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LA FORTUNA È CIECA, LA SFIGA È ORBAN - TRA POCHI GIORNI I PROFUGHI IN CAMMINO VERSO IL NORD EUROPA SARANNO BLOCCATI DAL MURO UNGHERESE. IL PREMIER: ''SARÀ FINITO IN UNA SETTIMANA'' - CHI È IL 'CATTIVO' CHE TIENE TESTA ALLA MERKEL

1. ORBAN, IL “CATTIVO” D’EUROPA CHE TIENE TESTA ALLA CANCELLIERA

Bruno Ventavoli per “la Stampa

Viktor Orban Viktor Orban

 

Forse per capirlo bene bisogna guardarlo mentre gioca a calcio. Perché Orban, padre padrone dell’Ungheria conservatrice, adora indossare gli scarpini e scorrazzare sull’erba. Dribbla, colpisce di testa, sgomita, butta giù avversari in maschi confronti, fa gol. Domina il campo. In un video postato su YouTube calcia anche un rigore perfetto: portiere sulla sinistra, palla insaccata sulla destra, come in una metafora politica. Certo, c’è un po’ di quel culto della personalità fin ingenuo che spinge i leader a mostrarsi atletici e muscolari.

 

VIKTOR ORBAN VIKTOR ORBAN

Ma il senso di Orban per il «foci», (il football come lo chiamano gli ungheresi), così come l’arte del dribbling o dell’entrata a gamba tesa, fan parte della sua partita politica, che non punta mai al pareggio e che in casa vuol vincere senza ingerenze. Come in tema di profughi. Mentre la Merkel accoglie fiumi di siriani, Orban silura addirittura il suo ministro della difesa, Csaba Hende, reo di lentezza nell’innalzare il muro anti-migranti. Anzi, ieri ha visitato a sorpresa la zona sul confine serbo chiedendo agli operai di essere più solerti per completare il vallo entro il 15 settembre.

 

LA SVOLTA AUTORITARIA

viktor orban da giovane viktor orban da giovane

Ma i rifugiati sono solo l’ultima delle frizioni tra l’Ue e l’enfant prodige della politica danubiana che scese in politica con stile e toni assai diversi. Nell’89, crollato il Muro, Orban rinunciò a una borsa di studio in Inghilterra per tornare in patria a invocare la democrazia, la cacciata dei russi, la permeabilità della cortina di ferro. Fu tra i fondatori del Fidesz (il partito di centrodestra), entrò in Parlamento con le prime elezioni del ’90 e dopo un po’ d’opposizione andò al governo nel 1998, lanciando un programma di forti liberalizzazioni per cancellare i residui dello statalismo socialista.

 

E fu lui a spingere l’Ungheria verso l’Europa e nella Nato, partecipando con un pugno di soldati alla guerra in Iraq. Poi, dopo essere stato sconfitto dai socialisti nel 2002 e aver trionfato alle urne nel 2010 con una «maggioranza bulgara» se non fossimo in Ungheria (263 seggi su 386), la svolta radicale. Autoritaria, dicono gli avversari e l’Europa. Per salvare la patria, ribatte lui.

 

PROFUGHI SIRIANI IN UNGHERIAPROFUGHI SIRIANI IN UNGHERIA

Nel 2011 ha stravolto la giovane costituzione democratica accentuando gli elementi nazionalisti, sottolineando la centralità della famiglia, della tradizione magiara, della religione cattolica, riportando in primo piano la questione spinosa ma molto sentita delle minoranze ungheresi rimaste fuori dai confini per colpa di vecchi trattati di pace ingiusti. E soprattutto ha aumentato i poteri di controllo del governo sulla stampa e sulla magistratura suscitando accese reprimende da parte dell’Europa, garante degli standard della democrazia illuminista, basata su una rigida divisione dei poteri.

 

Anche in economia, Orban ha scelto una ricetta tutta sua per curare un paese prostrato dalla crisi e sempre più deluso da quel capitalismo che non era affatto la cornucopia sognata ai tempi del comunismo. Ha rifiutato l’euro tenendosi ben stretto il fiorino, alzato le tasse alle multinazionali straniere, nazionalizzato le banche, cancellato l’autonomia della banca centrale, varato leggi per impedire lo shopping selvaggio di terre, case, aziende da parte della finanza internazionale.

PROFUGHI SIRIANI IN UNGHERIAPROFUGHI SIRIANI IN UNGHERIA

 

E quando l’Europa e il Fmi han suggerito riforme economiche per tagliare il debito e concedere prestiti come in Grecia, le ha rispedite al mittente, infischiandosene delle procedure per infrazione, dei declassamenti nel rating. Fiero della sua «Orbanomic», una miscela singolare di dirigismo e mercato, che secondo i sostenitori ha ridotto deficit e disoccupazione, e secondo gli avversari ha favorito l’arricchimento di oligarchi, compagni di partito, fiancheggiatori.

 

Le proteste interne non mancano, il pressing dei partner europei è forte, ma gli ungheresi sono dalla sua parte visto che nel 2014 Orbán ha vinto per la terza volta le elezioni con il 44,5% dei voti. Le sue ricette nazional-popolari, riescono a esorcizzare le paure ancestrali di un popolo piccolo che da sempre si sente minacciato, circondato, invaso. I suoi slogan forti sono in sintonia con quell’anima antimoderna, agraria, nazionalista viva e maggioritaria sotto tutti i regimi. Ed è tale l’insofferenza verso le ingerenze della lontana Bruxelles che la Russia, eterna odiata nemica, dalla guerra d’indipendenza del 1848 ai carri armati del 1956, sta diventando paradossalmente alleata.

ungheria   200 profughi in cammino da budapest a vienna   9ungheria 200 profughi in cammino da budapest a vienna 9

 

RUSSIA DA NEMICA AD AMICA

Orbán fa accordi con la Cina e con l’amico Putin, sposandone risorse naturali, tecnologie (Mosca ammoderna la centrale nucleare di Paks), potenza finanziaria e geopolitica. E anche, perché no?, l’idea di Stato. Molto politicamente scorretto, Orban, ha dichiarato che è venuto il momento di liberarsi dai dogmi della democrazia liberale. Forse per tornare a un’idea di magiarità antica, millenaria, diversa dal resto d’Europa. Ma forse anche molto vicina ad altri populismi europei che germinano nell’Occidente in eterno tramonto.

 

 

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2. TRA I RIFUGIATI INTRAPPOLATI IN UNGHERIA

Maria Serena Natale per il “Corriere della Sera

 

Si alzano insieme, all’unisono, come avevano fatto quelli della stazione di Budapest, quelli che ce l’hanno fatta e ora sono al sicuro in Austria e Germania. Qui sono solo binari tra i girasoli, sotto nuvole che vanno a sud e con un freddo che entra nelle ossa. Altre centinaia, altri bambini spaventati perché i grandi urlano e fa già buio. La polizia li segue, poi si mette di traverso e blocca la stradina illuminata dai fari delle telecamere che allungano le ombre. Per un momento sono gli uni di fronte agli altri, si guardano in un silenzio irreale. Poi i disperati di Roszke sfondano.

migranti al confine con l ungheria  7migranti al confine con l ungheria 7

 

Centottanta chilometri per Budapest, poi Austria e Germania, avanti con tutte le forze che restano perché tra pochi giorni si chiude. Il governo vuole mandare l’esercito in questa terra di frontiera dove si scappa in mezzo ai campi e in cielo volano gli elicotteri. Tra pochi giorni sarà permesso dalla nuova legge appena approvata, tra pochi giorni se ti beccano e sei clandestino rischi il carcere fino a tre anni. E anche l’Austria ci sta ripensando, in Europa si sono rimessi a litigare.

 

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La Danimarca ieri per la prima volta ha rispedito in Germania una ventina di rifugiati che volevano proseguire verso Nord. Il tempo scade, allora si torna a marciare. Sperando di trovare qualche treno da assaltare, come ieri ancora alla stazione Keleti. O qualche pullman diverso da questi che aspettano in coda davanti al centro di smistamento. Bagni chimici e spirali di filo spinato sui cancelli. In quelli di registrazione nessuno ci vuole andare.

 

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L’Onu chiede uno stanziamento supplementare di 30,5 milioni di euro per affrontare l’emergenza fino alla fine dell’anno. L’Onu dice che le strutture di accoglienza sono insufficienti. Vicino al confine sale e s’allunga il muro chiesto da Viktor Orbán. Volevano inaugurarlo il 31 agosto e invece non è ancora finito.

 

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Dopo l’ispezione a sorpresa di lunedì ci ha rimesso la testa il ministro della Difesa. Oltre ai campi, le «strutture d’accoglienza» sono poche tende colorate. La maggioranza dorme all’aperto. Chi non dorme parte e grida: «No fingerprint», niente impronte digitali. «No camp», basta campi. Qualcuno dice pure «Allahu Akbar», più che un grido una preghiera. L’Onu dice che la polizia non è preparata a gestire l’emergenza.

 

Gli agenti portano spray urticanti allacciati alla cintura e mascherine davanti alla bocca, nella corsa qualcuno perde pure la pistola. Una bambina non ce la fa a tenere il passo dei genitori, il padre deve scegliere tra lei e la coperta pesante che porta sulle spalle. Prende la figlia e chi viene dopo si trova la coperta.

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Lo facciamo a ritroso questo viaggio. Germania, Austria, Ungheria, Serbia, Macedonia, Grecia. Ventimila sulla sola Lesbos in attesa di un traghetto per la terraferma. Samos, Kos, Agathonissi, sono al collasso le isole dove i profughi arrivano dalla Turchia. In 24 ore la Guardia costiera ha soccorso 500 persone in 11 operazioni.

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Le autorità locali s’arrangiano con rifugi su navi crociera e centri di identificazione sui campi di calcio. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon chiederà al prossimo premier di riferire all’Assemblea generale. Perché c’è anche la crisi politica in Grecia, dove il 20 si vota e il primo ministro Alexis Tsipras gioca la sua partita della vita.

 

In questa notte di grilli sulla strada di Roszke, dopo il passaggio dell’onda restano scarpe spaiate, piccole, piccolissime.

 

 

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