renzi matteo berlusconi silvio

GLI INTELLO’ DE’ SINISTRA, CHE CI HANNO ROTTO LE PALLE VENT’ANNI CON LA LORO “GUERRA CIVILE” CONTRO IL BERLUSCONISMO, OGGI TACCIONO IMBARAZZATI DAVANTI ALLE PARACULATE E AGLI ATTI DI FORZA DI MATTEO RENZI E I SUOI COMPAGNI DI MERENDE TOSCANI

1 - QUANDO C' ERA LUI... SE L' AVESSE FATTO IL CAV... E ALTRE NOSTALGIE CANAGLIA

Alessandro Giuli per “Il Foglio”

 

berlusconi renzi berlusconi renzi

Il vecchio e rozzo adagio "quando c' era lui..." non si porta più da tempo, ma adesso ne è nato uno nuovo, un piccolo e fortunato topos politico caro allo scontento collettivo: "Se l' avesse fatto Berlusconi". E' diventata questa la frase passepartout del momento, il nuovo nero degli atrabiliari inconsolabili che vorrebbero inchiodare Matteo Renzi all' ombra lunga del Caimano. E che sopra tutto cercano di destare dal torpore e dalla rassegnazione gli emeriti cultori del girotondismo, i feticisti della Costituzione più -bella -del -mondo, il (fu) variopinto popolo viola e arancio che infiniti addusse lutti ai berlusconiani.

 

Ma non si tratta soltanto della sinistra minoritaria dei sedicenti ottimati dell' accademia, dei mozzorecchi e dei paleosindacalisti. Uno dei primi cultori della materia è infatti Enrico Letta. Fu lui, alla fine dell' aprile scorso, quando il premier pretese un voto di fiducia sull' Italicum, a uscirsene così sui taccuini del Manifesto: "Se l' avesse fatto Berlusconi, di approvare le regole da solo e di blindarle con il voto di fiducia, saremmo scesi in piazza. E ora che queste forzature avvengono a casa nostra non si può far finta di niente e applicare la doppia morale".

BERLUSCONI RENZIBERLUSCONI RENZI

 

Il corteggio delle prefiche era stato aperto dalla minoranza del Partito democratico, e s' intuiva che si sarebbe via via ingrossato. L'eccelsa e irriducibile bersaniana Chiara Geloni, per esempio (ma guai a chi me la tocca), un' estate fa ne faceva più o meno una questione di metodo. Titolo: "La cacciata di Mineo: e se l' avesse fatto Berlusconi?". Istruzioni fondamentali:

 

"1) Chiedersi SEMPRE 'ma se l' avesse fatto Berlusconi'.

2) Chiedersi ALMENO OGNI TANTO 'ma se l' avesse fatto Bersani'".

 

BERLUSCONI VS RENZI BY GIANNELLIBERLUSCONI VS RENZI BY GIANNELLI

Da Roberto Saviano al grillino Alessandro Di Battista - "Cosa avrebbero detto gli intellettuali di sinistra contro Berlusconi se lui avesse salvato una banca con un decreto ad hoc nella quale avevano interessi i suoi parenti?" - fino al capoclasse Marco Travaglio - "Minacce, ricatti, compravendite. Ma se lo facesse Berlusconi?" - i seguaci di Letta e Geloni si diffondono così, pressoché unanimi, sullo pseudo -cesarismo renziano.

 

A metà dicembre, il Giornale di famiglia berlusconiana ha passato in rassegna alcune di queste espettorazioni, ma senza trarne alcuna morale, giusto per allargare la piccola piaga sull' epidermide degli insofferenti. Ma forse una morale esiste e non è neppure quella opposta dai renziani: destra e sinistra sono categorie superate dai fatti, dai bisogni del presente. Se il Jobs Act, la riforma costituzionale, quella della scuola e, fresca fresca ma tutta da divinare ancora, quella della Rai non hanno provocato adunate di popolo; se la gestione più che controversa dei recenti microsalvataggi bancari non ha potuto creare le condizioni, non dico per una sollevazione di massa, ma nemmeno per un apericena d' indignados degno di una troupe in esterna, significa che la questione era mal posta.

Matteo Renzi e berlusconi Matteo Renzi e berlusconi

 

Il Cav. - ahilui, ahivoi - quelle riforme semplicemente non ha saputo o voluto farle. Punto. Matteo Renzi, Royal Baby o meno che sia, invece sì: a quanto pare le aspettative (o le abitudini) ingenerate non sono così negative e questo spiegherebbe il silenzio -assenso generale.

 

A meno di credere - come fanno i nostalgici del caimanesimo - che un ventennio di guerra civile a bassa intensità abbia finito per anestetizzare la sensibilità civica degli italiani. Siccome così non è, allora la domanda si potrebbe riformulare a contrario: che cosa sarebbe successo se Renzi non l' avesse fatto? Una risposta plausibile è che l'avrebbero fatto i tedeschi, e a modo loro. Oppure la Troika. Conveniva?

renzi e berlusconi 2 2renzi e berlusconi 2 2

 

2 - SU RENZI, ZITTI ZITTI

Marco Damilano per “l’Espresso”

 

“Parlo all' Italia riformista. Perché stiamo perdonando a Matteo Renzi quello che non perdonavamo a Silvio Berlusconi? Che cosa ci sta portando a fermarci?». La voce di Roberto Saviano su repubblica.it risuonava su smartphone e tablet nel pomeriggio di venerdì 11 dicembre a Firenze nella grande ex stazione Leopolda che si preparava ad accogliere il popolo renziano per il raduno annuale.

 

ALESSANDRO DI BATTISTAALESSANDRO DI BATTISTA

Lo scrittore attaccava «una struttura politica che ha compiuto l' ennesimo atto autoritario», il «conflitto di interessi» del ministro Maria Elena Boschi, figlia dell' ex vice-presidente della Banca Etruria oggetto di un decreto del governo. Un crescendo che, il giorno dopo, arrivava a definire la Leopolda «un' accolita che difende i malversatori». Ma esaurita l' indignazione di giornata del cerchio magico del premier contro le parole dello scrittore, bisogna riprendere il j' accuse di Saviano che va ben al di là della singola questione, chiama in causa il diritto di critica, «che non può essere considerato un impiccio», e il rapporto degli intellettuali con il nuovo principe venuto da Rignano.

 

Roberto Saviano Roberto Saviano

Scrittori, registi, sceneggiatori, opinionisti solitamente impegnati. In prima fila nella firma di appelli e manifesti. Pronti a ingaggiare il corpo a corpo delle idee. Sul palco, in piazza, sui giornali. Con parole e opere: romanzi, film, canzoni, articoli. E ora, invece, stretti tra due accuse.

 

Quella di Renzi e dei suoi laudatori, secondo cui le voci di dissenso sarebbero in blocco «professoroni, gufi, professionisti della rassegnazione». «Un giorno si parlerà finalmente delle responsabilità delle élite culturali nella crisi italiana: professori, editorialisti, opinionisti non sono senza colpe», disse il premier a "Repubblica" dopo pochi mesi di governo, il 4 agosto 2014.

 

ASOR ROSA 1ASOR ROSA 1

«Siamo gli unici che vogliono bene all' Italia, contro il disfattismo e il nichilismo, contro chi sfoga la sua frustrazione nelle polemiche», ha replicato, senza nominarlo, a Saviano dal palco della Leopolda. E c'è, sul versante opposto, la seconda accusa, non meno bruciante, quella avanzata dall' autore di "Gomorra". La timidezza verso il nuovo potere renziano nell' ambiente culturale «riformista». Gli intellettuali di sinistra che furono in prima fila negli anni del berlusconismo. E che ora appaiono svogliati. Ritrosi a schierarsi. Ritirati nei propri quartieri. Taciturni. In silenzio. Forse imbarazzati, di certo confusi. Per loro stessa ammissione.

 

«Renzi è di sinistra? Diciamo che, come Margherita dice in "Mia madre", anch' io sono confuso in questa fase e preferisco tacere, piuttosto che dire cose generiche o banali… Sono contento se il governo è di centrosinistra, facendo però davvero riforme di centrosinistra. Ma ripeto: in questo periodo sono confuso e preferisco non dire cose a caso». Nanni Moretti ha interrotto di recente con un' intervista a "Oggi" e poi a "Le Monde" la sua distanza dalla politica.

 

mia madre nanni morettimia madre nanni moretti

Per testimoniare, però, che in questa fase è meglio restare zitti piuttosto che parlare per non dire nulla. Eppure per decenni Moretti ha portato sul grande schermo la crisi del Pci e della sinistra, da "Palombella Rossa" a "Aprile", gli psicodrammi di militanti, dirigenti, semplici elettori, con le lettere mai spedite ai leader di partito. L' interpretazione del ministro socialista Botero in "Il portaborse" di Daniele Luchetti all' inizio degli anni '90 anticipò Tangentopoli.

 

E poi "Il Caimano" (2006) su Berlusconi e il conformismo di stampa e televisioni. E soprattutto la stagione dei girotondi, tra il 2002 e il 2003, quando il regista accettò di guidare un movimento e finì per assumere la leadership dell' anti-berlusconismo in un momento di debolezza politica dei partiti di centro-sinistra. Ora è un altro momento. Di confusione. E perfino, per i cinquantenni-sessantenni coetanei di Moretti, di un sottile senso di colpa. «A me Renzi sta antipatico, non mi sento contiguo alla Leopolda, ma mi sono supremamente rotto le scatole di quello che ha fatto la mia generazione in politica», ha detto la settimana scorsa Michele Serra in tv a "Otto e mezzo".

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In continuità con quanto l'ex direttore di "Cuore" aveva scritto su "l' Espresso" (11 maggio 2015): «Non esisterebbe Renzi se non fosse esistita, prima, una lunga stagione di impotenza. Matteo Renzi è il figlio più rappresentativo della crisi della democrazia italiana e più ancora della paralisi della società italiana. Chi lo critica ha quasi sempre ragione, ma alle spalle di quasi ogni critica c' è il sospetto inevitabile della conservazione. E se Renzi è quello che è, la colpa non è tutta sua».

 

stefano rodotastefano rodota

De te fabula narratur: non è colpa di Matteo, e forse neppure del tutto merito suo, se con facilità impressionante ha conquistato il potere, scalato la sinistra, polverizzato i riferimenti culturali del passato, sgretolato il pantheon dei miti fondativi. Colpa di chi l' ha preceduto, dei dirigenti antichi e inamovibili, dei padri nobili che in ogni cambiamento hanno avvertito, sospettosi, l' ombra della fuoriuscita dal patto costituzionale su cui si è costruita la Repubblica e sono cresciute le culture politiche dei partiti, più forti e resistenti delle ideologie.

 

Il grande silenzio, come si intitolava il libro-intervista sugli intellettuali di Alberto Asor Rosa con Simonetta Fiori (Laterza, 2010), sembra essere la reazione di una certa generazione e di una certa cultura: quella che ha combattuto da sinistra negli anni Ottanta la modernizzazione di Bettino Craxi, il rampantismo socialista e poi, naturalmente, il berlusconismo trionfante. E che ora, dopo tante battaglie e molte sconfitte, non se la sente più di intrecciare un conflitto anche con il premier rottamatore. Anche perché, come dice Serra, «Renzi non è come Berlusconi».

 

francesco piccolofrancesco piccolo

C' è chi questo passaggio l' ha fatto con agilità e senza farsi troppi problemi: ad esempio Francesco Piccolo, sceneggiatore di Moretti, con "Il desiderio di essere come tutti" (Einaudi, 2013), vincitore del premio Strega, uscito nei mesi in cui Renzi dava l' assalto al vertice del Pd e poi a Palazzo Chigi, aveva già ben rappresentato la felicità di un intellettuale di sinistra pronto a tuffarsi nella nuova epoca.

 

Sul versante opposto, quello della critica, si schierano intellettuali di altre generazioni e di altri filoni culturali, più azionisti che ex Pci. Sono loro i «famigerati professoroni». Giuristi come Stefano Rodotà o come Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte costituzionale, che denuncia nel suo ultimo libro "Moscacieca" (Laterza, 2015) «l' allergia per il pensiero non allineato» e si spinge a comporre l' elogio del pessimismo contro la «leggera, fatua, insulsa allegrezza che fluttua qua e là senza alcun costante e maturo impegno per un' opera degna della parola politica». Professori come Asor Rosa che attacca «la mutazione genetica» del Pd.

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E storici come Marco Revelli: erano in tanti il 3 dicembre a discutere nella sede romana della casa editrice Laterza il suo ultimo libro "Dentro e contro", una delle più compiute requisitorie contro il sistema renziano. Seminario ad alta tensione, con uno scontro senza ipocrisie tra l' autore e il giurista Sabino Cassese, ex giudice della Corte costituzionale, difensore delle riforme del governo Renzi. Perché in questi mondi l' atteggiamento da tenere nei confronti del premier spacca, divide. Renzi, nelle pagine di Revelli, è descritto come Callicle, piccolo filosofo ateniese del V secolo a.C., «archetipo di quel disprezzo per la conoscenza e per i sapienti che ritornerà infinite volte nelle zone grigie della storia».

 

Un modello di potere post-democratico nell' Europa attraversata dai populisti: «L' Italia danza sull' abisso, nelle mani di un funambolo che cammina sulla fune senza rete. E tutti lì sotto, con il naso in aria, a gridare di accelerare».

 

MARCO REVELLIMARCO REVELLI

Tutti chi? Inutile cercare pensatori vecchio stile tra gli intervenuti all' ultima edizione della Leopolda. Nelle precedenti kermesse aveva colpito e affascinato la platea lo scrittore Alessandro Baricco, con la sua narrazione popolata di spazi bianchi da riempire, pezzi sulla scacchiera da muovere per primi, navi da bruciare alle spalle. Ma questa volta non si è fatto vedere, né lui né altri artigiani dell' immaginario.

 

E non si trovano citazione di contemporanei nel discorso finale di Renzi, con l' eccezione di Paolo Sorrentino, fresco vincitore degli Efa di Berlino, l' Oscar europeo, il regista prediletto dal premier. Forse perché almeno gli ultimi due titoli, "La Grande Bellezza" e "Youth - La giovinezza", sono involontariamente, inconsciamente renziani. O forse perché, semplicemente, Sorrentino è un outsider che vince, come sempre si rappresenta l' ex ragazzo di Rignano.

Alessandro BariccoAlessandro Baricco

 

Nell' ultima edizione è stato lanciato il think tank che avrà il compito di formare la classe dirigente di domani. A dirigere "Volta" sarà Giuliano Da Empoli, presidente del Gabinetto Viesseux, già assessore alla Cultura con Renzi sindaco, ritornato nell' orbita di Matteo dopo qualche dissidio. Il suo "La prova del potere" (Mondadori, 2015) è il manifesto dei nati tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta del secolo scorso, «vaso di coccio tra due generazioni di ferro, i nativi dell' ideologia e i nativi della tecnologia», i quarantenni che traggono da questa debolezza la loro forza: i Sorrentino, i Renzi e i Saviano, e già, c' è anche lui, l' irregolare scrittore diventato il nemico del popolo nel raduno dell' ex stazione fiorentina.

 

La generazione Renzi raccolta da Christian Rocca, direttore di "IL", il mensile del "Sole 24-Ore" in "Non si può tornare indietro" (Marsilio, 2015), in cui si ritrovano toni forse perfino più renziani dell' originale che ha in odio qualsiasi ideologia, compresa eventualmente la sua. C' è anche questo, la difficoltà per gli intellettuali di professione di interloquire con un leader pragmatico, compiutamente post, impossibile da incasellare in una definizione.

 

GIULIANO DA EMPOLI 2GIULIANO DA EMPOLI 2

Che per di più si agita su un terreno di gioco, il confine della politica nazionale, con sempre minore significato. In Francia gli intellettuali litigano e si dividono tra mondialisti e identitari. In Italia il balcone è vuoto, come nell' ultima scena di "Habemus papam". Forse per questo Moretti è confuso. E anche gli altri non stanno tanto bene. 

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