1- “CI SI PUÒ FIDARE DI UN POPOLO DI SCHETTINI?” LO ‘’SPIEGEL’’ USA IL NAUFRAGIO DELLA CONCORDIA PER ROVESCIARE UNA MARE DI STEREOTIPI SULL’INAFFIDABILITÀ ITALIANA 2- “MA VI SORPRENDETE CHE IL CAPITANO FOSSE UN ITALIANO? VI POTETE IMMAGINARE CHE MANOVRE DEL GENERE E POI L'ABBANDONO DELLA NAVE VENGANO DECISE DA UN TEDESCO?” 3- L’ITALIANITÀ? “CE LO MOSTRA LA CRISI DELLA VALUTA. METTERE INSIEME CULTURE ECONOMICHE COSÌ DIVERSE NELLA CAMICIA DI FORZA DELLA MONETA UNICA” FU UN ERRORE: “PER RICONOSCERE CHE NON POTEVA ANDARE BENE NON SERVIVA AVER STUDIATO ECONOMIA. SAREBBE BASTATA UNA VISITA A NAPOLI O NEL PELOPONNESO” 4- A QUESTO PUNTO, SEGUENDO IL LORO BECERO LUOGOCOMUNISMO, UN IDIOTA POTREBBE TITOLARE: “CI SI PUÒ FIDARE DI UN POPOLO CHE HA SPEDITO 6 MILIONI DI EBREI NEI FORNI?”

Gian Antonio Stella per "Il Corriere della Sera"

Ci ha risparmiato i vecchi nomignoli di «Spaghettifresser» ( sbranaspaghetti), «Bolanderschlugger» (inghiottipolenta) o «Zydrooneschittler» ( scrollalimoni). Ma certo era difficile mettere insieme tanti stereotipi offensivi contro noi italiani quanti ne ha concentrati lo Spiegel per sostenere la sua tesi: Schettino è l'«italiano tipo».

Scrive proprio così, Jan Fleischauer, uno dei columnist del settimanale tedesco, usando la tragedia del Concordia come spunto per discettare sulla inaffidabilità del nostro paese in vari campi, a partire dall'economia: «Mano sul cuore, ma vi sorprendete che il capitano fosse un italiano? Vi potete immaginare che manovre del genere e poi l'abbandono della nave vengano decise da un capitano tedesco o britannico?».

Le storie di uomini come Giovanni Lazzarini, l'animatore che per assistere e portare verso le scialuppe i bimbi terrorizzati si era vestito da spiderman, non gli interessano. Unico simbolo della sua idea di «italianità» è Schettino: «Conosciamo tipi del genere dalle vacanze al mare, maschi bravi con grandi gesti, capaci di parlare con le dita e con le mani, in principio gente incapace di fare del male, ma bisognerebbe tenerli lontani da macchinari pesanti e sensibili, come si vede».

Certo, l'editorialista sa di avventurarsi su terreni scivolosi. E precisa che la sua è una provocazione un po' «scorretta». Che rischia di essere «rozza». «O ancora peggio razzistica (anche se, per restare nella metafora, non è proprio chiaro quanto l'italiano in sé costituisca una propria razza»).

D'altra parte, prosegue recuperando «Il caldo e il freddo», un saggio di due secoli fa di William Hazlitt traboccante di pregiudizi sui nostri nonni, «il carattere nazionale è qualcosa di simile alla differenza di comportamento provocata dalla differenza tra i due sessi. Le nazioni sono diverse, per motivi climatici, e anche le lingue hanno il loro ruolo».

Risultato: «Quel che può succedere quando per motivi politici si ignora la psicologia dei popoli, ce lo mostra la crisi della valuta». Ci si può fidare di un popolo di «Schettini»? Insomma, «mettere insieme culture economiche così diverse nella camicia di forza della moneta unica» fu un errore: «per riconoscere che non poteva andare bene non serviva aver studiato economia. Sarebbe bastata una visita a Napoli o nel Peloponneso».

Per carità, gli amici tedeschi possono dire che anche certi italiani, parlando di loro, sono finiti in questi anni troppo spesso sulla birra, i crauti, il saumagen o peggio ancora, come nel caso delle sciagurate battute del Cavaliere sui «kapò» o di Stefano Stefani sui «biondi stereotipati che invadono le nostre spiagge ubriachi da tronfie certezze».

Ed è probabile che siano legati al dito quel titolone sul «Giornale» che, mettendo insieme le indiscrezioni su una telefonata della Merkel a Napolitano e quelle su una spiritosaggine volgare (vera? falsa?) attribuita a Berlusconi, ha spiegato la caduta del governo del Cavaliere come un complotto berlinese: «È stata la culona».

È vero, c'è chi ha esagerato. Da entrambe le parti. E non è il caso di farne tipo di scontro termonucleare. Non è la prima volta, però, che il più venduto settimanale tedesco dà libero sfogo a insopportabili stereotipi sull'Italia. Basti ricordare, negli anni, due copertine. La più recente vedeva Silvio Berlusconi seduto su una specie di trono, la faccia torva, con il titolo: «Der Pate», cioè «il padrino».

Quella più lontana metteva insieme ancora la mafia (un richiamo insultante per la stragrande maggioranza degli italiani) con il più trito dei luoghi comuni, la pasta. Ricordate? Un piatto di spaghetti, con sopra, adagiata, una pistola.

Per non dire, durante i Mondiali in Germania, di un articolo di Achim Achilles: «Gli italiani sono tanti Luigi, forme di vita parassitarie, mammoni maligni che sfruttano le donne e sanno solo lamentarsi. Grosso è caduto in area di rigore e sogghignava mentre era ancora in volo.

Totti si succhia il pollice: questo è normale negli uomini italiani. Viscidi e perennemente stanchi, non andrete lontano. L'italiano mammone sta a casa fino a 30 anni, poi si sposa e trasforma una bella ragazza in un'altra mamma tettona alla quale non presta alcuna attenzione, impegnato com'è a lucidare la sua Fiat e parlare di auto».

Sempre lo stesso tormentone: la mamma, il sole, la pasta (che già faceva fumar di rabbia Filippo Tommaso Marinetti futuristicamente impaziente di disfarsene: «Maccheroni. Puah!»), lo stivale, l'antica Roma, la mafia, il Vesuvio... Il libro «Porca Italia» in cui Klaus Davi raccoglie il fior fiore delle banalità anti-italiane ne è pieno.

«In Germania gli italiani vengono sempre considerati stupidi bulli profittatori e maschilisti, come abbiamo recentemente osservato anche in uno spot per un noto megastore di elettronica», ha riconosciuto sul «Berliner Zeitung», Kordula Doerfler. Rileggiamo un articolo del «Süddeutsche Zeitung» sull'Oktoberfest: «Urlano a squarciagola, cercano sempre un pretesto per far scoppiare la rissa e non lasciano mai la mancia. E poi si ubriacano fino a non capire più nulla».

E come dimenticare quella copertina della «Süddeutsche Zeitung» di Monaco di Baviera con un vecchio e malconcio stivale da donna? Il titolo era: «Lo stivale puzzolente». La stessa «Frankfurter Allgemeine Zeitung», del resto, il giorno che volle irridere a Silvio Berlusconi come lo rappresentò?

Come Nerone che cantava i suoi versi («I tuoi occhi sono così misteriosi come il più abbellito dei miei bilanci / tra le tue braccia nessun maledetto giornalista mi disturberà...») mentre Roma intorno era avvolta dal fuoco. Un'immagine simile a quella scelta da «Stern», ancora il Cavaliere nei panni di un imperatore. Imperatore gaudente, ovvio. Come tutti gli italiani.

«Caro Berlusconi», ha scritto Franz Josef Wagner in una lettera aperta sulla «Bild», «se avere rapporti sessuali contribuisse a risolvere i problemi allora l'Italia sarebbe il Paese più fortunato e lei il premier migliore del mondo. Scopare è parte integrante e fondamentale del suo modo di governare; lei è l'unico capo di stato che governa dal letto. Certo, tutto tipicamente italiano».

Al che perfino gli antiberlusconiani furono costretti a chiedersi: perché «tipicamente italiano»? Non sarà che dietro le ostilità verso il Cavaliere tornano a galla i vecchi stereotipi razzisti?

Perfino Mario Draghi, prima di essere sdoganato da un foto-montaggio in cui si ritrovò un elmetto prussiano che accompagnava il riconoscimento che «il nuovo capo della Bce è tanto tedesco» (sic...) era stato preso di mira con gli stessi, identici, intollerabili preconcetti dalla «Bild».

La quale, colta in contropiede dalle dimissioni dalla Bundesbank di Axel Weber sul quale puntava per la presidenza della Banca centrale europea, accanto alla foto dell'allora governatore di Bankitalia nella lista dei possibili candidati scrisse: «Per favore, non questo italiano». Perché no? «Mamma mia, per gli italiani l'inflazione nella vita è come la pummarola sulla pasta!». E meno male che, da Goethe in qua, dicono di amarci...

 

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