IL PASTICCIACCIO DELLE (FINTE) PRIVATIZZAZIONI - LETTA ANNUNCIA LA VENDITA DELLA QUOTA ENI A MERCATI APERTI! POI DEVE CORRERE AI RIPARI - MUCCHETTI: “VENDERE ENI SAREBBE UN ERRORE”

Andrea Bassi per "Il Messaggero"

Enrico Letta lo ha ammesso. L`accelerazione del piano di privatizzazioni del governo ha un obiettivo, quello di permettere a Fabrizio Saccomanni durante l`Eurogruppo di oggi, di battere i pugni sul tavolo e dimostrare all`Europa che l`Italia il prossimo anno ridurrà il debito pubblico. La bocciatura della settimana scorsa della Legge di Stabilità brucia ancora. Letta e Saccomanni vogliono a tutti i costi convincere il commissario finlandese agli affari economici Olli Rehn ad autorizzare l`Italia a sbloccare i 3 miliardi di investimenti con un allentamento del patto di stabilità.

Una misura già "propagandata" da Letta ma bloccata dall`Ue con la bocciatura di venerdì scorso. Lo stesso Rehn non sembra aver chiuso del tutto la porta. «Se il governo italiano accelera su spending review e privatizzazioni», ha detto il commissario, «il via libera agli investimenti è a portata di mano». Così durante il Consiglio dei ministri, Letta ha preferito prendere tempo sul dossier dell`Imu concentrando tutta l`attenzione sulla spending review (è stato presentato il piano Cottarelli) e sul programma di dismissione di società pubbliche.

IL PIANO 

Un programma ambizioso, che prevede la cessione di ben otto società del Tesoro e della Cassa Depositi e Prestiti per un incasso stimato di 12 miliardi. Sul mercato finiranno pezzi pregiati del portafoglio pubblico come Eni, pezzi di Terna, Snam e i gasdotti Tag tramite Cdp Reti, Sace, Grandi Stazioni, Fincantieri, Stm Microelectronics, Enav. Ma la fretta di dimostrare all`Europa la buona volontà nel fare i compiti a casa ha creato anche un inciampo sull`Eni.

L`annuncio del premier Letta di vendere una quota del 3% della partecipazione del Cane a sei zampe è avvenuta a mercati aperti. Il presidente del consiglio, poi, ha gettato il cuore ben oltre l`ostacolo. Per non perdere il controllo della società petrolifera considerata strategica, ha annunciato che grazie ad un riacquisto e ad una successiva cancellazione di azioni da parte della stessa Eni, la quota congiunta di Tesoro e Cdp non sarebbe scesa sotto l`attuale 30%. 11 punto è che il gruppo guidato da Paolo Scaroni ha sì annunciato (e approvato) un piano di riacquisto fino a 6 miliardi di euro di azioni proprie.

Ma non ha mai (o ancora) deciso per una loro successiva cancellazione senza la quale le intenzioni di Letta e Saccomanni sono destinate a rimanere tali. A metà pomeriggio, a Borse chiuse, il Tesoro è stato costretto a fare una precisazione, spiegando che la dismissione delle quote Eni avverrà solo se il piano di riacquisto della società andrà in porto e solo se il consiglio di amministrazione deciderà la cancellazione delle azioni.

IL NODO DELLA CASSA 

Quello della vendita di una nuova quota del Cane a sei zampe non è l`unico nodo del piano Letta-Saccomanni. L`altro riguarda il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti. Molte delle partecipazioni (Snam, Terna, Fincantieri, Sace, Tap) di cui è stata annunciata la vendita, sono controllate dalla Cdp. La società presieduta da Franco Bassanini è pronto a vendere, ma ha chiesto che almeno 4-4,5 miliardi dei proventi restino nelle sue disponibilità.

La Cassa non è una banca e non è obbligata a rispettare gli stringenti requisiti di capitale a cui sono costretti gli istituti di credito. Ma, volontariamente, ha deciso di adeguarsi agli stessi criteri. Significa che per poter erogare i 95 miliardi di finanziamenti che prevede il suo piano industriale, ha bisogno di rafforzare il capitale.

Letta ha assicurato che metà dei proventi che deriveranno dalla vendita delle partecipazioni della Cdp serviranno proprio a questo scopo. Ma questo significa anche che dei 12 miliardi annunciati di proventi da dismissione, nelle casse del Tesoro per abbattere il debito ne arriveranno meno di otto. Tanti soldi, ma una goccia nel mare di un passivo che ha superato i 2 mila miliardi. Ma l`importante per Letta e Saccomanni, è convincere Bruxelles della buona volontà di Roma.

2. ENI, VENDERLA SAREBBE UN ERRORE.
Massimo Mucchetti, numero uno della Commissione Industria in Senato per il Pd è intervenuto durante "teleselezione" di Luca Telese su Radio Ies. Di seguito le principali dichiarazioni.

"Secondo un conto elementare che qualsiasi droghiere farebbe anche quel 3% dell'Eni non andrebbe venduto: se vendo un pacchetto azionario rinuncio ai dividendi che ricavo dal pacchetto stesso, con il ricavato della vendita annullo del debito e risparmio gli interessi passivi che dovrei pagare sul debito. Quindi a questo punto si può rispondere alla domanda: sono di piu gli interessi che risparmio o i dividendi a cui rinuncio? Il 3% dell'Eni vale circa due miliardi di conseguenza si rinuncerebbe a 117 milioni.

Facendo un'ipotesi per assurdo, se facessi un'operazione in perdita e avessi il debito pubblico pari a una montagna e lo riducessi a una collina, la riflessione potrebbe essere interessante in termini di beneficio ma, qui il debito pubblico è pari a 2060 milioni a cui toglieremmo 2 milioni, non se ne accorgerebbe nessuno.

La cassa depositi e prestiti possiede la compagnia di assicurazione pubblica che garantisce i crediti alle esportazioni ed è molto utile al sistema delle imprese che altrimenti farebbe piu fatica ad esportare. Questo tipo di attività non deve essere per forza pubblica, nei paesi non classificati come accaniti mercatisti, come la Francia e la Germania , questa attivita è svolta da compagnie private o privatizzate garantite dallo Stato che, non investe capitale ma, si assume il rischio di intervenire a salvare la baracca. Se noi facessimo un contratto di questa natura dalla Sace potrebbe assumersi qualche rischio in più.

Quindi fare le battaglie di bandiera pro o contro le privatizzazioni è tipico atteggiamento di quelli che non conoscono la materia di cui si parla e hanno un approccio libresco e superficiale, se non fossi stato giornalista e non stessi parlando con giornalisti, lo definirei un approccio "giornalistico"."

SULL'IMU
"I soldi per abbattere la seconda rata dell'imu verranno trovati ma non di certo con le privatizzazioni, perche vanno, in base alla legge 474, a detrazione del debito pubblico. Sarebbe un orrore vendere un bene pubblico e con questo finanziare la spesa corrente.
Se vende il Tesoro deve portare il ricavato alla riduzione del debito pubblico mentre se vende la cassa depositi e prestiti, alla quale quei beni erano gia stati ceduti dal tesoro ricavando dei denari, i proventi potrebbe girarli al finanziamento di spese correnti.
Nel caso in cui il soggetto venditore non fosse il Tesoro ma la cassa depositi e prestiti, che è deputata a vendere altre cose, incasserebbe, farebbe un dividendo al tesoro, si genererebbe un'entrata corrente che potrebbe finanziare spese correnti. Mi permetto di osservare che pure essendo legittimo, non sarebbe bello."

 

 

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