DRAGHI VUOLE STAMPARE MONETA, E HOLLANDE VUOLE SFORARE IL DEFICIT PER NON ESSERE INFILZATO DA MARINE LE PEN ALLE EUROPEE: TROPPA BALDORIA PER IL RIGORE TEDESCO

1. L'EURO IN BILICO TRA DRAGHI E HOLLANDE
Adriana Cerretelli per "Il Sole 24 Ore"

L'attuale fase di resipiscenza della crisi e i fragili segnali di ripresa economica non fugano i tormenti dell'euro. L'imminenza delle elezioni europee del 25 maggio, poi, non aiuta ma confonde le carte della politica un po' dovunque. Soprattutto a Parigi.

Ora che la Bce di Mario Draghi si è messa a fare l'americana optando per il quantitative easing come la Fed, calando sul mercato l'asso di un nuovo intervento da mille miliardi per sostenere la crescita e allontanare la prospettiva di una stagflazione prolungata; ora che per la quarta volta il "fortino" della moneta unica schiera l'artiglieria per salvare l'euro da vistose inadempienze e ritardi decisionali dei suoi governi, si potrebbe tirare un sospiro di sollievo. Come del resto hanno fatto subito i mercati.

Si potrebbe. A condizione prima di tutto di capire bene i dettagli operativi del Qe secondo la Bce e poi, soprattutto, di non fraintendere le intenzioni di Draghi, che di sicuro non contemplano implicite licenze di deviazione da patti e disciplina europea. Per nessuno.

Anzi, quanto più si dovrà sconfinare nel pragmatismo eterodosso stampando moneta e allentando i freni della politica monetaria, tanto più diventa necessaria l'ortodossia del rigore nei conti e delle riforme per tutti: non per ragioni ideologiche ma perché entrambi sono gli ingredienti-base di crescita e competitività sostenibili nel tempo dell'economia globale. Senza contare il calo di fiducia nell'eurozona che seguirebbe alla violazione delle sue regole.

Ma rispetterà la Francia di François Hollande quelle regole dopo che, incassata la bruciante sconfitta delle amministrative, ora rischia la "débâcle" alle europee per mano del Fronte Nazionale di Marine Le Pen?

Anche l'Italia di Matteo Renzi ha violentemente oscillato nel l'abbraccio con l'Europa delle regole ma poi, forse perché ha il vento in poppa, le riforme in canna e i consensi in ascesa, pare per ora decisa a tenersi nei ranghi. Del resto iper-debito e fiscal compact obligent. E poi tra Italia e Francia, tra la terza e la seconda economia dell'euro, c'è un abisso: lo scudo tedesco vale solo per Parigi e nessun altro.

Forte del suo status privilegiato e sapendo bene che il suo frondismo giocato fino in fondo potrebbe far saltare il banco dell'euro, la Francia di Hollande con le spalle al muro in casa intende strappare altre concessioni all'"eccezione francese", scaricando sulla Germania della Merkel, in caso di rifiuto, la responsabilità del successo annunciato dell'anti-europeismo e dell'estrema destra in Francia. E di qui in Europa.

La mossa è abile, il risultato incerto. Per ora la richiesta di un nuovo rinvio per il rientro del deficit al 3% entro il 2015, dopo i due anni in più già incassati solo l'anno scorso e il mancato rispetto della tabella concordata per la discesa (4,3% il disavanzo nel 2013), è stata accolta da un muro di no.

«Non vedo circostanze eccezionali con impatto sul bilancio francese che la giustifichino» taglia corto il commissario Ue Olli Rehn. «La Francia deve rispettare le stesse regole di Cipro, Malta e tutti gli altri. Non credo otterrà di nuovo un trattamento speciale» ha affermato Jean-Claude Juncker, ex presidente dell'Eurogruppo e candidato dei popolari alla presidenza della Commissione Ue. Secondo Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, «vanno chiarite a Parigi le sue responsabilità».

Molto più cauto invece ieri a Berlino il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble dopo l'incontro con Michel Sapin. Forse perché il collega francese non ha parlato di rinvii (almeno ufficialmente) ma ribadito la volontà di mantenere gli impegni europei, con tagli di spesa, delle tasse e riforme, senza ignorare le esigenze della crescita. Forse perché, ha detto Schäuble, la Germania «ha bisogno di una Francia forte».

Non ci fosse il precedente del patto di stabilità violato nel 2003 dal "golpe" franco-tedesco con tutti i danni che ne derivarono, compreso l'alibi politico per la deriva dei conti in Grecia. Non ci fossero le condizioni draconiane imposte (e rispettate) a Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e Cipro, tutti con conti pubblici fuori controllo ma ora in fase di convalescenza più o meno brillante, in questi tempi grami di disoccupazione alle stelle la crociata francese potrebbe fare abbondanti proseliti.

La prospettiva del nuovo Europarlamento controllato per un terzo dagli anti-europei di estrema destra e sinistra è un rischio serio di ingovernabilità prossima ventura dell'Europa prima che delle sue istituzioni. Ma ancora più serio nell'immediato è il rischio di una sfida irremovibile della Francia ai patti europei: per gli effetti-domino che si trascinerebbe dietro ma ancora di più perché attenterebbe al cuore dell'euro, a quell'intesa tedesco-francese che con il tempo si è fatta sempre più fragile ma che finora è riuscita a salvare le apparenze. A beneficio di tutti.

Sarebbe paradossale la minaccia della "rupture" proprio quando la Bce tenta il rilancio della crescita europea malata di deflazione, scarsi crediti e investimenti. Lo strappo di Hollande paralizzerebbe il piano Draghi e alla lunga provocherebbe danni incalcolabili alla Francia e all'Europa. Visti i precedenti storici, c'è da sperare che questa volta Parigi tiri la corda ma non la spezzi. E gli altri facciano altrettanto. Dopo le parole forti, a Berlino Schäuble e Sapin hanno fatto esercizi di moderazione e buon senso reciproco. Buon segno?


2. SUL RINVIO DEL DEFICIT PARIGI CERCA L'APPOGGIO TEDESCO
Vittorio Da Rold per "Il Sole 24 Ore"

A dare il tono complessivo del viaggio a Berlino del neoministro delle Finanze francese, Michel Sapin e di quello dell'Economia Arnaud Montebourg, era stato il titolo di apertura di "Le Monde": «Francia e Italia: l'offensiva dei cattivi allievi contro l'Europa».

E a riprova della tensione che ha accompagnato ieri il primo contatto del responsabile dei conti pubblici francesi, in cerca di maggiori spazi di manovra, con l'ortodossia dell'austerità tedesca, è stata la piccola gaffe fatta da Sapin quando ha chiamato il suo omologo tedesco «Schoble», al posto di Schäuble. Ma poi, il neo ministro transalpino, ha recuperato nel corso dei tre incontri svoltisi in una giornata densa di contenuti: un primo incontro a due, un successivo meeting collegiale con le rispettive squadre di direttori generali del Tesoro e funzionari ministeriali, una lunga colazione di lavoro.

In un Europa inquieta che vede aumentare la disoccupazione e il peso delle forze anti-europee (dopo il voto amministrativo francese e quello politico ungherese), il ministro francese Sapin, ha fatto sapere di essere pronto a prendere «decisioni dure e coraggiose» per ridurre il deficit dei conti pubblici transalpini. «Sappiamo tutti che la strada per uscire dalla crisi passa prima di tutto per la fedeltà ai nostri impegni e per la crescita economica», ha dichiarato Sapin in una conferenza stampa congiunta con il suo omologo tedesco, Schäeuble.

Parigi, quindi, non deraglia ufficialmente dall'ortodossia del rispetto dei conti nel segno del Trattato di Maastricht, ma il ministro dell'Economia francese, Montebourg, che partecipava al viaggio a Berlino, ha svelato l'altra faccia della medaglia. Secondo quanto riferito nel corso di un'intervista televisiva Montebourg ha detto al suo omologo tedesco Sigmar Gabriel che «la questione dei conti pubblici è secondaria rispetto alla crescita: la crescita crea posti di lavoro mentre i conti pubblici non creano un singolo posto, al contrario li possono distruggere. Questo è il messaggio che ho mandato ai miei interlocutori tedeschi che hanno mostrato di comprenderlo».

Un gioco delle parti? Forse. Parigi probabilmente ha mandato volutamente segnali ambigui: rispetto formale delle regole Ue appena rafforzate del Patto di stabilità e richieste informali di applicarle in modo più elastico, così come avvenne nel 2003 quando l'ex presidente francese, Jacques Chirac, e l'ex cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, concordarono che il Patto di stabilità della zona euro andava rispettato in funzione della «congiuntura internazionale, con un obiettivo di crescita» e quindi con «flessibilità».

Parigi ha già chiesto alla Commissione europea un'estensione dei tempi concessi per riportare il deficit, attualmente al 4,3%, nei parametri del Patto, una prospettiva che trovava contrari la Bundesbank e parte degli ambienti conservatori tedeschi preoccupati che gli euroscettici tedeschi, "Alternative für Deutschland", possano entrare nel Parlamento europeo, dopo la sentenza della Corte costituzionale tedesca che ha abolito due mesi fa la soglia di sbarramento del 3% per il voto europeo.

Sapin ha sottolineato che la Francia «deve diventare più competitiva» e ha promesso «dure riforme strutturali per una crescita solida e sana». Ogni misura tesa a ridurre il deficit francese, ha aggiunto il ministro, «può arrivare solo da tagli alla spesa». Non sarebbero quindi in arrivo nuove tasse, sebbene Sapin abbia annunciato l'intenzione di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie.

«La Francia ha confermato ora di conoscere le proprie responsabilità», ha commentato Schäuble, soddisfatto che l'ortodossia del rispetto del "Drei komma null", del deficit del "tre virgola zero" non sia stato attaccato, ma probabilmente è pronto a concedere più tempo per il raggiungimento degli obiettivi di bilancio in cambio di riforme strutturali che aumentino la competitività del "cattivo allievo" d'oltre Reno.

 

 

 

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