1- IL NEOMINISTRO DEI BENI CULTURALI CHE NON SA NULLA DI BENI CULTURALI, SI È VISTO IMPORRE UN SOTTOSEGRETARIO, ROBERTO CECCHI, CHE RISCHIA DI SAPERNE ANCHE TROPPO 2- FORTEMENTE CALDEGGIATO DA MONTEZEMOLO (HA “REGALATO” PER 15 ANNI E PER MISERI 25 MILIONI IL COLOSSEO A DIEGUITO LAQUALUNQUE) E DA UNA PARTE DEL PD, CECCHI HA RIFIUTATO IERI DI DIMETTERSI DALLA CARICA DI SEGRETARIO GENERALE DEL MINISTERO 3- ‘STO CECCHI È UN SEGUGIO DELL’ARTE: NEL 2008, DA DIRETTORE GENERALI DEI BENI ARCHITETTONICI, FECE SPENDERE 3,2 MLN € ALLO STATO ITALIANO PER COMPRARE IL CROCIFISSO LIGNEO DI MICHELANGELO CHE POTREBBE ESSERE UNA SUPERPATACCA 4- ORA L’ASSOCIAZIONE DEI RESTAURATORI STREPITA CONTRO LA DECISIONE DEL CECCHI, DI NON AFFIDARE I LAVORI A SPECIALISTI DEL RESTAURO MA AI MURATORI DI IMPRESE EDILI 5- DAL FLOP SUL PALATINO ALLE INDAGINI PER ABUSO D’UFFICIO SU UN MOBILE DEL ‘700: IL CURRICULUM DA TECNICO DEL BARONE DEL MIBAC NON FA RIMPIANGERE NESSUN POLITICO

1 - SOTTOSEGRETARI, CHE PASSIONE! CHI COMANDA AI BENI CULTURALI? CECCHI, IL SOTTOSEGRETARIO CHE SA TROPPO (PIÙ DEL MINISTRO).
Tomaso Montanari per "Il Fatto Quotidiano"


Il neoministro dei Beni culturali che non sa nulla di Beni culturali, si è visto imporre un sottosegretario, Roberto Cecchi, che rischia di saperne anche troppo. Fortemente caldeggiata da Montezemolo e da una parte del Pd, la sua nomina appare, già in queste ore, la più sbagliata possibile: nonostante gli inviti di Ornaghi, Cecchi ha rifiutato ieri di dimettersi dalla carica di segretario generale del ministero.

Il sistema di potere attentamente costruito da Cecchi è perfettamente bipartisan: prima alleato del sottosegretario Pdl Francesco Giro, egli è ora intrinseco del presidente del consiglio superiore dei Beni culturali, l'ex comunista ma oggi molto morbido Andrea Carandini, suo garante presso il Pd.

Ora Cecchi è a un bivio fatale: da una parte, la sua conoscenza della macchina ministeriale potrebbe per mettergli di fagocitare l'inconsapevole Ornaghi; dall'altra, la sua incipiente carriera politica potrebbe esser stroncata dagli strascichi di qualcuno dei molti incidenti che hanno funestato la sua resistibile ascesa.

Come commissario straordinario dell'area archeologica di Roma, Cecchi è stato accusato da Italia Nostra di "riprovevole carenza di trasparenza amministrativa": una carenza che ha raggiunto l'apice nella svendita del Colosseo alla Tod's di Diego Della Valle, caso macroscopico di 'privatizzazione' di un monumento simbolo dell'identità nazionale, per giunta con utile pubblico incomparabilmente inferiore al valore di mercato (e non a caso la gratitudine di Montezemolo è arrivata al momento giusto).

Italia Nostra ha anche fatto notare che l'architetto Cecchi ha concentrato ingenti risorse economiche sulla verifica del (modestissimo) rischio sismico (il cui studio gestisce direttamente) a scapito dei problemi (questi invece serissimi) di dissesto idrogeologico che mettono a rischio tutta l'area del Palatino, e per i quali il commissario non ha fatto niente.

Come direttore generale, invece, Cecchi è stato protagonista in due vicende imbarazzanti. Nell'autunno del 2009 egli tolse il vincolo a un preziosissimo mobile settecentesco, contro il parere dell'Ufficio legislativo del MiBAC, e facendo invece leva sull'unica voce stranamente fuori dal coro, quella del Comitato tecnico scientifico.

Grazie alle intercettazioni telefoniche e agli interrogatori disposti dalla Procura di Roma si è poi appreso che proprio Roberto Cecchi aveva condotto alle riunioni di quel comitato il legale dei proprietari del mobile: un comportamento senza precedenti, e assai irrituale da parte di chi doveva agire nell'esclusivo interesse dello Stato.

Per questa vicenda Cecchi è stato indagato per abuso d'ufficio e non rinviato a giudizio (curiosamente a differenza invece dell'avvocato Giovanni Ciarrocca). Pure concreto è il coinvolgimento di Cecchi nel pasticcio del finto crocifisso di Michelangelo acquistato dal ministero sotto Sandro Bondi.

È stato lui a decidere di comprarlo, a fissare il prezzo, ad andare al Tg1 con l'opera sottobraccio e quindi a firmare la risposta all'interrogazione parlamentare. Proprio in queste settimane la Corte dei Conti sta passando dalla fase istruttoria a quella dibattimentale, e tra poco Cecchi potrebbe esser chiamato a spiegare perché un'opera anonima che vale circa 50.000 euro sia stata pagata dai contribuenti italiani 3.250.000 euro.

Per tacere, poi, della brutta storia della truffa ai danni del MiBAC per cui è indagato l'amico ed editore di Cecchi, Armando Verdiglione. Chi ha a cuore la tutela del patrimonio storico-artistico ha considerato la nomina di Ornaghi come un'occasione perduta. Con quella di Cecchi c'è invece da temere che l'occasione non venga persa per nulla. Ma in un senso diametralmente opposto.

2 - COLOSSEO LA RIVOLTA DEI RESTAURATORI "NO AI MURATORI, SERVONO MANI ESPERTE"
Francesco Erbani per "la Repubblica"

Caro ministro Ornaghi, per il Colosseo fermiamo tutto. È questa la richiesta avanzata dall´Ari, l´associazione dei restauratori italiani che sui lavori per rimettere in sesto l´Anfiteatro Flavio ha sempre sollevato critiche. Ma ora che il progetto finanziato con 25 milioni da Diego Della Valle sta per prendere l´avvio, l´organismo che raduna le principali imprese di restauro ritorna alla carica con una lettera aperta al nuovo titolare dei Beni culturali: fermiamo l´appalto, scrive l´Ari, «al fine di evitare danni irreparabili al monumento più celebre d´Italia e conseguentemente all´immagine del nostro paese».

Parole dure, che segnalano uno dei punti più critici della tutela in Italia: la progressiva marginalizzazione di una categoria, quella dei restauratori, per la quale in Italia si è spesso menato vanto, ma che versa in uno stato di gravissima sofferenza. Solo ora il prestigioso Istituto superiore per la conservazione e il restauro, fondato da Cesare Brandi nel 1938, ha ripreso i suoi corsi di formazione, rimasti fermi per quattro anni. I fondi a disposizione per restauri sono pochissimi e, denunciano all´Ari, sono spesso distribuiti senza rispettare criteri di qualità.

Il Colosseo, secondo l´associazione dei restauratori, è un caso emblematico. Stando al bando per la gara d´appalto emesso dal Commissario all´area archeologica romana, Roberto Cecchi (da due giorni sottosegretario ai Beni culturali), risulterebbe «che il restauro dei monumenti archeologici non deve essere più di competenza delle imprese di restauro specialistico».

Bensì di imprese edili «chiamate a eseguire lavori che per più del 50 per cento sono di pertinenza specialistica». Prevalentemente a loro, secondo l´Ari, sarebbe stato indirizzato il bando. Muratori dunque al posto di restauratori. A meno che le stesse imprese edili non assumano a loro volta restauratori, che però non avrebbero, dicono all´Ari, l´esperienza e le competenze delle aziende che da anni svolgono lavori apprezzati in Italia e nel mondo.

Nel febbraio scorso l´Ari denunciò che dei 7 milioni sui 25 totali messi a disposizione da Diego Della Valle, solo un milione avrebbe coperto lavori di restauro delle parti decorate. Dalla successiva documentazione la quota dovrebbe salire a oltre 4 milioni. Ma questa mole di lavori - la pulitura delle incrostazioni con acqua demineralizzata, l´eliminazione della vegetazione, gli impacchi per togliere il calcare dai marmi - verrebbe svolta da imprese edili.

Il restauro del Colosseo «nasce sotto gli auspici peggiori», insiste l´Ari. «Basti pensare che in questi stessi giorni, il Ministero dei Lavori Pubblici ha appaltato il restauro del Palazzo che ospita il Ministero della Giustizia in Via Arenula costruito nel XIX secolo, a imprese di restauro specialistico. Perché mai l´Anfiteatro Flavio costruito nel I secolo dopo Cristo dovrebbe essere restaurato da imprese edili e ricevere quindi cure meno raffinate?».

Un altro aspetto viene sollevato dall´Ari nella lettera a Ornaghi: il restringimento dei tempi per la presentazione dei progetti. Alle imprese che hanno superato una prima fase di selezione il commissario ha chiesto con una lettera inviata il 21 novembre di presentare progetti esecutivi entro 30 giorni invece dei soliti 60.

La legge prevede che in casi particolari i tempi possano essere dimezzati. Ma la giustificazione addotta non convince né l´Ari né alcune delle imprese già selezionate: vi sarebbe assoluta urgenza di cominciare i lavori per evitare interferenze, si legge nella lettera inviata dal Commissario, con il cantiere della linea C della metropolitana. «Questa ci appare una forzatura procedurale», scrivono i restauratori dell´Ari.

«Gli uffici del commissario non possono impiegare quattro mesi e mezzo a esaminare la documentazione che noi abbiamo inviato per essere ammessi alla gara», dice uno dei restauratori che ha superato la prima selezione, «e poi inviarci un documento di 486 pagine più 80 tavole da studiare ed eventualmente da migliorare e imporci di presentare un progetto esecutivo in 30 giorni. E tutto questo per un lavoro di restauro che è previsto debba durare più di tre anni: 1.155 giorni è scritto con pignoleria nella lettera. Perché tanta fretta che penalizza soprattutto le piccole aziende di restauratori?».

 

ROBERTO CECCHI ROBERTO CECCHI E IL CRISTO DI MICHELANGELOROBERTO CECCHI DELLA VALLE-COLOSSEODELLA VALLE-COLOSSEODELLA VALLE-COLOSSEODELLA VALLE E MONTEZEMOLO key03 armando verdiglione

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