GAY POCO GAI: NESSUN CAZZO È DURO QUANTO IL DIVORZIO

Massimo Vincenzi per "La Repubblica"

L'unica luce accesa di questo palazzone sulla Broadway, in un tardo sabato pomeriggio, è quella di Sherri Donovan, la titolare dell'omonimo studio, uno dei migliori nel campo delle separazioni tra coppie dello stesso sesso. L'ufficio è spazioso, moquette scura sui pavimenti, scrivanie di legno chiaro, semibuio in un tardo sabato pomeriggio.

Un ramo in crescita esponenziale, il miglior indicatore economico e sociale del nuovo fenomeno: i divorzi gay. Qualche tempo fa un blogger del Daily aveva scherzato acido: con la legalizzazione chi stapperà davvero lo champagne saranno gli avvocati.

Cinico forse, ma il dato è incontestabile e la donna, pur scuotendo la testa, spiega: «Negli ultimi mesi stiamo assistendo ad un vero e proprio boom, le statistiche sono ancora piccole e incomplete non trasmettono con la giusta potenza la portata di quello che sta accadendo: arriverà un'ondata. Le leggi che in alcuni Stati hanno legalizzato le unioni gay stanno avendo i primi effetti adesso, come con gli etero, dopo un tempo fisiologico è inevitabile che scatti l'ora anche dei divorzi. Ma non c'è molto da ridere, in questi casi la fine dell'amore non porta solo dolore ma enormi problemi legali ed economici». E politici.

Il cortocircuito è difficile da evitare. Il 26 e il 27 marzo la Suprema Corte americana è ad un bivio: per prima cosa deve decidere l'abolizione del Proposition 8, che in California ha messo al bando le unioni senza però cancellare quelle celebrate durante la "finestra" creando di fatto un mostro giuridico.

Ma soprattutto i giudici devono abrogare il Defense of Marriage Act (Doma), ovvero la legge federale approvata nel 1996 che definisce il matrimonio come sola unione tra uomo e donna. Due sentenze capaci di regalare alla storia un volto nuovo. Tanto che Obama non perde occasione per ribadire la sua posizione: «Quella norma va cancellata», dice il presidente che nel discorso di insediamento aveva messo ai primi posti la battaglia per i diritti «dei nostri fratelli e delle nostre sorelle gay».

E dopo di lui tocca a Bill Clinton sotto la cui presidenza fu varata: «L'avevamo fatta per evitare problemi maggiori ma adesso va cambiata».
Negli Stati Uniti sono oltre 140mila le coppie dello stesso sesso che hanno formalizzato secondo le diverse norme degli Stati la loro unione, di queste 50mila (per altre statistiche 70mila) si sono sposate. E ora arrivano i divorzi con una percentuale difficile da calcolare: oscilla tra l'1,1 e l'1,7% (a seconda delle ricerche). Ma ad accendere il dibattito è la rapida progressione.

Ora della cena, sempre sabato. Bancone zeppo di gente alla Westside Tavern, uno dei bar più frequentati di Chelsea, forse il quartiere più gayfriendly di Manhattan. Spunto del giorno, l'ultimo numero del New York Magazine che dedica al divorzio omosessuale il servizio di copertina.

La partita di basket universitario in tv non ferma la discussione: «È come se avessimo fatto una maratona e ad un passo dal traguardo ci dicessero: tornate indietro e correte dalla parte opposta. Così non va, così non otterremo mai niente», si scalda Steve, che due strade più giù gestisce una galleria d'arte con il suo compagno.

«Ma secondo me questo è un atteggiamento mentale e culturale sbagliato. Anzi le sofferenze e i danni economici sono la prova di quanto sia più che mai urgente l'approvazione definitiva dei matrimoni gay. Proprio i divorzi possono essere lo scalpello per aprire le strade ai diritti negati sin qui», osserva Sherri Donovan mentre legge l'e-mail di un suo cliente. «Le coppie omosessuali che divorziano sono costrette ad un valzer infernale tra le differenti norme e tutto si complica».

Quello che l'avvocato chiama «valzer infernale», altri suoi colleghi lo descrivono al
New York Magazine come «un sistema bizantino, figlio di due ordini di problemi: la differenza di leggi tra Stato e Stato e tra ogni singolo Stato e il governo federale». Migliaia e migliaia di dollari se ne vanno in pensioni, tasse, assicurazioni mediche (che qui sono spesso lo spartiacque tra povertà e ricchezza): tutte sottoscritte in comune tra i coniugi e svanite alla fine dell'amore.

E ancora case comprate assieme di cui si perdono tutti i diritti. Attività imprenditoriali in fumo, senza la possibilità di essere ascoltati da un giudice. Per non parlare dei figli, dove la situazione diventa drammatica. La metafora del treno che usa Susan Sommer, esperta della Lambda Legal, una delle più vecchie organizzazioni in difesa dei diritti civili, è un mantra di pessimismo, che però spiega bene la situazione: «Immaginate di essere una coppia omosessuale sposata a Washington, dove è legale. Immaginate ora di salire sull'Amtrak, la linea ferroviaria che porta a Boston.

Prima fermata Maryland: sino al 2010 non eravate sposati, ora sì. Poi il Delaware: qui non siete sposati ma almeno vi riconoscono come unione civile, meglio di niente ma dipende da quali beni avete in comune. Via verso la Pennsylvania dove non siete niente, zero, e dove dunque è impossibile, dico impossibile, in caso di divorzio, vedere riconosciute le vostre ragioni.

Va meglio a New York, così come nel Connecticut. C'è il Rhode Island dove per il governo siete di nuovo sposati, ma i tribunali non sono disposti a farvi divorziare. Finalmente nel Massachussets: siete sposati, potete divorziare». I diritti vanno e vengono, con le vite che si strappano contro gli spigoli di questo labirinto. La situazione è come lo era 100 anni fa per le coppie etero che si trovavano spesso nell'impossibilità di separarsi: «Dove possono divorziare i gay?», si auto-domanda sul New York Times Tobias Barrington Wolff della facoltà di legge della Pennsylvania e la risposta è semplice: «Da nessuna parte».

E infatti la definizione più usata da molti è «siamo come dentro una gabbia». Le conseguenze possono essere disastrose. La storia di Margaret Moers Wenig è solo una delle tante. Sposata con un uomo capisce che invece preferisce le donne. Divorzia, incontra l'amore della sua vita (o quasi) e costruisce un'altra famiglia. L'illusione però dura poco e il passaggio dal sogno all'incubo è fatale: dopo la battaglia legale, lei ha visto svanire tutti i suoi fondi pensione: «Le leggi omofobe sull'argomento sono quasi un incentivo a tirare fuori il peggio di sé, come se fosse un'insensata caccia all'uguaglianza con gli etero», spiega al New York Magazine Allen Drexel, l'avvocato di Wenig.

Perché dopo il baratro economico, se ne apre uno altrettanto pericoloso: quello culturale. Come racconta all'Atlantic Wire un altro avvocato, Raoul Felder: «Antagonismo e rabbia in questi divorzi sono enormi, ben superiori a quello che si rileva nelle coppie etero. Il sistema abusa di queste persone, tratta i loro sentimenti senza alcuna cura. Tutte le separazioni sono dolorose ma queste portano il peso della storia sulle spalle. Molti di loro si rifiutano di stipulare accordi prematrimoniali, perché la separazione non può nemmeno essere prevista».

Il senso dei gay per la fine dell'amore diventa qualcosa di simile ad un fallimento epocale: «È come se avessimo una responsabilità in più verso la società, verso la nostra comunità», dice Wenig. E in Rete è cliccatissimo il racconto di uno scrittore e blogger di San Francisco, Randy Scott Hyde, dal titolo copiato da un famoso film di qualche anno fa: «Il mio grande grasso divorzio gay». Il tono in partenza è allegro: «Devo fare
coming out: non sul fatto che sono gay, quello molti di voi lo sanno già, ma sul fatto che ho divorziato».

Poi l'atmosfera cambia: «Ho provato tanta vergogna e non citavo mai con nessuno la storia del mio matrimonio finito. Ho fatto del male al mio compagno, ma soprattutto ho danneggiato, pensavo, tutte quelle coppie stupende e coraggiose che hanno lottato e continuano a farlo per la nostra libertà. Poi mi sono detto: se gli etero si sposano e divorziano anche sei sette volte e sono sempre lì con il sorriso sulle labbra, perché noi non dobbiamo avere la possibilità di sbagliare? Dopo il diritto al matrimonio serve quello al divorzio».

Da qui l'attesa per le sentenze della Corte: «I giudici devono uniformare le leggi dei vari Stati e soprattutto devono abbattere il Doma, così sarà tutto più semplice: noi avvocati non dovremo più adottare complicati accorgimenti legali per far ottenere ai separati i giusti benefit federali, come pensioni e assicurazioni. Sarà una decisione epocale, un passo avanti storico nella lotta per la conquista dei diritti civili. Mi chiedo: come possiamo sprecare un'occasione così?», Sherri Donovan rassicura il suo cliente e spegne il computer. E milioni di americani incrociano le dita sperando di conoscere
la risposta giusta.

 

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