WEB, PORTE APERTE AI ‘SOCIAL-HATERS’ - L’ULTIMA VITTIMA DELL’ODIO 2.0 È LA MERKEL, CHE HA BATTUTO IL CULONE SCIANDO - PRIMA DI LEI GLI AUGURI DI MORTE A BERSANI E A CATERINA SIMONSEN

1 - QUELL'ONDA DI ODIO CHE VIAGGIA SUL WEB
Stefano Bartezzaghi per ‘La Repubblica'

Finalmente una bella notizia». La notizia è l'ictus che ha colpito Pierluigi Bersani e questo è il più soave e frequente fra i commenti malevoli che la notizia stessa ha ricevuto in rete ancora prima che l'ex segretario Pd fosse sotto i ferri, per un intervento chirurgico dagli esiti oltremodo incerti. Ad Angela Merkel, vittima di un incidente sciistico non gravissimo, è ancora andata bene: ma qualcuno ha rimpianto che non le sia toccata la sorte di Michael Schumacher.

Per l'ischemia di Bersani si sono invece registrati messaggi di esultanza, insulti, auguri di morte lenta, incitamenti al male pari a quelli al Vesuvio e all'Etna quando minacciano eruzioni. Commenti apparsi dappertutto, sul blog di Beppe Grillo, sulla pagina Facebook del Fatto quotidiano, ma anche su quelle di altri giornali, fra cui Repubblica: atrocità.

Dopo l'esperimento che fece Radio Radicale mandando in onda i messaggi ricevuti nella sua segreteria telefonica (nel 1986 e poi nel 1993) ogni sgomento su quanto un cittadino possa dire, quando sente di poter parlare liberamente e avere ascolto, risulterebbe se non ipocrita almeno di maniera. Le interpretazioni possibili sono variegate: volontà di sfregio, goliardia, satira, occasione di dirla grossa, sfogo di «vera rabbia» (da comprendere, se non giustificare), fino all'ovvio «colpa di Internet».

Ma il problema non è Internet, per quanto la rete dia visibilità immediata e a fare notizia sia ovviamente solo la categoria dei messaggi estremi (in verità molti altri grillini hanno contestato gli sciacalli, e ieri mattina anche Beppe Grillo ha scritto un post di auguri).

La rete è semplicemente sempre aperta e sempre visibile, i controlli e la moderazione non sono facili e a volte sembrano maliziosamente tardivi. Il vero salto di qualità, però, consiste nel coro di invocazioni di morte su un avversario, nel momento in cui egli rischia effettivamente la vita. Lì siamo arrivati, qualche gradino sopra ai «devi morire» per il centravanti che mugola in area falciato da un difensore, o ai cappi sventolati in Parlamento.

Oggi siamo alla morte augurata a chi la sta effettivamente rischiando, e il fatto è che il caso di Bersani non è neppure il primo. Di poco lo ha preceduto, ed è forse ancora più impressionante, quello di Caterina Simonsen, la giovane studentessa di veterinaria che una settimana fa ha difeso le ragioni di una corretta sperimentazione animale (a cui, malata, deve personalmente svariati anni di vita) e di conseguenza ha ricevuto insulti e soprattutto schiette dichiarazioni il cui senso era: meglio che morissi tu, piuttosto che innocenti cavie di laboratorio.

In questo caso opera un rancore puro e impersonale. Questo significa che oggi, in Italia, l'augurio di morte può saettare, e da un numero significativo di tastiere, in maniera paradossalmente spassionata. Siamo puri nomi, o nomignoli. Molti di questi commenti sono tranquillamente firmati: non ci curiamo di nasconderci dietro all'anonimato perché non vediamo più la persona, la carne e la vita, dietro ad alcun nome proprio. Non l'altrui ma neppure il nostro. Bersani, anzi "Gargamella": una parola. Angela Merkel, due parole. Schumacher, un brand. Il nostro nome-e-cognome, un account.

Inventare la battuta più efficace, o l'insulto, vale al massimo come sfogo, non ci si preoccupa neppure delle conseguenze penali che possono derivarne. Nell'epoca che magnifica l'empatia come suprema qualità umana, cosa davvero sia il dolore a cui alludono con precisione le parole di una diagnosi, o quelle di una maledizione (comunque, di una condanna), non pare interessante né pertinente.

In un immaginario spaventosamente monocorde siamo tutti vittime di soprusi, il potente che cade ha finalmente avuto il fatto suo. «Anche mio nonno è stato in ospedale ma nessuno se n'è fregato», ha scritto un tizio a proposito di Bersani. Nel suo pauroso candore, la protesta indica la soglia che si è varcata, anno 2014. La nostra morte sarebbe indifferente a chiunque e quindi la morte di chiunque ci è indifferente, anzi ben venga. Questo è il limite che abbiamo raggiunto oggi. Il prossimo?

2. QUEGLI INSULTI A BERSANI E MERKEL
Fabio Tonacci per ‘La Repubblica'

Il ventre più basso della Rete fa orrore. «Muori Bersani. Spero che arrivi morto all'ospedale ». Sghignazza per battute minime. «Vai a smacchiare i giaguari nell'aldilà... «. Senza pietà. «Peccato che la Merkel non abbia battuto la testa, questo scorfano in gonnella purtroppo respira ancora... «. Sordo alla sofferenza dell'altro. «Caterina, se crepavi anche a 9 anni non fregava nulla a nessuno».

Il social odio negli angoli bui del web si sparge in fretta: un post su facebook, poi un altro, un hashtag, i commenti si fanno cattivi, poi infami. Il branco che individua il capro da "sacrificare", per espiare chissà quali frustrazioni. Ieri la vittima era una ragazza che lotta contro quattro malattie rare, oggi sono Pierluigi Bersani e Angela Merkel.

«Speriamo che ci resta secco», scrive Salvatore appena si diffonde la notizia dell'emorragia cerebrale che ha colpito l'ex segretario del Pd. «Crepaaaa e portati pure il mortadellone di merda», risponde Mirco. Anche nelle pagine Facebook dei giornali, tra i tanti, tantissimi messaggi di solidarietà, sono apparsi post (immediatamente rimossi) come questi: «Riposa in pace, parassita», «eddaje che ce lo leviamo dalle palle », «spero schiatti lentamente soffrendo tanto tanto».

Subito dopo su Twitter qualcuno lancia l'hashtag # bersanimuori. Simone scrive: «Godo!». Poi ne è nato un dibattito sul web, quasi tutti a condannare l'idiozia di un hashtag del
genere e qualcuno che però lancia delle provocazioni: «Gli davano del mentecatto fino a ieri e adesso tutti piangono al capezzale. Dai, solite pulcinellate», dice Paolo. E Antonio osserva: «Sono mesi che Beppe Grillo parla di morti e augura morte, quindi perché sconvolgervi per #bersanimuori?».

Alcuni post di veri o presunti fan di Grillo, apparsi in queste ore, fanno discutere. Vito Crimi, ex capogruppo del Movimento 5 Stelle in Senato, ne ha scritto uno di incoraggiamento a Bersani sulla sua pagina Facebook, ma nel diluvio di commenti che ne è seguito ci sono quelli di Enza, «la notizia mi ha lasciato del tutto indifferente»,
Mariano, «nessuna pietà per chi non ne ha avuta», Ester, «finiamola con questo buonismo, Vito».

Insomma, il popolo che non prova misericordia di fronte all'avversario in difficoltà, che non concede l'onore delle armi e affonda lo stesso il colpo. Poi però è stato proprio Grillo a mettere sul suo blog un lungo messaggio di solidarietà a Bersani. Spiega il sociologo Paolo Ferri, docente all'Università Bicocca di Milano: «Manifestazioni di odio come queste sono aumentate perché si è massificata l'utenza. Prima del settembre 2009 i social network erano di nicchia, poi c'è stato il boom. Il risultato è che si è abbassato il livello medio dell'utente».

Anche la frattura del bacino di un leader politico, quale è la cancelliere tedesco Angela Merkel, caduta mentre faceva sci di fondo, aizza il branco. «Che sfiga respira ancora», scrive Simone su Facebook. E altri aggiungono: «Bene! Prossima volta punta direttamente al burrone... «, «Bersani in ospedale, la Merkel è caduta... bastardi crepate». Insomma, grosso modo il tenore è questo. Nessuno si nasconde dietro l'anonimato, tutti hanno una faccia, un nome e un cognome. «Spesso si è convinti che il messaggio non si diffonda - spiega ancora Ferri - c'è veramente poca consapevolezza dei settaggi di privacy dei social network».

Bersani, la Merkel, Caterina Simonsen, la 25enne padovana studentessa di veterinaria ricoperta di insulti e minacce sul web dagli animalisti più radicali, sono solo gli ultimi episodi. Quando Umberto Bossi si sentì male, nel 2004, nelle community e nei forum giravano messaggi del tipo «forza ictus! ». Lo stesso accadde quando Berlusconi fu colpito dalla statuetta lanciata da Tartaglia in piazza duomo a Milano: di auguri di morte ne apparvero a centinaia.

E chi si dimentica cosa venne fuori da "Microfoni aperti", quell'iniziativa lanciata da Radio Radicale nel 1993 per cui venivano trasmessi senza censura i messaggi degli ascoltatori? «Milanesi bastardi», «terroni peste d'Italia», «nordisti froci». Su 100 telefonate, 60 erano di odio. Internet non è diverso, è solo un megafono più grande.

 

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