LA PROFEZIA DI BARTHOLOMEW - L’EX AMBASCIATORE USA IN ITALIA AVEVA PREVISTO LA FINE DEL BANANA GIÀ NEL 1994: “VERRÀ TRASCINATO DALLA VECCHIA POLITICA. E’ SCESO IN CAMPO PER I SUOI 4,5 TRILIONI DI LIRE DI DEBITI”

Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

«Il rischio, per Berlusconi e l'Italia, è che si ritrovi trascinato verso le vecchie maniere di fare politica, fallendo così nel guidare la "Seconda Repubblica" oltre i suoi primi passi incerti».

Fa impressione rileggere quasi vent'anni dopo queste parole dell'ambasciatore americano in Italia, Reginald Bartholomew, contenute in un rapporto confidenziale inviato a Washington nell'agosto del 1994. Berlusconi era al potere da circa cento giorni, e l'amministrazione Clinton cercava di fare un primo bilancio.

Il governo era scosso dalle polemiche per il decreto Biondi sulla carcerazione preventiva, presentato durante i mondiali di calcio negli Usa, ma ritirato dopo lo sbarramento dei magistrati di Milano, e quindi già traballava. Via Veneto prevedeva guai: «Nonostante le vacanze estive potrebbero offrire a Berlusconi la possibilità di recuperare, la politica qui ha preso una nuova volatilità, con buone chance per ulteriori choc».

Risultato: forse Silvio sopravviverà, perché se anche cadesse, le sue grandi doti nelle campagne elettorali lasciano presagire che saprà rialzarsi in futuro. Quanto all'Italia, però, è difficile che lui riuscirà a cambiarla, realizzando le riforme di cui avrebbe disperato bisogno per entrare finalmente nella modernità.

Gli americani non avevano un pregiudizio congenito nei confronti della novità Berlusconi, tanto è vero che il profilo del nuovo premier, inviato da Bartholomew a Washington il 4 maggio del 1994, lo definiva «un politico non convenzionale, che ha rovesciato l'establishment con la sua ascesa meteoritica».

Il Cavaliere era presentato come «intuitivo, visionario, grande lavoratore e fiducioso in se stesso». I media, però, «lo hanno dipinto anche come suscettibile alle critiche e attento alla sua apparenza fisica».

Via Veneto sottolineava l'abilità con cui aveva occupato il vuoto creato da Tangentopoli, «puntando ad un altro miracolo italiano. Berlusconi spera di fare in politica quello che ha fatto negli affari: ottenere l'impossibile attraverso il suo senso innato del marketing di massa, e dando alla gente ciò che vuole. Se non altro, il premier designato esemplifica l'arte del possibile e la storia di successo dell'Italia».

Il rapporto intuiva qualche elemento che in futuro avrebbe fatto discutere, e infatti nel descrivere il matrimonio con l'ex attrice Miriam Bartolini (Veronica Lario), dopo qualche riga censurata notava: «Peraltro la vita privata dei politici non è mai stata un tema nelle campagne elettorali italiane, e Berlusconi si descrive come uomo religioso, esponente dei valori famigliari tradizionali».

La sua partenza nel business, insieme al socio Pietro Canali, veniva attribuita all'uso come capitale della buonuscita del padre. E ai rapporti col segretario del Psi: «Ci dicono che Berlusconi e Craxi erano soci in affari. Questo, insieme alla loro affinità personale, ha probabilmente ridotto la sua necessità di pagare il partito.

A differenza di Craxi, Berlusconi non sembra avere un programma politico definito, a parte un vago nazionalismo legato alla filosofia economica liberista». La sua «discesa in campo» veniva attribuita alla necessità di salvare la Fininvest, non solo dalle minacce della sinistra di distruggerlo, come aveva detto lo stesso Cavaliere all'ambasciatore, ma soprattutto dai suoi debiti: «Mediobanca li valuta in 4,5 trilioni di lire, circa 2,8 miliardi di dollari».

Affari «straordinariamente complessi ed opachi». Anche per questo, Via Veneto non credeva alla svolta: «Berlusconi è radicato nella tradizione politica del consociativismo. Il suo successo negli affari è dipeso da questa abilità, e le sue prime azioni suggeriscono che è incline ad usarla anche in politica».

Il neo premier aveva confidato a Bartholomew di aspettarsi attacchi per l'alleanza con Fini, ma non così forti, mentre gli americani vedevano il punto debole nel «matrimonio di convenienza tra Bossi e Fini», con la Lega pronta a scaricare il Cavaliere per i propri interessi.

Ma il dubbio principale, che l'ambasciatore aveva raccolto da incontri con Gianni Letta, Ferrara, Urbani e altre fonti anonime, era sulla capacità di Forza Italia di incarnare davvero il nuovo e cambiare la politica dell'Italia. Quindici anni dopo, la risposta sembra stare nel rapporto inviato a Washington il 30 giugno 2009 dalla vice ambasciatrice Elizabeth Dibble, con questo melanconico titolo: «Girls, Girls, Girls».

 

 

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