CHRISTIE REDENTORE (DEI REPUBBLICANI) - IL GOVERNATORE DEL NEW JERSEY NON CERCA SOLO LA RIELEZIONE: PUNTA ALLA CASA BIANCA

Mattia Ferraresi per "il Foglio"

Barbara Buono, la sfidante di poche speranze del governatore del New Jersey, Chris Christie, non sbaglia di molto quando ripete, e lo fa spesso, che il pingue repubblicano dovrebbe "far campagna nei campi di grano dell'Iowa" invece di affannarsi fra Trenton e Newark, dove i consensi non gli mancano. Il 5 novembre gli elettori dello stato decideranno se il governatore schietto e monumentale, un repubblicano di nuova generazione, merita un altro mandato, appuntamento certamente importante ma per il quale sta costruendo una macchina elettorale sproporzionata rispetto alla circostanza.

Si presenta su un bulldozer per sfondare un muricciolo di cartongesso. Christie ha assoldato alcuni strateghi che hanno lavorato alle campagne presidenziali di George W. Bush e Mitt Romney, ha stretto contatti con fundraiser che operano lontano dai confini del suo regno, ha commissionato sondaggi a livello nazionale e il suo team sta mettendo a punto una serie di visite autunnali negli stati che spianano la via per la Casa Bianca.

Finora il governatore ha raccolto 9 milioni di dollari per la campagna elettorale e il 35 per cento di quei fondi arriva da finanziatori che non hanno interessi nel New Jersey ma sono molto interessati a propiziare un'ascesa nazionale del governatore, prospettiva evocata con martellante insistenza da quando il Partito repubblicano ha presentato agli elettori americani un parco candidati che nemmeno per una brevissima stagione ha dato l'impressione di poter insidiare la pur fragile leadership di un Barack Obama.

Un semplice calcolo aveva suggerito a Christie di stare fuori dal ring. Meglio non bruciarsi con una sconfitta annunciata. Raccogliere idee e denari, fare valutazioni scientifiche, lasciare che il partito raschi il fondo della sua crisi d'identità per poi riemergere con una pelle nuova, finalmente competitiva. Ogni manovra di Christie suggerisce che le sue ambizioni nazionali sono entrate nella fase esplorativa.

Alla riunione estiva del Partito repubblicano, tenuta la settimana scorsa a Boston, i consiglieri del governatore magnificavano presso i sodali di partito il modello dell'elezione double-face, fuori locale e dentro nazionale, in ottemperanza all'immortale massima secondo cui "tutta la politica americana è locale". L'autore del detto è quel Tip O'Neill che da gran coltivatore del compromesso beveva drink cordiali con l'avversario Ronald Reagan, usanza citata spesso dai produttori di lamentazioni contro questi tempi partigiani e polarizzati.

Christie è a suo modo il rappresentante dell'anima pragmatica e, se necessario, dialogante del partito, e va da sé che le frange intransigenti del mondo conservatore non gli abbiano mai perdonato l'intesa - ampiamente immortalata - con Obama sugli aiuti dello stato federale per la ricostruzione dopo l'uragano Sandy che ha devastato le coste del New Jersey.

Lui ha risposto, schiumante di rabbia, che nel nome della ricostruzione avrebbe chiesto aiuto anche al diavolo, se necessario. Nel discorso a porte chiuse di Boston, il governatore ha spiegato che il New Jersey è il laboratorio politico ideale per testare principi e politiche da riproporre a livello nazionale nella corsa del 2016. Il modello strategico è quello adottato da George W. Bush in Texas nel 1998, ma tutto al contrario.

Bush era il governatore di una roccaforte rossa che ha usato l'ultima tornata per valutare se il governo texano poteva estendersi per mitosi alla politica nazionale; conquistare un altro mandato sarebbe stato facile, ma Bush ne ha approfittato per concentrarsi sull'elettorato ispanico per testare la sua capacità di penetrazione presso un elettorato non immediatamente ovvio; Christie è il governatore repubblicano di uno stato democratico del nord-est, un conservatore outspoken e poco ossequioso verso le convenzioni, a disagio quando si tratta di baciare la pantofola dell'establishment, come molti politici che si trovano a operare in partibus infidelium.

"Se si può fare lì, si può fare ovunque", è il ragionamento esplicitato da Paul Diego Craney, capo della Massachusetts Fiscal Alliance, esattamente il tipo di riflesso che gli uomini di Christie volevano suscitare con questo rilascio di ballon d'essai. Il governatore ha bacchettato più o meno indirettamente anche altri aspiranti candidati nel futuro repubblicano.

Quando ha detto che non sarà "uno di quelli che arrivano e dicono che il nostro partito è stupido", le menti sono andate al governatore della Louisiana, Bobby Jindal, e all'animosità con cui si è alienato le simpatie di colleghi che magari ammettono pure la necessità di una riforma profonda del partito ma non permetteranno ad alcuno di buttare a mare la tradizione conservatrice per alleggerirsi e tornare competitivi.

Christie sa che deve navigare con cautela nello stretto di una contraddizione storica del conservatorismo. Il partito dei bianchi, del sud, delle battaglie sociali e della destra religiosa deve inglobare nuovi elementi della società che sembrano tendere inesorabilmente verso la sponda democratica. Allo stesso tempo non deve annacquare l'anima del partito in cambio di una manciata di voti freschi.

Occorre allargare senza alienare, attirare l'elettorato esterno senza violare l'ortodossia della base tradizionale, innovare senza tradire. E' per questa duplice natura che gli occhi brillavano di orgoglio quando alla convention repubblicana dello scorso anno si è presentato come un "New Jersey Republican", un figlio di madre siciliana e padre irlandese che impazzisce per Bruce Springsteen e vince a mani basse le elezioni in uno stato dove i democratici superano i repubblicani di 700 mila unità.

Christie si è costruito una credibilità presso l'establishment con potenti prese di posizione sull'eccezionalismo americano, discorsi di sapore reaganiano contro il big government e altri inequivocabili giuramenti alla worldview conservatrice, tipo il veto al matrimonio gay posto lo scorso anno nel suo stato.

Ora che è arrivata l'ora della strategia getta ponti verso i grandi organizzatori di campagne, su tutti l'architetto Karl Rove e il suo fundraiser di riferimento, Harold Simmons, uno che ha buttato nella (disperata) campagna di Romney 105 milioni di dollari. Per alimentare l'altro polo della sua natura politica deve però mostrarsi sensibile alle istanze riformiste che circolano nel mondo repubblicano.

Lunedì ha vietato formalmente la "terapia di conversione" dei gay, sulla base della convinzione che l'omosessualità è un fatto di nascita, non una scelta, non un peccato né una malattia da curare. Tre settimane fa ha nominato alla Corte suprema dello stato Bruce Harris, giurista repubblicano e omosessuale dichiarato. Un altro segnale è l'apertura all'uso della marijuana a scopo terapeutico, anche per i bambini; il tutto sullo sfondo di una polemica, sapientemente alimentata, con il senatore libertario Rand Paul, reo di sostenere posizioni "pericolose" sulla sicurezza nazionale.

E' soltanto l'approfondirsi di un fossato fra l'anima tradizionale e quella libertaria di un partito alla ricerca di un'incarnazione carismatica. A seconda del punto di osservazione Christie è un "Rockefeller Republican" che eccede in moderazione e si fa trascinare da pericolose passioni conciliatorie, o un vecchio lupo conservatore che indossa una pelle d'agnello e presto sarà smascherato dai suoi avversari. Specialmente se l'avversario è la macchina tentacolare e multiforme della famiglia Clinton.

E' un appassionato cantore della tradizione conservatrice e un ammiratore del pragmatismo ben finanziato di un Mark Zuckerberg, al quale si associa più che volentieri quando si tratta di foraggiare il sistema scolastico in decadenza o sostenere una ragionata riforma dell'immigrazione.

In un certo senso il Christie che si affaccia sulla scena nazionale ha molto in comune con il suo avversario e alleato Obama, altro navigatore del pragmatismo che ha incassato e incassa dividendi elettorali e di popolarità su un investimento iniziale fatto di comunicazione e potere evocativo, una bolla di consenso che attraversa intatta anche le più aguzze crisi di credibilità. Sulla dicotomia fra auctor e agens Obama ha edificato il suo successo narrativo. Christie si sta avventurando in un terreno politico analogo per rintracciare una terza via praticabile fra le contraddizioni del suo mondo.

 

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