TE LO DO IO IL QUID! - FIGLIO MIO, MI HAI TRADITO! BERLUSCONI E ALFANO, INCONTRARSI E DIRSI ADDIO

Amedeo La Mattina per "La Stampa"

«Angelino mi ha tradito, mi ha veramente tradito, lui che deve tutto a me, che mi è stato affidato dal padre. Per me è un dolore umano indescrivibile. Mi ha tradito proprio ora, nel momento più difficile della mia vita, mentre i magistrati si accaniscono contro di me, mi interdicono, mi sbattono ai domiciliari e potrei finire in carcere il giorno dopo la decadenza da senatore».

L'amarezza di Berlusconi non ha confini. A ferirlo mortalmente è la rottura umana prima ancora che politica. Non ci credeva, non ci ha creduto fino all'ultimo minuto. Fino a quando Angelino Alfano, lunedì notte, gli ha detto in faccia: «io vado fino in fondo, voto la fiducia e rientro al governo, non torno più indietro». «No, Angelino - è stata la risposta dell'ex premier - torna al partito, guiderai tu Forza Italia, lascia il governo tanto ha vita breve, andiamo a elezioni e vinciamo».

Erano solo loro due a Palazzo Grazioli, nello studio del Cavaliere, dove tante volte l'ex premier e il suo ex delfino, il suo pupillo predestinato alla leadership del centrodestra, aveva studiato e preparato tattiche e strategie politiche, formato governi e teso agguati a Romano Prodi. E Angelino sempre al suo fianco, da ministro e segretario del Pdl, senza battere ciglio nella battaglia contro le «toghe canaglia». Anche quando il capo, in una Bruxelles umida e grigia, a margine di un vertice del Ppe disse che il giovane siciliano non aveva il «quid». Invece lunedì notte a Palazzo Grazioli, Alfano ha tirato fuori il quid e lo ha fatto anche ieri a ora di pranzo, sempre a quattr'occhi.

«Mi ha tradito», ha ripetuto decine di volte Berlusconi nel corso della giornata di ieri. Una giornata di caos nella quale si sono rincorse voci, indiscrezioni di accordi, di cedimenti da parte di Berlusconi alla linea dei ministri e delle colombe, alcune delle quali dicevano addirittura che il Cavaliere aveva riconosciuto di avere sbagliato le mosse degli ultimi giorni con le dimissioni dei parlamentari e il ritiro della delegazione Pdl dal governo. E che alla fine il suo unico problema era quello di salvare la faccia, giustificare il dietrofront. Insomma che per il bene del Paese, per tenere unito il partito e il fronte dei moderati avrebbe fatto una spericolatissima inversione a U.

Deputati e senatori attaccati al telefono per capire se il grande capo aveva veramente capitolato. Un gran via vai a Palazzo Grazioli che sembrava la stazione Termini di Roma all'ora di punta. Il gran visir Gianni Letta inviato a Palazzo Grazioli per verificare i margini di trattativa che consentissero a Berlusconi di votare la fiducia, trovando nel nipote Enrico un muro altissimo.

E continuava il rebus su cosa avrebbe fatto il Cavaliere e soprattutto quanti erano i senatori Pdl pronti a seguire Alfano. Verdini aveva fatto i conti e aveva detto all'ex premier che in tutto sono 8, al massimo 12, altro che i 40 di cui parlava Giovanardi. Per la verità altri gli davano invece altri numeri: 20, forse 25, quanto basta per consentire a Letta di andare avanti.

Il nervosismo di Berlusconi aumentava ed è esploso quando ha saputo che a Palazzo Chigi i ministri avevano concordato con Letta il loro rientro nel governo. Così, alle 15, dopo che Alfano gli aveva detto che tirava dritto per la sua strada, ha dato il via libera a una lettera da pubblicare sul periodico Tempi nella quale l'ex premier sostiene che Letta e Napolitano hanno «permesso il mio omicidio politico, avrebbero dovuto rendersi conto che, non ponendo la questione della tutela dei diritti politici del leader del centrodestra, distruggevano un elemento essenziale della loro credibilità e minavano le basi della democrazia parlamentare». E basta al governo delle tasse, si ritorni «al giudizio del popolo». Il messaggio era già chiaro.

In serata sono arrivati a Palazzo Grazioli Verdini, Nitto Palma, Matteoli, Gelmini, Ghedini, Brunetta, Bernini, Gasparri, Mantovani, Bonaiuti e il ministro De Girolamo. La quale con grande dignità ha difeso le sue posizioni, ha cercato di convincere Berlusconi che votare la sfiducia sarebbe un grave errore.

Gli altri, tranne Bonaiuti, a dire che da capo dell'opposizione Berlusconi sarebbe più tutelato e nessun pm oserà metterlo in carcere. Tesi sostenuta anche dall'avvocato Ghedini: «Finora non ci hanno dato e non ci daranno nulla, ma sarà più difficile perseguitare il capo della più grande forza d'opposizione in Italia». Sì, ma quanti sono i «traditori» al Senato? Verdini ripeteva «non più di 12». I senatori Bernini e Bonaiuti ne aggiungevano almeno altri otto. Alla fine Berlusconi ha detto che si sarebbe attaccato al telefono e chiamato i senatori del Pdl uno a uno per convincerli a non votare la fiducia, che presto ci saranno elezioni e loro saranno ricandidati e rieletti.

C'è una notte, piena di incognite. Berlusconi si gioca tutto. Letta stamane arriva a Palazzo Madama senza avere numeri certi, al buio. Il premier e Franceschini hanno fatto tutto quello che potevano per non arrivare allo show down. Ora incrociano le dita e devono sperare che Alfano, dopo aver mostrato il quid, abbia pure i numeri.

 

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