L’ASSASSINO DI COPENAGHEN, OMAR EL HUSSEIN, ERA NATO IN DANIMARCA E NON E’ MAI STATO NÉ IN SIRIA NÉ ALTROVE: SI E’ LASCIATO SEDURRE DALLA PROPAGANDA ISIS IN RETE - NOTO AI SERVIZI, BAZZICAVA BANDE CRIMINALI DANESI

Paolo Berizzi per “la Repubblica”

 

Quattro e mezzo di sabato notte, quartiere Nørrebro. L’uomo più ricercato della Danimarca accelera il passo sul lato destro di Frederikssundsvej. Il viale è una scia di negozi di kebab, phone center e bazar arabi spezzata dall’insegna di un immancabile “Café Palermo”: a pochi metri una scuola guida, anche quella araba.

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Nella sua ultima notte da lavare col sangue, Omar Abdel Hamid el Hussein (le generalità sono state diffuse dall’emittente Dr), 22 anni, nato in Danimarca, pregiudicato per violenza, un tipo dal coltello facile conosciuto negli ambienti delle bande criminali danesi e con casa proprio lì, a Nørrebro, è ingabbiato in un giaccone grigio. Non più il piumino scuro indossato nel pomeriggio.

 

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Ha avuto, tra un attentato e l’altro, dopo l’assalto al Krudttønden e prima della sparatoria alla sinagoga, il tempo di cambiarsi. È salito su un taxi e si è fatto accompagnare a casa. Forse prima ha fatto una tappa al numero civico 38 della banlieue — guai in Danimarca a chiamarle così — Mjølnerparken.

 

Sta di fatto che è la traccia della corsa del taxi a inguaiarlo. Passano otto ore. El Hussein ha smesso la muta “bruciata” come fanno i guerriglieri urbani dopo un’azione. Abiti nuovi per colpire in sinagoga. Via anche il passamontagna color vinaccia immortalato dalle telecamere nell’immagine diffusa a caldo dagli investigatori: la caccia all’uomo era appena iniziata.

 

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Torniamo sul vialone dei bazar. Le mani affondano nelle tasche. Stringono due pistole automatiche. «Eccolo, è lui». Non lo perdono d’occhio le teste di cuoio della polizia mentre l’attentatore infila Svanevej e piega a destra: è una strada laterale, sarà lunga un centinaio di metri. Le saracinesche imbrattate e le griglie che ingabbiano le finestre fanno da sfondo a una Copenaghen spettrale. Case, uffici, un supermercato, un parcheggio. «Fermati», gli gridano i poliziotti acquattati dietro le portiere di un furgone.

 

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El Hussein tira dritto, estrae una pistola: prova a far fuoco. Ma la pioggia di colpi scatenata dagli agenti lo lascia a terra. Finisce così, dodici ore dopo il blitz da cecchino al Krudttønden café, tre dopo l’attacco davanti alla sinagoga Krystalgade, l’orrore jihadista distribuito dal terrorista ventiduenne. Con due morti (il regista Finn Norgaard, 55 anni, e il guardiano ”eroe” Dan Uzan, 37) e cinque feriti.

 

Se El Hussein non è riuscito a clonare la carneficina di Charlie Hebdo, il merito è di un omone grande e buono e coraggioso. Si chiama Dan Uzan. È il custode della sinagoga: quello che, con due poliziotti, si è parato di fronte all’attentatore e ha evitato, sbarrandogli l’ingresso al luogo di culto, una carneficina sicura.

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El Hussein gli ha ficcato una pallottola in testa. «Sono scioccato, dentro la sinagoga c’erano 80 fedeli», dice Dan Rosenberg Asmussen, il capo della comunità ebraica. «Stavano festeggiando un “bar mitzvah” (la cerimonia che celebra l’ingresso di un bambino ebreo nell’età matura, ndr). C’erano anche tanti bambini, i compagni di scuola della festeggiata, 12 anni. Non voglio nemmeno pensare cosa sarebbe successo se l’assassino fosse riuscito a entrare».

 

La sinagoga sorge nel cuore di Copenaghen. Ieri, e chissà fino a quando, lungo le inferriate esterne c’era una lunga distesa di mazzi di fiori e di biglietti. Ben Bograd e sua moglie Miriam abbassano il capo in segno di rispetto per il «nostro povero Dan». Fanno parte dei 5mila fedeli che frequentano abitualmente la Krystalgade. Lui: «Non ci muoveremo da Copenaghen, non scapperemo proprio da nessuna parte. Resteremo qui perché non ci lasciamo intimidire da questi assassini schifosi». Lei: «Come a Parigi, la follia...».

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La conferma che l’uomo ucciso nella notte risponda al nome del duplice attentatore arriva la mattina da Jens Madsen, il direttore dei servizi di sicurezza e d’intelligence. «Era un soggetto già noto, ma per motivi di indagine non possiamo ancora rivelarne il perché». Le cose certe e dicibili, quelle che si possono spendere in conferenza stampa, sono queste.

 

Che l’assassino «è stato trovato in possesso di diverse armi automatiche, pistole, un fucile — probabilmente quello usato nel primo attentato — e anche un coltello» con cui nel novembre 2013 pare avesse accoltellato un diciannovenne. Che ha 22 anni ed è nato in Danimarca. Che era conosciuto nell’ambiente delle bande criminali danesi. Solo alle 19 spunta il nome. Pregiudicato e più volte condannato, era uscito dal carcere appena due settimane fa.

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Bisogna legarlo a Parigi? In ambienti investigativi danno per quasi certo il collegamento con la vicenda di Charlie Hebdo: la serata intitolata “Arte, blasfemia e libertà di espressione” con ospite il disegnatore Lars Vilks era di fatto un omaggio al “sacrificio” dei vignettisti parigini. Ed era considerata dagli organizzatori un appuntamento a rischio. Lo avevano scritto sull’invito al quale hanno aderito una cinquantina di persone: “C’è sempre una sicurezza rigida quando Lars Vilks partecipa a dibattiti pubblici. Portare documento d’identità, proibito portare borsoni, controllo di sicurezza prima dell’ingresso alla sala”.

 

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Poi ci sono gli elementi non ancora confermati, lasciati in formula dubitativa e dunque, forse, da interpretare. L’attentatore — di cui al momento non risultano viaggi in Siria o Iraq, ma su questo si indaga — potrebbe essere stato ispirato da materiale propagandistico inviato in Danimarca dall’Is.

 

Altra domanda: aveva dei complici o davvero, come era orientata a pensare sabato sera la polizia, ha fatto tutto da solo? Ieri gli uomini dell’Antiterrorismo e del Pet, l’intelligence, hanno arrestato due persone — presunti fiancheggiatori — e effettuato numerosissime perquisizioni (l’operazione principale in un Internet café).

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Stasera Copenaghen scende in piazza in nome della libertà di espressione: ritrovo alle 20 di fronte al Krudttønden café. La vetrina del locale, crivellata dai proiettili del fanatismo islamico è diventata il nuovo simbolo della Danimarca che resiste. La gente guarda da lontano mentre il vento gelido sposta gli incubi un po’ più in là, almeno sopra la soglia dell’emergenza.

 

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