POLVERE DI CINQUE STELLE - “ABBIAMO COMMESSO IL REATO DI LESA MAESTÀ: CHI TOCCA GRILLO MUORE. CASALEGGIO DETTA LA LINEA. MI CHIEDO A QUALE TITOLO LO FACCIA. SEMBRIAMO IL TEMPIO DEL POPOLO DEL REVERENDO JONES”…

1 - L'IRA DEI GRILLINI: GUERRA AI DISSIDENTI
Andrea Malaguti per "la Stampa"

«Una guerra si può fare in molti modi, ma una volta che è iniziata deve essere portata a termine». Ventiquattro ore dopo le quattro espulsioni (Orellana, Campanella, Boccino e Battista) e le cinque dimissioni che hanno fatto esplodere il gruppo Cinque Stelle al Senato, Claudio Messora, responsabile della comunicazione del Movimento a Palazzo Madama, uomo abituato a ragionare in simbiosi con Casaleggio, chiarisce sul suo blog la linea immaginata dalla Diade ligure-lombarda per accelerare il cammino verso Gaia. Via i bestemmiatori. Abbiamo perso undici compagni? Nei comizi per le europee la scelta sarà rivendicata come segno di purezza. Se altri li vogliono seguire (al Senato potrebbero essere sei) si accomodino.

Per rafforzare il concetto, l'ex capogruppo alla Camera (dove le defezioni sono state due) Riccardo Nuti, chiama i fuoriusciti «infiltrati e bugiardi che se ne vanno per soldi». E il collega Gianluca Vacca, evidentemente all'oscuro del dettato dell'articolo 67 della Costituzione - «ogni membro del Parlamento esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» - rafforza il concetto con la solennità di chi è investito di un compito imperscrutabile. Però al circo. O in un luna park, dove chiunque può sparare all'orso meccanico: «Finalmente zavorra che va via, persone che da questo momento diventeranno parassiti».

Concetto sottoscritto, tra gli altri, anche dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. Ma l'obiettivo era eliminare la Casta o se stessi? Al Senato intanto, dove gli stellati Mussini, Bencini, Bignami, Casaletto e Romani consegnano le dimissioni nelle mani del presidente Grasso, l'ex capogruppo Paola Taverna dà voce alla preoccupazione più forte che attraversa il Movimento. «Renzi vuole avere a disposizione delle maggioranze variabili. E non gli dispiacerebbe poter contare su una nuova sinistra per accreditarsi col Partito Socialista Europeo in cui è appena entrato».

Quanto c'è di vero in quello che dice? Una parte piccola. Ma forse non piccolissima. L'idea di costruire un Nuovo Centro Sinistra continua ad accarezzare i pensieri di alcuni parlamentari del Pd e di Sel, consapevoli però che non è ancora questo il momento per fare precipitare la situazione. «Dobbiamo avviare un percorso molto ravvicinato tra noi.

Nel pieno rispetto del travaglio personale e politico di ciascuno», dice alla Camera Gennaro Migliore (Sel). E al Senato Corradino Mineo aggiunge: «I fuoriusciti del Movimento? Loro sono convinti della logica del loro movimento. Io ho aderito di recente al Partito Democratico. Ma possiamo fare in Parlamento un cammino insieme». Un partito no. Ma un gruppo sì. Poi si vedrà. Anche Civati fa pervenire la propria solidarietà al senatore Orellana. Segnali più che manovre.

In serata i senatori Cinque Stelle si ritrovano nell'ennesima riunione. Bencini e Mussini fanno sapere che fino all'accettazione delle dimissioni non passeranno in nessun altro gruppo. Romani trova la forza di scherzare. «Non credo ritirerò le dimissioni. Ma ora devo tornare in aula, devono ancora finire di cazziarmi». Una collega lo guarda male, perché le sfugge il tono tra il sardonico e il canzonatorio delle sue parole.

La scossa tellurica non ha ancora finito di produrre effetti. Ornella Bertorotta - ortodossa conciliante - scrive su Facebook: «Spero possa esserci il margine per ricucire, ma solo a condizione che i colleghi si convincano realmente della bontà del percorso che stiamo facendo insieme».

Abiurate. Pentitevi. Non finirà così. Perché chiedere perdono a qualcuno è complicato. Una prova di delicato equilibrio tra la durezza dell'orgoglio e il fastidio del rimorso. Un esercizio impossibile da chiedere a parlamentari stanchi di essere considerati come uomini e donne che per tutta la vita non fanno niente di più che mettersi a sedere per aspettare la fine. Una guerra va portata a termine, no?

2 - TACCONI: "MI DIMETTO PERCHÉ SIAMO DIVENTATI UNA SETTA DI FANATICI"
Andrea Malaguti per "la Stampa"


Onorevole Tacconi, perché si è dimesso dal gruppo Cinque Stelle?
«Dopo l'espulsione dei colleghi non potevo fare diversamente. Il documento che è costato la loro cacciata l'avevo sottoscritto anch'io».

Che cosa diceva?
«Che non eravamo d'accordo sul modo con cui Grillo aveva affrontato Renzi. Che non era quello il mandato ricevuto dalla rete».

E dunque?
«E dunque abbiamo commesso il reato di lesa maestà. O, come ha detto Currò nel corso dell'ultima assemblea, chi tocca Grillo muore».

Se non ci fosse Grillo lei non sarebbe a Montecitorio.
«Vero. Ma io mi ricordo un Grillo che sui palchi parlava di democrazia dal basso. Che diceva: uno vale uno. Da noi non è più così».

Com'è da voi?
«Da noi è diventato tutto opaco. A cominciare dal ruolo incomprensibile di Casaleggio».

Chi è per lei Casaleggio?
«Un manovratore oscuro».

Oscuro?
«Viene qui una settimana sì e una no, si chiude in una stanza con i responsabili delle varie commissioni e detta la linea. Mi chiedo a quale titolo lo faccia».

Non va via per i soldi?
«E' assurdo. Se fosse stato questo il problema me ne sarei andato un anno fa. Vivo in Svizzera e lì con cinquemila euro lordi non campi. Sono in Parlamento perché credevo in un progetto. Purtroppo la verità è che ormai siamo diventati una setta di fanatici. Sembriamo il Tempio del Popolo del reverendo Jones».

Le hanno dato anche del parassita.
«Appunto. Ognuno si qualifica con le parole che usa. Io mi limito a osservare che loro parlano per mesi di diarie e di rimborsi senza rendersi conto che i veri parassiti sono quelli che lucrano sulle difficoltà del Paese per mero calcolo elettorale».

Non siete stati eletti al grido di: tutti a casa?
«Certo, era uno slogan. Che conteneva una verità. Il vecchio sistema non funziona più. Va cambiato radicalmente. Ma questo non significa stare con le mani in mano predicando ipocritamente una sobrietà francescana. I miei ex colleghi, fino ad oggi - la maggior parte di loro - sono stati solo capaci di soffiare sul fuoco del conflitto sociale, ma non di prendersi una responsabilità vera, concreta, decisiva».

Se l'immagina un'alleanza con Civati?
«Sono appena uscito dal gruppo. Mi pare decisamente presto per questo genere di riflessioni».

E di Renzi che cosa pensa?
«Che sicuramente ha costretto Grillo a cambiare strategia. Mi hanno anche chiesto se spero in lui. Ho risposto: spero in Renzi come tutti gli italiani».

Nessuna autocritica?
«Tutti facciamo degli errori. Ma una cosa la posso sottolineare con assoluta tranquillità: io ho la coscienza a posto. Non so se tutti possano dire lo stesso».

Perché non si dimette come hanno fatto i suoi colleghi senatori?
«Perché sono stato eletto da 12.500 attivisti all'estero. E sono certo di rappresentarli ancora».

 

 

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