“FRESH” COME UN POMODORO MARCIO – “REPUBBLICA” CORRE IN SOCCORSO DI DRAGHI: FU IL PRESTITO DA 1 MILIARDO “TRAVESTITO” DA CAPITALE A PERMETTERE A MUSSARI LA FOLLE ACQUISIZIONE DI ANTONVENETA, FREGANDO LE REGOLE DI BANKITALIA SUL PATRIMONIO - ANCHE QUI C’È LO ZAMPINO DI JPMORGAN, E SENZA QUESTO STRUMENTO DRAGHI NON AVREBBE POTUTO AUTORIZZARE L’ACQUISTO - BANKITALIA VUOLE ADDOSSARE SULL’INGANNO DI QUESTO BOND LA RAGIONE DEL SUO NON-CONTROLLO MA FA LA FIGURA DA PIRLA…

Carlo Bonini e Paolo Griseri per "la Repubblica"

Un drammatico carteggio tra Bankitalia e Monte dei Paschi e la testimonianza di un banchiere torinese svelano come tra il novembre 2007 e l'autunno 2008 Mussari giocò in un colpo solo Palazzo Koch, il mercato e chi aveva dubbi su un aumento di capitale che nascondeva in realtà un prestito mascherato. Quelli di Siena? «Lo sapevano tutti che volevano la botte piena e la moglie ubriaca». Parla così, chiedendo a Repubblica l'anonimato, un banchiere torinese che nel 2007 mise mano, tra gli altri, alla madre di tutte le operazioni: l'acquisizione di Antonveneta da parte di Monte dei Paschi, l'incipit della catastrofe che ha trascinato sull'orlo dell'abisso il terzo gruppo italiano.

«Già, lo sapevano tutti - insiste, ricordando l'operazione - Erano gli anni caldi delle fusioni bancarie ». Monte dei Paschi era una banca liquida. Ma era troppo piccola per competere con colossi come Unicredit che da sola capitalizzava 100 miliardi di euro. Anche Monte dei Paschi aveva bisogno di fondersi. Nel 2005 aveva bussato alla porta di San Paolo Imi, la banca di Torino. La trattativa era stata condotta dall'amministratore delegato unico dell'epoca, Alfonso Iozzo, accusato dai nemici di avere rapporti molto stretti con il Pd. Iozzo tratta in via riservata, i colloqui informali arrivano fino all'inizio del 2006.

Informali? «Forse troppo», insinua oggi il banchiere. Perché forse della trattativa il presidente del San Paolo, Enrico Salza, era stato avvisato con qualche ritardo, anche se è difficile credere che non ne sapesse nulla. Ma ci sono ragioni più importanti del risentimento personale per stoppare i senesi: «Chiedevano di mantenere a Siena il quartier generale dell'istituto».

Una richiesta irricevibile pensare che la banca grande (San Paolo) acquistasse quella più piccola (Mps) e la più piccola pretendesse di tenere a Rocca Salimbeni il ponte di comando. «Ma con un obiettivo evidente - chiosa - garantire anche dopo l'acquisizione il funzionamento del Sistema Siena».

La trattativa con Torino muore in primavera. Il no del San Paolo arriva nelle stesse settimane del rifiuto dei milanesi di Intesa, ai quali Siena aveva fatto la stessa "proposta indecente". Sono settimane turbolente. Ad agosto 2006, pochi mesi dopo il tentativo fallito dei senesi con le due banche del Nord, queste si fondono tra di loro creando il secondo gruppo italiano, Intesa San Paolo, da 80 miliardi di capitalizzazione. Iozzo, contrario a quella fusione, lascia Torino e va a dirigere la Cassa Depositi e Prestiti.

Ci rimarrà fino a quando a sostituirlo non arriverà Franco Bassanini. Nell'estate del 2006, Mps capisce che bisogna agire in fretta. La fusione Intesa San Paolo è anche la pietra tombale sul tentativo dei baschi di Santander di acquisire la banca torinese. Santander vende le sue quote nel San Paolo e diventa a sua volta «liquida».

Così rileva il colosso olandese Abn Amro che ha in pancia l'italiana Antonveneta. Che cosa se ne faceva Santander di Antonveneta? «Forse nulla - confessa il banchiere - ma conoscete le regole del rubamazzetto, no? Si prende tutto e poi, con calma, si scarta quel che non serve, cedendolo al miglior offerente».

Nel 2007, un offerente c'è. Sono i senesi, che finiscono per considerare Antonveneta l'ultimo treno per diventare grandi nell'Italia post fusioni. Santander capisce che Mps è interessata e alza il prezzo: ha pagato Antonveneta 6 miliardi e la rivende a 9. «Una bella plusvalenza », commenta il banchiere. Alla fine il prezzo, tutto compreso, salirà a 10 miliardi e 138 milioni, e, con l'accollo dei debiti in pancia ad Antonveneta, sfiorerà i 17. All'epoca Mps era certamente «liquida» ma non fino a quel punto. Eppure bisognava comperare. Per rimanere una banca di dimensioni importanti e senza perdere il governo del Sistema Siena. «La botte piena e la moglie ubriaca».

Per tirare fuori quella montagna di soldi era necessario un aumento di capitale ed è qui che cominciano i guai. L'acquisizione di Antonveneta è del novembre 2007. Nell'aprile dell'anno successivo Mps ottiene un prestito da un miliardo di euro dalla banca americana Jp Morgan (il cosiddetto convertendo F. R. E. S. H., un obbligazione agganciata al valore fluttuante dell'azione Mps in cui deve essere trasformata).

Sono soldi che servono all'operazione ma che, come prestito, non possono entrare in un aumento di capitale. I prestiti si restituiscono con gli interessi, i capitali si utilizzano e si rischiano insieme a quelli degli altri soci. Una bella differenza. «Non una differenza molto grande - osserva il banchiere - perché il prestito poteva essere restituito solo trasformandolo in azioni della banca. Diciamo che era un aumento di capitale differito».

E tuttavia il dubbio su quell'operazione è forte già allora. Perché il 23 settembre 2008 la Banca d'Italia scrive a Mps al termine di «un confronto protratto fino al corrente mese di settembre », come affermano nero su bianco i funzionari dell'istituto allora retto da Mario Draghi. Il carteggio Bankitalia-Mps viene pubblicato a maggio 2012 da Reuters e, letto con il senno, di poi, è assai istruttivo. Palazzo Koch segnala che «la predetta operazione non risulterebbe computabile nel core capital» (il capitale di rischio, ndr.).

Infatti, quel 23 settembre, gli uomini di Draghi chiedono di fare chiarezza affinché «l'operazione di rafforzamento da 1 miliardo realizzi il pieno e definitivo trasferimento a terzi del rischio di impresa». In sostanza che sia un aumento di capitale vero e non un debito che la banca deve comunque restituire. E che i sottoscrittori di quei bond "F. R. E. S. H." ne siano consapevoli.

Bankitalia dà 10 giorni di tempo a Mps per rispondere. E sottolinea che senza quel miliardo ottenuto da Jp Morgan, Mps «andrebbe sotto il limite dell'8 per cento di total capital ratio», la quota di capitale a disposizione per operazioni di acquisizione consentita dalle regole bancarie. Senza il miliardo infatti l'indice scenderebbe al 7,8 e Bankitalia non potrebbe autorizzare.

Mps risponde con una prima lettera a Bankitalia il 3 ottobre, che chiede ulteriori spiegazioni. E solo il 27 ottobre arriva il via libera: «Tenuto conto dell'avvenuta rimozione degli elementi ostativi indicati da questo istituto - si legge - si comunica a codesta banca che l'operazione di rafforzamento patrimoniale del valore di un miliardo risolta compatibile nel core capital».

E' tuttavia un via libera condizionato «alle assicurazioni fornite dalla funzione di compliance e dal collegio sindacale di Mps». Frase chiarissima alla quale, evidentemente fa implicito riferimento il comunicato di tre giorni fa di Bankitalia. E che oggi consente a via Nazionale di dire: abbiamo vigilato, ma siamo stati ingannati.

 

GIUSEPPE MUSSARI E MARIO DRAGHI jpegMARIO DRAGHI GIUSEPPE MUSSARI monte dei paschi di sienaMPS LINGRESSO DI ROCCA SALIMBENI SEDE DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA LOGO ANTONVENETAPALAZZO KOCHVERBALE BANKITALIA SU MPSbankitalia big

Ultimi Dagoreport

theodore kyriakou la repubblica mario orfeo gedi

FLASH! – PROCEDE A PASSO SPEDITO L’OPERA DEI DUE EMISSARI DEL GRUPPO ANTENNA SPEDITI IN ITALIA A SPULCIARE I BILANCI DEI GIORNALI E RADIO DEL GRUPPO GEDI (IL CLOSING È PREVISTO PER FINE GENNAIO 2026) - INTANTO, CON UN PO’ DI RITARDO, IL MAGNATE GRECO KYRIAKOU HA COMMISSIONATO A UN ISTITUTO DEMOSCOPICO DI CONDURRE UN’INDAGINE SUL BUSINESS DELLA PUBBLICITÀ TRICOLORE E SULLO SPAZIO POLITICO LASCIATO ANCORA PRIVO DI COPERTURA DAI MEDIA ITALIANI – SONO ALTE LE PREVISIONI CHE DANNO, COME SEGNO DI CONTINUITÀ EDITORIALE, MARIO ORFEO SALDO SUL POSTO DI COMANDO DI ‘’REPUBBLICA’’. DEL RESTO, ALTRA VIA NON C’È PER CONTENERE IL MONTANTE ‘’NERVOSISMO’’ DEI GIORNALISTI…

john elkann lingotto fiat juventus gianni agnelli

A PROPOSITO DI… YAKI – CHI OGGI ACCUSA JOHN ELKANN DI ALTO TRADIMENTO NEL METTERE ALL’ASTA GLI ULTIMI TESORI DI FAMIGLIA (“LA STAMPA” E LA JUVENTUS), SONO GLI STESSI STRUZZI CHE, CON LA TESTA SOTTO LA SABBIA, IGNORARONO CHE NEL FEBBRAIO DEL 2019, SETTE MESI DOPO LA SCOMPARSA DI MARCHIONNE, IL NUMERO UNO DI EXOR E STELLANTIS ABBANDONÒ LA STORICA E SIMBOLICA “PALAZZINA FIAT”, LE CUI MURA RACCONTANO LA STORIA DEL GRUPPO AUTOMOBILISTICO. E SOTTO SILENZIO (O QUASI) L’ANNO DOPO C’ERA STATO LO SVUOTAMENTO DEL LINGOTTO, EX FABBRICA EMBLEMA DELLA FIAT – LA PRECISAZIONE: FONTI VICINE ALLA SOCIETÀ BIANCONERA SMENTISCONO QUALSIVOGLIA TRATTATIVA CON SAUDITI...

giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT – ESSÌ, STAVOLTA BISOGNA AMMETTERLO: SULLA LEGGE DI BILANCIO MATTEO SALVINI HA PIÙ DI QUALCHE SACROSANTA RAGIONE PER IMPEGNARSI A MORTE NEL SUO RUOLO DI IRRIDUCIBILE SFASCIACARROZZE DELLA MARCHESINA DEL COLLE OPPIO (“IL GOVERNO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO!’’) - DIETRO UNA FINANZIARIA MAI COSÌ MICRAGNOSA DI 18 MILIARDI, CHE HA AFFOSSATO CONDONI E PENSIONI CARI A SALVINI, L’OBIETTIVO DELLA DUCETTA È DI USCIRE CON UN ANNO IN ANTICIPO DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEFICIT ECCESSIVO ATTIVATA DALL'EUROPA NEL 2024. COSÌ SARÀ LIBERA E BELLA PER TRAVESTIRSI DA BEFANA PER LA FINANZIARIA 2026 CHE SARÀ RICCA DI DEFICIT, SPESE E "MENO TASSE PER TUTTI!", PROPRIO IN PERFETTA COINCIDENZA CON LE ELEZIONI POLITICHE 2027 – OVVIAMENTE LA “BEFANA MELONI” SI PRENDERÀ TUTTO IL MERITO DELLA CUCCAGNA, ALLA FACCIA DI LEGA E FORZA ITALIA…

moravia mussolini

‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI CAMPI IN CUI SI È ESPLICATA E IN PARTICOLARE IN QUELLO DELLA CULTURA. DEBBO SOGGIUNGERE CHE LA PERSONALITÀ INTELLETTUALE E MORALE DELLA ECCELLENZA VOSTRA, MI HA SEMPRE SINGOLARMENTE COLPITO PER IL FATTO DI AVERE NEL GIRO DI POCHI ANNI SAPUTO TRASFORMARE E IMPRONTARE DI SÉ LA VITA DEL POPOLO ITALIANO” (1938) - LE 998 PAGINE DEI “TACCUINI” DI LEONETTA CECCHI PIERACCINI SONO UNA PREZIOSISSIMA MEMORIA, PRIVA DI MORALISMO E DI SENTIMENTALISMO, PER FICCARE IL NASO NEL COSTUME DELL’ITALIA LETTERARIA E ARTISTICA FINITA SOTTO IL TALLONE DELLA DITTATURA FASCISTA - DAL DIARIO DI LEONETTA PIERACCINI, SPICCANO LA VITA E LE OPERE E LA SERVILE E UMILIANTE LETTERA A MUSSOLINI DEL “SEMI-EBREO” ALBERTO PINCHERLE, IN ARTE MORAVIA – ALTRA NOTA: “SIMPATIA DI MORAVIA PER HITLER. EGLI DICE CHE DEGLI UOMINI POLITICI DEL MOMENTO È QUELLO CHE PIÙ GLI PIACE PERCHÉ GLI PARE NON SIA MOSSO DA AMBIZIONE PERSONALE PER QUELLO CHE FA...”

leonardo maria del vecchio - gabriele benedetto - andrea riffeser monti - marco talarico - luigi giacomo mascellaro

DAGOREPORT - ELKANN NON FA IN TEMPO A USCIRE DALLA SCENA CHE, ZAC!, ENTRA DEL VECCHIO JR: DAVVERO, NON SI PUÒ MAI STARE TRANQUILLI IN QUESTO DISGRAZIATO PAESE - GIÀ L’ACQUISIZIONE DEL 30% DE ‘’IL GIORNALE’’ DA PARTE DEL VIVACISSIMO LEONARDINO DEL VECCHIO, ANTICIPATA IERI DA DAGOSPIA, HA SUSCITATO “OH” DI SORPRESA. BUM! BUM! STAMATTINA SONO SALTATI I BULBI OCULARI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA ALL’ANNUNCIO DELL'EREDE DELL VECCHIO DI VOLER ACQUISIRE IL TERZO POLO ITALIANO DELL’INFORMAZIONE, IN MANO ALLA FAMIGLIA RIFFESER MONTI: “LA NAZIONE” (FIRENZE), “IL RESTO DEL CARLINO” (BOLOGNA) E “IL GIORNO” (MILANO) - IN POCHI ANNI DI ATTIVITÀ, LMDV DI DEL VECCHIO HA INVESTITO OLTRE 250 MILIONI IN PIÙ DI 40 OPERAZIONI, SOSTENUTE DA UN FINANZIAMENTO DI 350 MILIONI DA INDOSUEZ (GRUPPO CRÉDIT AGRICOLE) - LA LINEA POLITICA CHE FRULLA NELLA TESTA TRICOLOGICAMENTE FOLTA DELL'INDIAVOLATO LMDV, A QUANTO PARE, NON ESISTE - DEL RESTO, TRA I NUOVI IMPRENDITORI SI ASSISTE A UN RITORNO AD ALTO POTENZIALE ALLO "SPIRITO ANIMALE DEL CAPITALISMO", DOVE IL BUSINESS, ANCHE IL PIU' IRRAZIONALE, OCCUPA IL PRIMO POSTO E LA POLITICA E' SOLO UN DINOSAURO DI BUROCRAZIA…

roberto occhiuto corrente sandokan antonio tajani pier silvio e marina berlusconi 2025occhiuto roscioli

CAFONAL! FORZA ITALIA ''IN LIBERTÀ'' - DALLA CALABRIA, PASSANDO PER ARCORE, ARRIVA LO SFRATTO DEFINITIVO A TAJANI DA ROBERTO OCCHIUTO: “SONO PRONTO A GUIDARE IL PARTITO FONDATO DA SILVIO BERLUSCONI’’ - PARLA IL GOVERNATORE DELLA CALABRIA E, A PARTE L'ACCENTO CALABRO-LESO, SEMBRA DI SENTIRE MARINA & PIER SILVIO: “BASTA GALLEGGIARE INTORNO ALL'8%. MELONI NON È SUFFICIENTE AL CENTRODESTRA. BISOGNA RAFFORZARE L'ALA LIBERALE DELLA COALIZIONE" - A FAR TRABOCCARE LA PAZIENZA DELLA FAMIGLIA BERLUSCONI È STATA LA PROSPETTIVA DI UN CONGRESSO NAZIONALE CHE AVREBBE DATO A TAJANI, GASPARRI E BARELLI IL POTERE DI COMPORRE LE LISTE PER LE POLITICHE NEL 2027. A SPAZZARE VIA LE VELLEITÀ DEI TAJANEI, È ARRIVATA DA MILANO LA MINACCIA DI TOGLIERE DAL SIMBOLO DEL PARTITO IL NOME "BERLUSCONI", CHE VALE OLTRE LA METÀ DELL'8% DI FORZA ITALIA - DA LOTITO A RONZULLI, DALL’EX MELONIANO MANLIO MESSINA A NICOLA PORRO: NELLA NUTRITA TRUPPA CHE SI È PRESENTATA AL CONVEGNO DI OCCHIUTO, SPICCAVA FABIO ROSCIOLI, TESORIERE DI FORZA ITALIA ED EMISSARIO (E LEGALE PERSONALE) DI MARINA E PIER SILVIO...