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LA PROPAGANDA ISIS SI STAVA AMMOSCIANDO, ECCO ALLORA UN KAMIKAZE NON PENTITO CHE PROMETTE: 'ARRIVEREMO A ROMA E DA LÌ CONQUISTEREMO L'OCCIDENTE INFEDELE' - LA VIDEO-INTERVISTA DEL 'CORRIERE' DAL QUARTIER GENERALE DEI SERVIZI LIBICI, CHE FANNO PRESSIONE SULL'ITALIA AFFINCHÉ MANDI PIÙ UOMINI E SOLDI - IL TERRORISTA DOVEVA FAR FUORI IL PRESIDENTE LIBICO, IL GENERALE ITALIANO E L'INVIATO DELLE NAZIONI UNITE

VIDEO - L'INTERVISTA AL KAMIKAZE ISIS DEL ''CORRIERE DELLA SERA''

 

 

 

Lorenzo Cremonesi per www.corriere.it

http://www.corriere.it/cronache/16_giugno_28/kamikaze-isis-tripoli-roma-8be0d84c-3ca4-11e6-9ec4-cc8bddb9414f.shtml?refresh_ce-cp

 

 

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Ciò che più colpisce è l’assoluta tranquillità con cui ammette il suo progetto di farsi saltare in aria in nome di Allah. «Le mie paure non contano. Faccio ciò che è giusto per la nostra religione. Morirò e andrò in paradiso, così è scritto, così vuole Dio e chiede il Corano», ripete con voce monotona. Carnagione scura delle popolazioni del Fezzan, magro, nervoso, forte, capelli nerissimi, lo sguardo fisso, determinato. Neppure un goccio di sudore imperla la sua fronte, seppure la stanza sia afosa.

 

«Presto arriveremo a Roma. La città simbolo dell’Occidente infedele. E da lì prenderemo tutta l’Europa, dalla Libia è facile. Per i cristiani e gli infedeli resteranno solo tre alternative: convertirsi all’Islam, pagare la tassa prevista della nostra legge religiosa se non intendono farlo, oppure venire uccisi». Così, semplice. Lo abbiamo sentito molte volte, è diventato quasi un cliché. Però affermato in diretta da un aspirante kamikaze che voleva tra gli altri assassinare Paolo Serra — il generale italiano che è consigliere militare di Martin Kobler, l’inviato Onu per la Libia sostenitore del premier Fajez Sarraj — nel cuore di Tripoli torna a suonare sinistro e pericolosamente reale.

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Nella sede dei servizi segreti

Abbiamo incontrato Mahmud Ibrahim dall’una di notte alle cinque di mattina due giorni fa nella sede centrale dei servizi segreti libici. Una stanza disadorna, poltrone in finta pelle, luce al neon, soffitti alti, tappeti consumati e polverosi. Lui è appena stato arrestato e si trova ancora sotto interrogatorio. Ma il capo dei servizi, Mustafa Nuah, pare soddisfatto nel mostrarlo a un giornalista italiano.

 

«I nostri due Paesi hanno una lunga tradizione di vicinanza. Oggi abbiano un nemico comune: l’Isis. Sappiamo che dalla Libia le sue cellule controllano il traffico dei migranti e lo utilizzano anche per inviare i loro militanti verso le vostre coste. A noi preme una cooperazione più stretta. Se non collaboriamo, la nostra sconfitta sarà anche la vostra», dice senza mezze parole, contento di enfatizzare il proprio ruolo.

 

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«Abbiamo in carcere o siamo sulle tracce di tanti terroristi e criminali che ai servizi segreti italiani interessano tantissimo. Gente che si muove senza troppi problemi tra Milano, Roma, Sabratha, Sirte e le oasi nel Fezzan».

 

Il fratello nella sicurezza

Ibrahim è uno di loro. «Avrei dovuto eliminare Serra, Sarraj e Kobler. Con i miei due fratelli, Al Hassan che ha 30 anni e Abu Bakr di 32, c’eravamo quasi riusciti, era tutto pronto. Abu Bakr era stato assunto nel servizio di sicurezza del governo Sarraj, nella base della marina militare di Abu Sittah.

 

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Io e Al Hassan siamo invece in contatto con i nostri compagni dello Stato Islamico a Sirte e Sabah, che ci hanno fornito l’esplosivo. Il piano era che Abu Bakr ci avrebbe lasciato entrare con un auto-bomba e due cinture esplosive durante un incontro tra Serra, Kobler e Sarraj previsto nelle prossime settimane. Non avrebbero avuto scampo», spiega.

 

Come siete stati fermati? «Sono andato a scattare alcune foto sul posto, ci servivano per la logistica. Forse allora mi hanno individuato», risponde. A detta di Nuah, sarebbe stato proprio Serra a fare assumere Abu Bakr. «L’italiano si è occupato di organizzare la sicurezza di Sarraj», sostiene. Ibrahim racconta quasi come se la cosa non lo riguardasse affatto. «Così doveva avvenire. Lo faranno altri al posto mio», aggiunge.

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«Non so se lo rifarei»

Ti sei pentito? Lo rifaresti? «Perché pentito? Sarebbe stato giusto, ma non so se lo rifarei», risponde. Dice di avere una moglie nella città costiera di Khusm, Besma, 29enne come lui, incinta al terzo mese. Sapeva Besna delle sue intenzioni?

 

«Sì, non era s’accordo, ne abbiamo parlato, ma non si è mai opposta. Conosce le mie idee, i miei amici a Sabah. Sa che ho partecipato alla rivoluzione contro Gheddafi con le brigate islamiche nel 2011. Sa che poi a Nofilia nel 2014 sono stato allievo di Abu Abdallah, un imam 26enne legato al Califfato. Sa che in seguito ho combattuto in Iraq, Siria e infine a Sirte».

 

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Il ritmo quasi monotono della sua voce diventa acuto soltanto quando il nostro traduttore, personalmente offeso dalle sue dichiarazioni sull’Islam, lo accusa di non conoscere nulla del Corano. «Ma chi sei tu per palare a nome mio? Conosci i principi fondamentali della nostra fede?». Per un attimo lo scambio si fa dottrinale. Si parla di Zakkah, la carità religiosa, e dei precetti del Ramadan.

 

Ibrahim si fa paonazzo, chiaramente è in difficolta quando si tratta di discutere. È l’unico momento in cui i due marcantoni armati che fanno da guardie del corpo controllano più attenti che non provi a togliersi le manette, paiono pronti ad intervenire. Ma lui si calma subito. «Quello che dico è giusto. Io difendo la mia religione, il mio popolo. Presto tutta l’Europa sarà musulmana», dice come parlasse a se stesso.

 

La conversione degli italiani

Tutto diverso dal 34enne Atef al Duwadi, tunisino di Biserta, tre figli piccoli, accusato dai servizi d’informazione a Tunisi e Tripoli di essere uno dei leader di Isis, sospettato tra l’altro di aver ideato l’attentato al museo del Bardo l’anno scorso, costato la vita a tanti turisti italiani. Per ben tre ore ci ha parlato l’altra notte, senza però sostanzialmente ammettere nulla, se non il fatto di essere riuscito a convertire all’Islam due italiani (a suo dire entrambi di Milano).

 

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«Ci siamo parlati via internet per mesi. Alla fine li ho convinti. La cerimonia della loro conversione in Tunisia è stata commovente», si limita a dire, senza però rivelare nomi o altro dettaglio che possa portare alla loro identità. Per il resto, ammette di essere stato nella Sirte di Isis in guerra, ma quasi fosse un turista. «Ci sono andato con amici che mi passavano soldi, stavo in albergo, non ho visto nulla», aggiunge. Però quasi piange insistendo sulla sua completa innocenza, senza peraltro fornire alcuna spiegazione ragionevole alle sue frequentazioni con Isis.

 

I legami con lo Stato islamico

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«Uno dei suoi amici più stretti è Al Moaz Ben Abdelkader al Fizani, meglio noto come Abu Nasim, un militante pericolosissimo che ha avviato cellule di Isis in Italia, specie a Milano. Non è strano che sia in cima alla lista dei ricercati dei servizi italiani. Ha combattuto con le brigate islamiche in Bosnia e Afghanistan», rivelano gli agenti libici. Per loro l’assedio di Sirte si sta rivelando una miniera d’informazioni.

 

A loro dire, sia il capo militare di Isis nell’enclave assediata, il saudita Abu Amer al Jazravi, che quello religioso, Hassan al Karami delle «montagne verdi» in Cirenaica, controllano da vicino il traffico dei migranti verso l’Italia. «Potremmo prenderli — spiegano —. Ma necessitiamo di meccanismi per il monitoraggio elettronico dei cellulari, di radar, scambi d’informazioni».

 

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