dario franceschini

FRANCESCHINI IL CENSORE - FABIO ISMAN (''IL MESSAGGERO'') SCRIVE UN ARTICOLO IN MEMORIA DEL MAGISTRATO PAOLO FERRI PER UNA RIVISTA DEL MINISTERO DEI BENI CULTURALI. PECCATO CHE I SOLERTI FUNZIONARI INIZINO A PICCONARE IL TESTO FINO A  CASSARLO DEL TUTTO: ''UN DICASTERO CHE HA PAURA ANCHE DELLA PROPRIA OMBRA. E CHE RITIENE DI POTER CANCELLARE LE PAROLE DI UN GIORNALISTA CUI AVEVA CHIESTO UN ARTICOLO, PERALTRO GRATIS''

 

Fabio Isman per www.professionereporter.eu

 

dario franceschini con la mascherina 1

A 90 anni, Bernardo Valli ha lasciato la Repubblica e il suo Gruppo editoriale, perché voleva sopprimere una frase da un suo articolo: io, che spero di avere la schiena altrettanto ritta quanto lui, assai più modestamente dovrei forse lasciare un Ministero. È una storiella alquanto irrilevante, ma credo un po’ educativa; e non solo per chi eserciti la professione di Reporter. Riguarda infatti un dicastero; un articolo richiesto, s’intende gratuitamente; il panico per qualche avvenimento che è realmente accaduto; una censura tentata e progressiva. E, infine, la pena di morte inflitta al testo, senza alcun contradditorio.

 

Comincia a fine luglio: una funzionaria dei Beni culturali, responsabile di una tra le riviste del Ministero, scrive che «la scomparsa improvvisa di Paolo Ferri ci ha lasciato attoniti, e per chi ha avuto il privilegio di conoscerlo da vicino, orfani di un grande uomo, un grande esperto e difensore del patrimonio culturale italiano, e di un caro e sincero amico». Al magistrato che, da solo e con coraggio, ha indagato la “Grande razzia” di antichità dal nostro sottosuolo avvenuta dal 1970 in poi (un milione e mezzo di pezzi scavati in modo illegale e spesso venduti all’estero, almeno a 47 grandi musei del mondo), sarà dedicato un numero speciale della rivista. Me ne chiede un’introduzione. Si presume che ne abbia già parlato e discusso con i suoi “superiori”.

 

UNDICI MAIL

 

fabio isman

Scrivo, e seguono undici mail e più di un’ora di telefonate, che necessariamente sintetizzo. Il primo messaggio, afferma che ho «fatto rivivere con le mie parole» il personaggio, «tutto vero, zero retorica», e informa sulla presentazione del volume. Già la seconda mail, però, manifesta dei dubbi: invece che «l’archeologia non è faccenda con cui le toghe abbiano troppa dimestichezza: non sanno nemmeno distinguere un’oinochoe da uno psykter, nomi assenti dalle pandette», ci si potrebbe fermare alla parola «dimestichezza», magari i magistrati s’arrabbiano? E perché raccontare che, quando Ferri se n’è andato, «lo Stato italiano non ha battuto ciglio: nessuna dichiarazione, nessun compianto»: non sembra una critica?. Capisco che è una rivista, diciamo così, “ufficiale”: cedo e accondiscendo. E lei: «Grazie, vedrai che vinceremo la battaglia». Battaglia? E contro chi? Veramente, credevo che fosse soltanto un articolo.

 

Dopo un paio di giorni, ecco però che «il testo cita i nomi dei maggiori trafficanti e mercanti» che hanno depredato la Penisola: «Il Ministero non usa farli». Ma sono sentenze ormai definitive, passate in Cassazione… «E bisogna proprio scrivere che in seguito alle indagini di Ferri molti Paesi hanno mutato le loro leggi, ma l’Italia no: non ci è ancora riuscita?». È un dato storico: il primo articolato risale ancora all’epoca in cui era ministro Francesco Rutelli, e non se ne è mai fatto nulla. «Poi, c’è una citazione proprio del giudice: “Da noi, è più rischioso rubare un paio di jeans, che trafugare un vaso antico”. La si può cancellare?». Al telefono, la funzionaria evoca i suoi “superiori”, che peraltro conosco: se è opportuno, posso parlarci io, e spiegare. No, non occorre.

paolo giorgio ferri e il cratere di eufronio

 

VIVO RAMMARICO

 

C’è un preavviso di quanto sta per accadere: un’altra mail scrive che forse, è più opportuno «restituirmi» il testo: «A furia di eliminazioni e probabili ulteriori emendamenti (sic!), diventerebbe tutto un altro». Fino alla sentenza irrevocabile: «Mi preme comunicarLe con il più vivo rammarico che ho appena ricevuto l’ordine superiore, che non condivido ma che ho il dovere di eseguire, di inserire solo testi istituzionali».

 

Mi sa che dovrò chiedere a Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, se è opportuno che io continui a far parte, gratis e su sua nomina, di una commissione tecnica in un dicastero che si comporta in questa maniera: fino ad aver paura anche della propria ombra. E che ritiene di poter cancellare, una ad una e un funzionario dopo l’altro, le parole di un professionista cui, peraltro, si era rivolto chiedendo un piacere. Forse, non sarebbe lecito nemmeno se Franceschini trasformasse il proprio ministero in quello delle Comunicazioni. O Scomuniche?

 

Che il magistrato Paolo Giorgio Ferri incuta ancora timore, anche quando non c’è, purtroppo, più?

VASO DI EUFRONIO

 

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