, Gian Antonio Stella, sentitosi tirato per le valve da Napolitano si è fatto intervistare da “il Fatto” per raccontare la solita favoletta: è soltanto la “cattiva politica” e non l’agitare dei  “forconi”, sempre benedetti dai Poteri marciti, a provocare la diffusione dell’ebola dell’antipolitica.

la casta rizzo stella coverla casta rizzo stella cover

 

ARIDAJIE! DON STURZO ATTACCAVA MATTEI NON I LADRI DI GALLINE

Ma Stella e il suo co-autore, Sergio Rizzo, chiamati dall’allora direttore Paolino Mieli a “incoraggiare” (siamo nel 2006, esecutivo Prodi) la nascita di un “governo tecnico” - come ha rivelato senza tema di essere smentito Massimo Mucchetti (“solo una piccola idea politica per promuovere leader Montezemolo”, ha detto l’allora vice direttore del Corriere) , continua ad attaccarsi alla povera tonaca di Don Sturzo per difendere la sua missione salvifica.

 

E’ incontestabile che nel 1950, ma all’insaputa di Stella - per primo – il prete di Caltagirone parlò in Parlamento sul rischio che i partiti potessero tramutarsi in “caste e tribù”.

A differenza dei Gabibbo alle vongole, però, don Sturzo attaccava frontalmente il presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Cioè, l’uomo più potente in Italia nel primo dopoguerra, non i ladri di galline o le mezze tacche della vecchia Nomenklatura.

 

E siamo davvero messi male, aveva già osservato su “Candido” (1950) Giovannino Guareschi se in Italia non si trova mai un “perfetto galantuomo da citare ad esempio per onesta e dignità anche dopo che il vecchio prete è morto”.

giuliano ferrara (3)giuliano ferrara (3)

Figuriamoci mezzo secolo dopo e passa.

 

LE AMNESIE DI GALLI DELLA LOGGIA, LO “SMEMORATO” DI VIA SOLFERINO

“Non butti i guanti chi ha le mani sporche”, consigliava lo scrittore e poeta Stanislaw J.Lec. E l’aforisma sembra calzare a pennello per l’editorialista, Ernesto Galli Della Loggia, che sul solito Corrierone sferra un altro colpo basso al ventre del capo dello Stato.

 

Colpevole, a giudizio dell’ex consigliore politico di Claudio Martelli, di aver fatto cadere nel vuoto la drammatica lettera-denuncia lasciata dal deputato socialista Sergio Moroni appena suicidatosi per effetto dell’inchiesta Mani pulite (1992).

 

Il comportamento dell’allora presidente della Camera in verità non fu impeccabile. Ma qualcuno ricorda che il prode Della Loggia e il Corrierone di Mieli che da anni lo stipendia – sempre ispirato dal giudice Borrelli e in prima fila nella caccia alle streghe di Tangentopoli -, abbiano mai alzato un ditino in difesa dell’”innocenza” del povero Moroni? O abbia alzato mai il sopracciglio professorale per denunciare la deriva politico-istituzionale in cui si avviava il Bel Paese?

 

Tant’è, che l’Ernestino si è speso anche a favore del movimento populistico di Beppe Grillo.

sciasciasciascia

Così, senza un minimo di vergogna, nel polemizzare con Napolitano il Della Loggia parla di “peccato originale” dell’antipolitica, dimenticandosi di aver nuotato in quella melma politico-giudiziaria che è stata la transizione alla cosiddetta seconda Repubblica. E di aver servito i suoi editori di riferimento (la Fiat) anche quando si trattava di far assegnare i giochi olimpici invernali alla Torino degli Agnelli (2006). Ma per raggiungere quel risultato andava “demonizzata” la candidatura di Roma-ladrona ai giochi del 2004 (sindaco Rutelli).

 

Il Comitato olimpico internazionale, infatti, non avrebbe mai potuto consegnare all’Italia entrambe le manifestazioni. Una andava sacrificata in nome dell’Avvocato. E Della Loggia si è piegato alla “legge del Mielazza” (alias l’ex direttore Paolo Mieli). E se ne vuole conferma chieda al mitologico Cesare Romiti.

 

Insomma, per dirla con Giulianone Ferrara, a volte è preferibile “la merda dei corrotti al sapore dolciastro dell’ipocrisia”.

 

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