1. PIÙ GERONZI PER TUTTI! CESARONE NON SALVÒ SOLO BERLUSCONI DAL FALLIMENTO, FINANZIÒ CON 7 MILIARDI DI LIRE ANCHE "REPUBBLICA" QUANDO, NEL 1981, ERA IN DIFFICOLTÀ 2. IL RITORNO DI DE BORTOLI ALLA DIREZIONE DEL "CORRIERE" IMPOSTO DA GERONZI E BAZOLI CONTRO LA CANDIDATURA DI CARLO ROSSELLA PRESENTATA A BERLUSCONI A PALAZZO CHIGI DA MONTEZEMOLO E DELLA VALLE. BOCCIATA, I DUE RIPROPOSERO MIELI IN CDA 3. GERONZI-SPIA: "NON AVVERTO ALCUN BISOGNO DI CAMBIAMENTO," PROCLAMÒ (MONTEZEMOLO), LANCIANDOSI POI IN UN LUNGO PISTOLOTTO SULL'AUTONOMIA DEL "CORRIERE" E SULLO STILE DI AGNELLI CHE MAI SAREBBE ANDATO A PIETIRE BENEDIZIONI POLITICHE. MA IL CONSIGLIERE MASSIMO PINI LO GELÒ: "ALLORA NON ERA L'AVVOCATO MA IL SUO FANTASMA QUELLO CHE VEDEVO ENTRARE NELL'UFFICIO DI CRAXI A PARLARE DI DIRETTORI" 4. MUCCHETTI: ‘’DELLA VALLE VOLEVA LICENZIARMI QUANDO PUBBLICAI ‘’IL BACO DEL CORRIERE’’

Estratti da "Confiteor - Massimo Mucchetti intervista Cesare Geronzi" - Edizioni Feltrinelli
Pagg. 20-23

Mucchetti - Quelli che lei chiama pregiudizi, per me sono diversità di analisi e di opinioni. Banchieri e giornalisti non stanno sullo stesso carro. Almeno, non dovrebbero. I contrasti sono fisiologici. Certo è che, se fosse dipeso da lei, Il anni fa, avrei perso il posto.

Geronzi - Non capisco.

M - Andò così. La mattina di venerdì 21 giugno 2001, il Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, telefonò a Carlo De Benedetti per manifestargli senza preamboli il suo sdegno per un articolo fresco di stampa sui conti della banca centrale e sulle possibili riforme del suo azionariato, disegnate dalla stessa banca, da Pellegrino Capaldo e da Enrico Cuccia. L'articolo era intitolato Banchetta d'Italia Fazio pretendeva che l'editore ottenesse le immediate dimissioni del direttore, Giulio Anselmi. ..

G - Un grande giornalista.

M - Appunto. "Entro mezzogiorno attendo notizie," concluse Fazio. De Benedetti rifiutò di fare alcunché. Fazio lo avvertì che quel no interrompeva i loro rapporti. Sul far del mezzogiorno, mentre era in procinto di decollare da Genova alla volta della Sardegna per il weekend, De Benedetti fu di nuovo chiamato al telefono. Era lei.

G - lo?

M - Sì, lei che voleva mettere pace. "Caro ingegnere, il Governatore ha sbagliato a usare quei toni, se ne dispiace e capisce che lei non possa licenziare il direttore dell"Espresso'. Ma anche lei capirà che quell'articolo, e quel titolo poi, hanno inferto un vulnus non tanto alla persona del Governatore quanto all'istituzione. Ci vuole un segno che si è capito. Almeno mandate via l'autore. " Quell'articolo reca la mia firma.

G - Stento a credere che De Benedetti, il quale ha avuto con me sempre rapporti corretti e trasparenti, possa averle mai detto così. lo che chiedo di licenziare giornalisti? No. Non per rinfacciare, di fronte a una notizia non vera o di fronte a un equivoco, ma voglio ricordare che fummo proprio Rinaldo Ossola e io, allora al Banco di Napoli, a finanziare con 7 miliardi di lire "Repubblica" quando, nel 1981, rischiava di perdere l'accesso al credito a causa delle difficoltà del momento e della sua iniziale fragilità. Quanto ce lo fecero pagare quel prestito al giornale che attaccava il sistema di potere dei Gava! Già a quei tempi De Benedetti era azionista dell'Editoriale L'Espresso, e ne avrà visto i bilanci ...

M - Naturalmente, dato il successo poi conseguito da "Repubblica", si può dire che si trattò di una felice decisione.

G - Per quanto riguarda Antonio Fazio, coloro che lo conoscono potrebbero escludere che egli possa aver mai fatto una richiesta di licenziamento. Semmai avrà protestato per il modo in cui veniva definita la Banca d'Italia. Ma chi, al vertice di quella autorevolissima istituzione, non lo avrebbe fatto?

M - De Benedetti mi fece questa confidenza quando, alla fine del 2003, dopo 17 anni molto buoni, lasciai l'''Espresso'' per passare al "Corriere della Sera". E adesso mi ha autorizzato a farne uso con lei.

G - Glielo dico di nuovo: non è assolutamente vero. Nella migliore delle ipotesi, si sarà trattato di un equivoco. Spero proprio che lei non ci creda.

M - Qualcosa sarà pur accaduto se negli anni seguenti, governatore Fazio, De Benedetti non è più stato invitato all'assemblea annuale della Banca d'Italia.

G - Non ci ho mai fatto caso.

M - La lista degli imprenditori da invitare veniva affidata tradizionalmente a Mediobanca, fatto salvo il diritto della Banca d'Italia di aggiungere o togliere nomi. Quello di De Benedetti fu tolto ...

G - Non è vero che la Banca d'Italia facesse preparare da qualche banca la lista degli imprenditori da invitare. A Mediobanca, che cura la famosa indagine-ricerca sulle imprese, venivano chiesti dati sui gruppi industriali che poi venivano raffrontati con quelli della stessa Bankitalia, per rispondere alle richieste di invito e decidere l'ordine delle precedenze sulla base di una nutrita serie di criteri.

M - Mi sarò espresso male. Ma nel rapporto di Mediobanca il gruppo De Benedetti non è mai mancato. Prendo atto che le elaborazioni e i criteri della Banca d'Italia potessero portare a conclusioni diverse.

G - E lei pensa che stare nel rapporto Mediobanca legittimi inviti coattivi?

M - Non è questo il problema. E non conta a chi io creda tra lei e De Benedetti, che ho avuto come editore - un buon editore per 17 anni. Conta che quella confidenza non impedisce a me di essere qui a scrutare, con lei, l'anatomia del potere e raccontare, con lealtà, la sua storia.

G - E io le chiedo che senso abbia per lei parlare con me se crede a quella storia. Ovviamente, ciò nulla toglie alla considerazione che ho per De Benedetti e per le sue qualità di imprenditore ed editore.

M - Ha molto senso. Ammetta per un momento di averla fatta, quella richiesta. Le dico che la cosa poteva pure rientrare nell'esercizio delle sue responsabilità istituzionali, se fatta ovviamente senza pressioni illegittime. La vita non è un pranzo di gala. Del resto, anche Diego Della Valle, il signor Tod's, aveva proposto di licenziarmi quando, nel 2006, pubblicai ‘'Il baco del Corriere'' ..

G - Della Valle non fece una proposta di questo genere durante una riunione del patto di sindacato che riunisce i principali azionisti di Rcs MediaGroup, l'editrice del "Corriere". La formulò nei conciliaboli a latere e non trovò seguito.

M - Della Valle ebbe la cortesia di raccontarmelo lui stesso, qualche mese dopo. Noi azionisti di Rcs, riferì di aver detto ai colleghi, non possiamo permettere che un giornalista del "Corriere" attacchi uno o due di noi. Sarebbe un precedente. Gli risposi che il "Corriere" e i suoi giornalisti rispondono prima di tutto ai lettori. E i lettori, senza i quali non c'è fatturato, esigono notizie attendibili e commenti sensati e liberi. Anche sugli azionisti. Non ci furono strascichi. Ci diamo sempre del tu, ci vediamo di quando in quando e capita che si possa talvolta andare d'accordo. Vede, sta all'editore rimandare al mittente le richieste che non condivide e, alla peggio, sta al giornalista difendersi con le armi della propria reputazione, del contratto di lavoro e della legge. Avendo cura, quando scrive, di non farsi condizionare dall'eventuale conflitto.

G - Mi risparmi la lezioncina sulle regole del gioco. Le conosciamo tutti. Ma sa perché vorrei che lei non credesse a quella balla?

M - Me lo dica.

G - Perché, se adesso può scrivere tanto e con tanta evidenza sul "Corriere", questo lo deve in larga misura a me.

M - E io che pensavo di doverlo al direttore, Ferruccio de Bortoli, che ritiene utili competenze non così apprezzate dal suo predecessore ... Non si finisce mai di imparare.

G - Capisco la sua ironia. Ma chi ha reso possibile, sulla base di valutazioni aziendali e al fine di rafforzare l'autonomia del primo quotidiano italiano, il ritorno di de Bortoli alla direzione del "Corriere"? Il signor Geronzi, insieme con il signor Nanni Bazoli.

M - Vorrei invitarla subito a raccontare. Può immaginare la mia curiosità. Ma dobbiamo dare un ordine al nostro dialogo. Del "Corriere", e del particolare rapporto che le banche hanno con l'editoria, parleremo più avanti, anzi verso la fine. Adesso, entriamo nel vivo della sua storia partendo dall'ultimo atto: la caduta a Trieste.

G - È lei che fa le domande.


2- DAL TUNNEL SPUNTA DE BORTOLI
Pagg. 321-323

M - Il flashback è finito. Torniamo alla fine del Mieli Due. La scelta di de Bortoli quale successore alla direzione del "Corriere" fu, per così dire, preterintenzionale.

G - Non userei questo aggettivo. li ritorno di de Bortoli in via Solferino - c'era stata un'altra sua direzione, un de Bortoli Uno, tra il 1997 e il 2003 - poté maturare perché, si disse, il sottoscritto affondò la candidatura di Carlo Rossella, strenuamente sponsorizzata, invece, da Diego Della Valle e da Montezemolo che, all'epoca, era presidente della Fiat e aveva mano libera sulle questioni editoriali. Ancorché, sotto sotto, Della Valle, Montezemolo e pure Passera volessero tenere ancora Mieli.

M - In realtà, secondo le cronache, Geronzi sosteneva la candidatura di Roberto Napoletano. Da direttore del "Messaggero", Napoletano pubblicava gli scritti di Romano Prodi e dell'economista Marco Fortis, assai apprezzato dal ministro Giulio Tremonti.

G - E infatti il ministro Tremonti cercò ancora di appoggiarlo, con telefonate in extremis, quando ormai ci si stava orientando su de Bortoli. Ora, Napoletano è un valente professionista. Tanto è vero che ora dirige il "Sole 24 Ore". Non nego che avesse il mio consenso, ma non aveva quello di altri soci. ..

M - Non quello di Bazoli, si disse.

G - Soprattutto gli mancava l'appoggio di quanti dicevano di sostenere Rossella. La candidatura di Rossella, rimasta sul tavolo fino al penultimo minuto, era stata presentata a Palazzo Chigi da Montezemolo e Della Valle.

M - Come lo sa?

G - Emerse in un colloquio che ebbi con Silvio Berlusconi, che di Rossella è un grande estimatore. Al premier spiegai che non si poteva imporre alla direzione del "Corriere" un manager di Mediaset. Sarebbe stata una forzatura dannosa per il giornale e pure per lui, Berlusconi. Non sarebbe passato.

M - Ma come sfumò la candidatura di Rossella?

G - Montezemolo mi chiese di accompagnarlo da Bazoli, a Ca' de Sasso. Era sicuro di poter fugare le sue perplessità. Accettai, ancorché, di regola, Nanni e io ci vedessimo da soli. Lo lasciai esporre le virtù di Rossella, le sue direzioni della "Stampa", di "Panorama", del Tg5 e del Tg1. Non aggiunsi verbo. Parlava da solo il fatto che, al momento, Rossella fosse presidente di Medusa, la società di produzioni cinematografiche di Mediaset. Bazoli espose con fermezza le sue riserve ...

M - Quella volta, se la maggioranza avesse sostenuto certe candidature troppo targate politicamente, Bazoli si sarebbe ritirato dal sindacato Rcs, dov'era rappresentato dalla finanziaria Mittel e da Intesa Sanpaolo. Poi avrebbe pubblicamente spiegato il perché.

G - In quei giorni ci fu anche questo avvertimento. lo lasciai che Montezemolo andasse a schiantarsi contro il no del professore. A un certo punto il colloquio si interruppe. Qualcuno bussava alla porta. Era Corrado Passera, l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. Fu invitato a entrare, un breve riassunto, e Passera suggerì: "Ma non sarebbe il caso di lasciare le cose come stanno?". Ma non era più possibile. Nanni e io avevamo convenuto che il Mieli Due aveva fatto il suo tempo. Compresi che Nanni aveva un problema in casa. Ma all'ultimo minuto riemerse di nuovo Mieli. La sera prima della riunione del patto di Rcs mi chiamò Gianni Letta. Aveva appena incontrato Montezemolo al circolo Aniene, luogo d'elezione del generone romano.

"Luca ci dice che forse è meglio tenersi Mieli. Guarda che ti chiamerà Silvio tra poco." E infatti, di lì a poco, Berlusconi mi invitò a rinviare tutto di cinque o sei mesi. In questi casi, bisogna essere chiari e fui chiaro: "Silvio, ormai è deciso. La Rcs è una società per azioni, i soci del patto sono già convocati, sanno, de Bortoli ha già dato la sua disponibilità, non si può più tornare indietro". Berlusconi capì. In effetti, de Bortoli era già stato preavvertito da una telefonata di Bazoli la domenica mattina e il lunedì era venuto da me in Mediobanca per l'investitura ufficiosa, entrando e uscendo dal tunnel segreto che collega la sede della banca al Teatro dei Filodrammatici in modo da evitare i giornalisti che assediavano !'ingresso da piazzetta Cuccia.

M - Come venne fuori il nome di de Bortoli?

G - Nei colloqui a quattr' occhi tra Bazoli e me. E però fui io a proporlo aprendo la riunione ufficiale del patto di sindacato Rcs. Subito dopo prese la parola Bazoli, a sostegno. Passera si spese per Mieli. Ma il cambio della guardia era nell'aria. Specialmente dopo !'intervento di Montezemolo. Il presidente della Fiat nella sostanza condivideva la linea di Passera. "Non avverto alcun bisogno di cambiamento," proclamò, lanciandosi poi in un lungo pistolotto sull'autonomia del "Corriere" e sullo stile di Giovanni Agnelli che mai sarebbe andato a pietire benedizioni politiche. Ma Massimo Pini lo gelò: "Allora non era l'Avvocato ma il suo fantasma quello che vedevo entrare nell'ufficio di Craxi a parlare di direttori ... ".

M - Marco Tronchetti Provera, che di Mieli è amico personale, che cosa disse?

G - Non disse nulla. Il presidente del patto, Giampiero Pesenti, chiese se si dovesse procedere al voto. Fu una formalità: de Bortoli passò con il consenso di tutti.

M - Della Valle si astenne.

G - Credo che non fosse presente a quella riunione.

 

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