PER PUTIN IL DIRITTO INTERNAZIONALE ESISTE SOLO QUANDO GLI FA COMODO - DOPO CHE I PAESI UE HANNO DECISO IL CONGELAMENTO PERMANENTE DEGLI ASSET DI MOSCA, LA BANCA CENTRALE RUSSA ANNUNCIA DI VOLER INTENTARE UNA CAUSA CONTRO "EUROCLEAR", LA SOCIETÀ IN CUI SONO DEPOSITATI 185 DEI 210 MILIARDI DI EURO DI ASSET RUSSI IMMOBILIZZATI DALL'UE DOPO L'INVASIONE IN UCRAINA - MOSCA CHIEDERÀ UN RISARCIMENTO DANNI PARI ALL’IMPORTO TOTALE DEI SUOI BENI CONGELATI - L'IMMOBILIZZAZIONE DEGLI ASSET RUSSI È STATA VOTATA DA 25 PAESI, NO DI UNGHERIA E SLOVACCHIA. ITALIA, BELGIO, MALTA E BULGARIA HANNO DETTO SÌ, MA CON LA CONDIZIONE CHE SOLO I LEADER DEI PAESI POTRANNO DECIDERE COSA FARE DEI 210 MILIARDI - ROMA E PARIGI SONO I PAESI PIÙ TIMIDI: LE IMPRESE DI ENTRAMBI I PAESI HANNO FANNO ANCORA AFFARI IN RUSSIA E TEMONO DA PARTE DI MOSCA IL...
LA BANCA CENTRALE RUSSA FA CAUSA ALL'UE SUGLI ASSET
Estratto dell'articolo di Francesca Basso per il "Corriere della Sera"
L’unico punto fermo è che gli Stati Ue hanno reso permanenti (ma temporanee) le sanzioni che immobilizzano gli asset della Banca centrale russa, precondizione necessaria per poi decidere di usarli per finanziare il «prestito di riparazione» da 90 miliardi da dare a Kiev.
La decisione è stata presa a maggioranza qualificata: Ungheria e Slovacchia hanno votato contro. Belgio, Italia, Malta e Bulgaria a favore ma hanno anche sottoscritto una dichiarazione, visionata dal Corriere, in cui sottolineano che «questo voto non pregiudica in alcun caso la decisione sull’eventuale uso dei beni immobilizzati russi, che deve essere presa a livello di leader (che decidono per consenso e non a maggioranza, ndr) e che non costituisce un precedente per l’area della Politica estera e di sicurezza comune».
VIGNETTA SU PUTIN CHE SI PAPPA L UCRAINA
Queste sanzioni sono permanenti nel senso che non dovranno essere rinnovate ogni sei mesi come avviene ora all’unanimità, ma il divieto di trasferire a Mosca le attività della Banca centrale russa immobilizzate nell’Ue è «temporaneo» e resterà fino a quando — spiega una nota del Consiglio — «la messa a disposizione di ingenti risorse finanziarie e di altro tipo alla Russia» per sostenere la guerra contro l’Ucraina «pone, o minaccia di porre, gravi difficoltà economiche all’interno dell’Unione e dei suoi Stati membri».
Sono sanzioni temporanee perché altrimenti si tratterebbe di una confisca che è vietata dal diritto internazionale. La decisione è stata «presa con urgenza per limitare i danni all’economia dell’Unione»: è la formula usata dal Consiglio per giustificare l’uso della maggioranza qualificata e non l’unanimità, appellandosi all’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue.
Immediata la reazione di Mosca. La Banca centrale russa ha annunciato di voler intentare una causa presso la Corte arbitrale di Mosca contro Euroclear, la società con sede a Bruxelles in cui sono depositati 185 dei 210 miliardi di euro di asset russi immobilizzati nell’Ue. Euroclear è accusata di rendere «impossibile per la Banca disporre dei suoi fondi e titoli».
Inoltre la Banca di Russia ha avvertito che contesterà qualsiasi uso non autorizzato dei beni da parte della Commissione Ue presso tutte le autorità competenti disponibili, compresi i tribunali nazionali, gli organi giudiziari di Stati esteri e le organizzazioni internazionali e cercherà inoltre «l’esecuzione delle decisioni giudiziarie» in qualsiasi Stato.
murales con il volto di putin su un palazzo di mosca
La Russia chiederà — secondo Bloomberg che cita l’agenzia di stampa Interfax — un risarcimento danni pari all’importo totale dei suoi beni congelati, oltre alle ulteriori entrate perse. La mossa di Mosca punta ad aumentare la pressione sul Belgio e sugli Stati Ue che giovedì al summit dovranno decidere in che modo sostenere le necessità finanziarie dell’Ucraina.
Nella dichiarazione Italia, Belgio, Bulgaria e Malta «invitano la Commissione e il Consiglio a continuare a esplorare e discutere opzioni alternative in linea con il diritto dell’Ue e internazionale, con parametri prevedibili e che presentino rischi significativamente minori» come «un meccanismo di prestito dell’Ue o di soluzioni ponte, in modo da garantire la continuità del sostegno prima che una qualsiasi delle opzioni sul tavolo possa effettivamente entrare in vigore».
CHI FRENA SULL'UTILIZZO DEI 185 MILIARDI DI BENI RUSSI CONGELATI? PERCHÉ PUNTARE IL DITO CONTRO IL BELGIO È FUORVIANTE
Estratto dell'articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
La pressione in vista di un accordo per l’uso delle riserve russe a favore dell’Ucraina ricade oggi tutta sul Belgio. È in Belgio che si trova il 90% circa di quei beni congelati, con i 185 miliardi depositati presso la piattaforma finanziaria (privata) Euroclear con base a Bruxelles.
È sempre il Belgio ad aver espresso le maggiori riserve all’uso di quei fondi russi, temendo di dover rimborsare Mosca in proprio se in futuro un tribunale internazionale sancisse che il ricorso a quei beni è un esproprio (oppure se si arrivasse ad un accordo che implica la levata di tutte le sanzioni e la restituzione delle riserve). [...]
In queste condizioni accusare il Belgio dello stallo europeo e di un eventuale fallimento sui beni di Mosca sarebbe facile. Facile, ma fuorviante. Appare più probabile che altri governi oggi si nascondano dietro le obiezioni belghe, tenendo in secondo piano le proprie riserve e gli ostacoli che essi pongono a un accordo. Quali governi? Germania, Francia e Italia. Vediamo perché, partendo dal più grande e, in apparenza, più determinato a usare i fondi di Mosca: la Germania.
Il cancelliere Friedrich Merz vuole finanziare l’Ucraina con le riserve russe. Ma la debolezza della sua coalizione con la Spd e quella specifica del suo partito (Cdu-Csu, al 24% nell’ultimo sondaggio Forsa di inizio dicembre) di fronte alla destra estrema di Alternative für Deutschland (al 26%, sempre nell’ultimo sondaggio Forsa), spinge il governo tedesco a porre delle condizioni complicate. In particolare, la Germania ha chiesto ed ottenuto dalla Commissione europea un meccanismo che sta inceppando l’intera struttura del prelievo dei beni.
Questo prelievo è concepito, sul piano legale, come segue: la Commissione europea colloca presso Euroclear un titolo di debito da 185 miliardi, in cambio del quale Euroclear presta questa somma alla Commissione europea in denaro liquido. Grazie a essa poi Bruxelles finanzia l’Ucraina, come anticipo delle riparazioni che si ritiene la Russia sarà condannata a pagare a Kiev in futuro. In caso che poi la Russia in futuro paghi davvero le eventuali riparazioni, l’Ucraina stessa dovrebbe rimborsare la Commissione Ue, che poi rimborserebbe Euroclear, che poi eventualmente rimborserebbe Mosca: ovviamente solo se quest’ultima – in un futuro ipotetico – appunto pagasse le riparazioni all’Ucraina. Se rifiutasse di riconoscere quelle riparazioni, invece, si intende che le riserve russe restano all’Ucraina in sostanza come (parziale) indennizzo.
GIORGIA MELONI CONTRO LE SANZIONI ALLA RUSSIA NEL 2015
C’è però una clausola tedesca che inceppa l’intero meccanismo. Merz ha convinto von der Leyen a far sì che il titolo di debito della Commissione, da consegnare a Euroclear, sia infruttifero e non rivendibile sul mercato. In pratica, sarebbe come una cambiale senza interessi di von der Leyen a Euroclear: nessun altro saprebbe cosa farsene.
Perché questo è un problema? Lo è proprio perché quel titolo di debito ha caratteristiche tali – zero cedola, invendibile sul mercato – che Euroclear non potrebbe presentarlo in garanzia alla Banca centrale europea per ricevere liquidità. Invece questa possibilità di accedere ai prestiti della Bce sarebbe essenziale per assicurare la sopravvivenza di Euroclear. [...]
Poi ci sono le responsabilità di Italia e Francia. Per metterle a fuoco va tenuto conto che il Belgio non oppone un rifiuto totale all’uso delle riserve russe; piuttosto, chiede che tutti i Paesi europei garantiscano la propria parte di rimborso nel caso in cui sia il Belgio a dover eventualmente rifondere Mosca. Il piccolo Paese, con un’economia di circa 560 miliardi di euro, teme altrimenti di essere devastata da un singolo pagamento da 185 miliardi.
PETROLIERE RUSSE CHE AGGIRANO LE SANZIONI SUL PETROLIO
Per questo al Belgio non bastano vaghi impegni, ma chiede garanzie legalmente esigibili dagli altri Paesi europei (pur accettando di fare la propria parte). E perché le garanzie siano esigibili, gli altri governi dovrebbero approvare le relative leggi in parlamento: un po’ come l’Italia fece per le garanzie sul credito alle imprese durante il Covid. I governi di Italia e Francia dovrebbero, entrambi, impegnarsi dunque su circa 25 miliardi di euro ciascuno: non da sborsare, né da accantonare, ma da versare solo in caso di escussione delle garanzie.
Ma né Giorgia Meloni, né Emmanuel Macron hanno intenzione, per ora, di affrontare l’impopolarità di un passaggio parlamentare che offra garanzie in nome dell’Ucraina. Ritengono entrambi che il costo politico per loro sarebbe troppo elevato. Per questo non intendono aiutare il Belgio a risolvere il suo problema. Non così, almeno.
C’è forse poi un’altra ragione anche meno confessabile, dietro la freddezza di Francia e Italia sul piano per le riserve russe. Imprese di entrambi i Paesi hanno ancora sostanziali attività e beni investiti in Russia e temono il sequestro da parte del governo di Mosca, come ritorsione al piano europeo sulle riserve.
La francese Total Energies ha notevoli quote azionarie in Novatek (giacimenti di petrolio) e Yamal LNG (giacimenti e liquefazione di metano). In Russia operano poi anche grandi e medie imprese italiane come Cremonini (fa la distribuzione di carni negli ex stabilimenti McDonald, ora in mano a un oligarca locale), Ferrero o De’ Longhi. I conti contenenti gli utili delle imprese italiane dal 2022 valgono almeno mezzo miliardo di euro, sono bloccati in Russia e sarebbero senz’altro sequestrati in caso di uso delle riserve.






