INGROIA MA NON DIGERISCE! “MORI? UN FAVOREGGIATORE A SUA INSAPUTA”

Riccardo Arena per "la Stampa"

I suoi colleghi Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi si preparano all'appello, orfani di Antonio Ingroia, che l'anno scorso mollò baracca e burattini alla vigilia del rinvio a giudizio degli imputati del processo Stato-mafia e della sentenza Mori. E lui, l'ex pm oggi capo di «Azione civile», ha poco tempo per parlare della decisione del tribunale di Palermo. Però ieri è stato smontato di brutto un pezzo del lavoro portato avanti proprio dal pool che fu coordinato dal procuratore aggiunto Ingroia.

È andata male alla pubblica accusa.
«Ma no, non direi».

Come no?
«È la seconda sentenza che assolve Mori, perché il fatto non costituisce reato, dall'accusa di favoreggiamento. È come dire che si tratti di un favoreggiatore a sua insaputa. Manca l'elemento psicologico del reato, questo significa la formula adottata: è la stessa del processo in cui Mori era imputato della mancata perquisizione del covo di Totò Riina».

Processo in cui sempre lei era il rappresentante dell'accusa.
«Anche lì il tribunale sostenne la stessa cosa. Allora, se i giudici perdonano Mori perché non voleva favorire la mafia o i singoli mafiosi, ma i fatti li aveva comunque commessi, qualcosa non torna... Mori è un investigatore di razza. Dire così di uno come lui è molto peggio di sostenere che il ministro dell'Interno non si accorge di un intrigo internazionale avvenuto sotto gli occhi di tutti».

Mori «graziato»? Eppure il tribunale è stato ampiamente liberatorio: non ha fatto ricorso cioè alla vecchia insufficienza di prove.
«Rimane il fatto, che mi colpisce, che per la seconda volta sia stata usata una formula ambigua per lo stesso imputato».

Imputato che risponde più o meno degli stessi fatti in un altro dibattimento, quello sulla trattativa. Non le sembra che adesso i suoi colleghi rischino anche lì?
«No, Stato-mafia non c'entra niente con il processo concluso ieri».

Come no? Stesse prove, stessi argomenti, stessi testimoni... e c'era l'aggravante di avere favorito Provenzano per commettere i reati collegati alla trattativa.
«Non faceva parte del capo d'imputazione. Era solo una parte che intendeva rafforzare le accuse. La trattativa, con la sentenza del tribunale, non è venuta meno. E comunque per Mori i colleghi faranno appello».

Vi hanno smontato pure Massimo Ciancimino, uno dei pilastri della trattativa.
«Abbiamo sempre detto che Ciancimino è credibile in alcune parti e meno credibile in altre. Ma in ogni caso la sua smentita non significa la fine del processo sulla trattativa, che non si regge solo su di lui».

 

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