IL FINI GIUSTIFICA I MEZZI - “SE AVESSI CEDUTO AL CAV SULLA GIUSTIZIA, IL 1° AGOSTO NON CI SAREBBE STATA NESSUNA CONDANNA DEFINITIVA” - ‘’ANGELUCCI, CHE ERRORE…’’

Alessandra Longo per "La Repubblica"

«La fedeltà è dei cani verso i padroni, la lealtà è tra uomini». Così Gianfranco Fini a Maurizio Lupi, molto prima che i «diversamente berlusconiani» alzassero la testa contro il Capo come aveva fatto lui (anche se - loro - in maniera decisamente più anemica). L'ex leader di An, l'ex presidente della Camera, si riaffaccia sulla scena affidando ad un libro che esce oggi (Il ventennio-Io, Berlusconi e la destra tradita -Rizzoli editore) la testimonianza di una vita in politica.

250 pagine scritte con lo sforzo di guardare avanti ma implacabili nel ricordare quel che è avvenuto, dalla storica intesa iniziale con Berlusconi del ‘93 al verminaio dei colonnelli traditori, dall'emozione per i ruoli di governo alla brutale cacciata dal Pdl. Fino «al malinconico epilogo», Fli che fallisce, la mancata rielezione alla Camera.

Libro rancoroso? Tutto sommato no, libro che restituisce a tutti i protagonisti di questi ultimi 20 anni quel che, a parer di Fini, si meritano. A cominciare da Giorgio Napolitano, definito «il più esemplare tra i presidenti della Repubblica, l'unica personalità istituzionale rispettata e stimata dall'ampia maggioranza dei nostri connazionali. Personalmente gli sono grato come cittadino, ancor prima che per il prezioso aiuto che, con tatto e grande signorilità, mi ha dato durante tutta la legislatura».

Da una parte le regole, la difesa delle istituzioni come bussola, dall'altra «la pseudodestra berlusconiana arrivata alla sua ultima stagione all'insegna del più palese disprezzo per la legalità». Sì: il capitolo Berlusconi/giustizia è ricco, riassunto con rara sintesi dal titolo: «O con lui o contro di lui».

Scrive Fini: «Mai è accaduto nella storia della nostra democrazia che il presidente del Consiglio si considerasse a tal punto ex legibus solutus da far presentare dalla sua maggioranza parlamentare provvedimenti che di fatto cancellano il principio della legge uguale per tutti».

L'ex leader della destra ammette di non aver ingaggiato subito un frontale sul tema- giustizia, sperando, a suo dire, che altre priorità governative prevalessero nel corso del tempo. Ma lo scontro mortale era nelle cose. L'ultimo incontro con Berlusconi si consuma il 14 aprile del 2010, nello studio del presidente della Camera, otto giorni prima del "licenziamento". Berlusconi si presenta con Letta.

Obiettivo: piegare Giulia Bongiorno, allora presidente della commissione giustizia. «Dovevo garantirgli che la Bongiorno si sarebbe uniformata alle proposte del Pdl che avrebbero di fatto reso quasi impossibili le intercettazioni telefoniche. Avrei dovuto favorire il percorso parlamentare di tutto ciò che fosse finalizzato ad abbreviare i tempi per la prescrizione dei reati... «. Missione stoppata: «Se avessi fatto quel che Berlusconi mi chiedeva, quasi certamente il 1° agosto del 2013 non ci sarebbe stata nessuna sentenza della Corte di Cassazione e nessuna definitiva condanna. All'epoca non ne avevo nessuna contezza... «.

O con lui o contro di lui. «Te ne pentirai amaramente», gli dice andandosene. Il resto è storia nota, il "Che fai mi cacci", qui descritto nei dettagli, con parole di amarezza per l'atteggiamento dei vecchi sodali missini: «Mi addolorò il voto di La Russa... vissi giorni psicologicamente difficili. Pensai spesso ai nostri vecchi maestri e al dolore che tutti noi, se davvero ci guardavano da lassù, avevamo dato loro».

Un Fini inedito nel tono: «Nemmeno nell'incubo peggiore avrei immaginato di essere messo sotto accusa anche da molti tra coloro con i quali avevo condiviso decenni di battaglie». Sì, i colonnelli avevano «scelto un altro generale». L'ex leader ammette il suo errore: essersi disinteressato del suo partito, troppo impegnato sullo scranno più alto.

Errori grandi ed errori piccoli: «Ho fatto eleggere alla Camera nella lista di An il signor Tonino Angelucci, proprietario di "Libero", oggi indagato per truffa in una inchiesta sui contributi pubblici all'editoria. In 5 anni non credo abbia mai preso la parola nell'aula di Montecitorio». A pagina 214, un cammeo al veleno per Renata Polverini, da Fini imposta come parlamentare: «Vista la disinvoltura con cui l'ex governatrice si è comportata dopo la mia espulsione dal Pdl, sono certo che tutte le critiche politiche e i giudizi sprezzanti (e irriferibili) che esprimeva a me su Berlusconi li abbia riferiti in ugual modo a Berlusconi parlando di me».

Curioso il riferimento (scritto solo per l'edizione digitale) a Matteo Renzi, definito «leader pragmatico e post ideologico». Fini racconta di essere rimasto colpito nel 2009 dal giudizio che il «rottamatore » diede della sua presa di distanza da Berlusconi. «Fini? Deve dire cose di destra», fu allora il commento di Renzi.

«Ieri non compresi cosa significasse, oggi il suo trasversalismo politico sempre più evidente mi fa pensare che egli temesse di essere anticipato e scavalcato da destra agli occhi di un elettorato insoddisfatto di un bipolarismo statico e muscolare». Va detto: frecciate dentro una cornice più alta. La preoccupazione di Fini è per la destra che non c'è, quella destra riformatrice chiamata a scrivere «un nuovo patto costituente tra gli italiani». Il progetto mancato, l'ambizione di Fli, tramortita con gli «scioccanti dati elettorali».

Un progetto che non può essere la riproposizione delle sigle del passato («Le minestre riscaldate sono sempre sgradevoli »). Un progetto che ha bisogno, per essere credibile, di meaculpa: «Se si vuol rifondare la destra non si può partire in alcun modo dalla difesa acritica del proprio operato di ieri, sia se si è rimasti con Berlusconi sia se lo si è contrastato». E lui, e Gianfranco Fini? «Ammesso di esserne capace, cercherò insieme ad altri amici di dare un contributo».

 

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