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GAZA AMARA PER BANKSY - SEQUESTRATA SU ORDINE DI HAMAS UN’OPERA DEL “TERRORISTA DELL’ARTE”: ERA STATA ACQUISTATA PER POCHI DOLLARI (VALE ALMENO MEZZO MILIONE) - IL COMPRATORE DENUNCIATO PER FRODE

dea niobe banksydea niobe banksy

Francesco Battistini per il “Corriere della Sera”

 

Sequestra l’arte e mettila da parte: non sapendo bene dove, per il momento l’hanno sistemata nella biblioteca comunale. Coi turni di guardia, neanche fosse un ostaggio israeliano. Con la sensazione d’avere fra le mani un tesoro, o una bomba, che non sarà facile maneggiare. L’altro ieri, la polizia di Hamas s’è presentata nella casa di Bilal Khaled, un ventitreenne artista di Gaza. Una denuncia per frode e un ordine: consegnare alle autorità costituite la porta di ferro che qualche giorno fa Bilal ha comprato per 175 euro da Rabie Dardouna, 33 anni, proprietario d’una casa distrutta al quale non sembrava vero di poter fare qualche soldo e al quale, solo dopo, è parso chiaro «l’imbroglio».

 

Dietro quella porta, o meglio sopra, c’è l’oggetto della disputa: una donna spray, «Bomb damage», un dipinto di Banksy che sul mercato mondiale può valere anche mezzo milione. Bilal lo sapeva. Rabie, no. E così il capolavoro resterà lì, nella biblioteca, finché non sarà un giudice a decidere a chi appartenga. 
 

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Lo street artist più famoso del mondo, il rinomato anonimo di Bristol che a febbraio è entrato di nascosto nella Striscia, senza volerlo è riuscito a trasformare la sua «guerrilla art» in una guerra fra poveri. L’azione dimostrativa era il seguito dei murales iconoclastici che Banksy aveva già lasciato a Betlemme sul Muro di separazione, trompe l’oeil di paesaggi tropicali e bambine palestinesi che perquisiscono soldati israeliani: «Gaza è una nuova destinazione da visitare — aveva ironizzato l’artista sul suo profilo Facebook — un posto che gli abitanti amano a tal punto da non andarsene mai». 
 

Fra le 18mila case distrutte in cinquanta giorni di bombardamenti, fra i 110mila sfollati dell’ultima guerra, Banksy aveva dipinto qua e là torrette di guardia trasformate in calcinculo per i bambini, gatti che giocano con matasse di filo spinato. E sull’unica cosa rimasta in piedi dell’abitazione di Rabie, la porta, una dea greca nella posa del «Pensatore» di Rodin. Versione dell’ignaro venditore: «Bilal mi ha nascosto d’essere un appassionato d’arte, s’è presentato come un giornalista fotografo. Mi ha detto che la sua agenzia aveva realizzato il graffito e ora voleva recuperarlo. Io non sapevo chi fosse questo Banksy. Invece girava già su Internet il video di quand’è venuto a dipingere…».

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Versione del consapevole acquirente: «Ho voluto solo proteggere l’opera, per farne un giorno una proprietà pubblica che racconti al mondo le sofferenze di Gaza. Al momento non intendo venderla. Ma il vero proprietario resto io e voglio dimostrarlo in tribunale». 
 

Fra i due litiganti, alla fine potrebbe godere Hamas. Che non esclude di tenersi l’opera, come ha fatto capire un portavoce della polizia palestinese: sia perché in fondo la legge islamica, se applicata alla lettera, vieterebbe di raffigurare questo genere di divinità «pagane»; sia perché il graffito, come s’arrivò ad argomentare in passato per un bronzo di Apollo pescato in mare, ha un superiore significato politico che «testimonia la presenza palestinese nella Striscia».

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Almeno questo, Banksy forse l’aveva previsto: la dea raffigurata e ora rinchiusa nella biblioteca, proibita ai due pretendenti, è Niobe. La figlia di Tantalo. Quello condannato a desiderare una cosa senza averla mai . 

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