LETTA-YOGURT E LA DATA DI SCADENZA “VARIABILE” – PD SPACCATO SUL PRESIDENZIALISMO: BINDI-BERSANI VS. D’ALEMA-PRODI

Goffredo De Marchis per "La Repubblica"

«Io non tiro a campare, l'ho sempre detto. L'eccezionalità della situazione vale esattamente per il tempo indicato da Napolitano». Enrico Letta sa benissimo di avere un termine, 18 mesi: «Coincidono con la presidenza del semestre europeo dell'Italia, che comincia il 1 luglio del prossimo anno, e con il percorso che lo stesso governo si è dato per le riforme istituzionali». Poi tornerà il confronto bipolare, cioè l'alternanza e la scelta degli elettori tra centrodestra e centrosinistra.

Vedendo il bicchiere mezzo pieno, in fondo, il presidente della Repubblica indica, sì, una scadenza per l'esecutivo delle larghe intese ma "blinda" il premier e la sua squadra per un periodo sufficientemente lungo, sgombrando il campo da ipotesi di elezioni anticipate nel 2014 o addirittura questo autunno. È una garanzia, è una polizza assicurativa per la vita del governo. «Eccezionali sono le condizioni in cui è nata questa maggioranza, eccezionale è l'esecutivo che guido», spiega Letta. Come dire: alla fine si torna alla normalità.

L'esecutivo non trascinerà la sua vita andreottianamente. Deve dare risposte sull'economia e sul lavoro, provare a cambiare le politiche in Europa, mettere a dieta (finanziaria) i partiti e la politica, fare le riforme, a cominciare dalla legge elettorale. Le larghe intese sono transitorie e l'obiettivo finale non è dare vita a nuovi schieramenti centristi, con i moderati di Pd e Pdl, sul modello di Kadima, il partito "misto" israeliano. «Insisterò in ogni occasione sul carattere particolare del mio governo», dice ancora Letta. La sintonia con il capo dello Stato non è dunque venuta meno.

Nell'ambito temporale indicato dal Colle si è sempre mosso il premier, con la consapevolezza che anche Napolitano, dopo la sua rielezione, ha probabilmente traguardi più ravvicinati rispetto ai sette anni canonici del mandato. Nemmeno il presidenzialismo scava un solco tra Palazzo Chigi e il Quirinale.

«Io non sono partigiano, cercherò di rimanere a distanza dalla soluzione finale - ripete Letta -. Non voglio predeterminare l'esito delle riforme». Anche le parole del capo dello Stato di ieri lasciano aperte tutte le porte, non sono un no pregiudiziale a una forma di presidenzialismo.

Certo, il sistema francese comporterebbe una gigantesca modifica della Costituzione.
Più vasta, più ambiziosa e soprattutto più lunga dell'anno e mezzo sottolineato da Napolitano e da Letta. «L'iter non cambia, anche se si va verso il semipresidenzialismo - spiega il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello -. Semmai una riforma di quel genere presuppone di essere accompagnata da alcune leggi ordinarie. Ma non saranno sei mesi in più a cambiare la natura del governo, il suo compito».

Gli ostacoli non mancheranno. Se per il Pdl l'elezione diretta del capo dello Stato è una bandiera, per il Partito democratico è uno sbocco lontano dal punto di partenza. Il fronte presidenziale si è molto allargato. Comprende Walter Veltroni, Matteo Renzi, Romano Prodi, Guglielmo Epifani e, con la dovuta cautela, lo stesso Letta. Massimo D'Alema è realista: «La mia preferenza è per il sistema tedesco. Ma la Bicamerale presieduta da me aveva indicato il modello francese. Se c'è una larga condivisione, si può andare verso il semipresidenzialismo. Non mi impicco a un'ipotesi. Sapendo però che serve un bilanciamento dei poteri e che le modifiche alla Carta saranno enormi».

Il ragionamento dell'ex premier ha una sua lucidità: mette nel conto tempi non brevi (basta pensare che bisognerebbe cambiare anche la Corte costituzionale e il Csm) e il superamento di tante resistenze a sinistra. Resistenze destinate ad emergere già domani alla direzione del Pd. Rosy Bindi invita polemicamente Letta e Alfano a togliere le mani dalla Costituzione. «Non si doveva occupare di altri accordi di maggioranza, di risolvere i drammatici problemi sociali?».

Pier Luigi Bersani conferma la sua allergia per «l'uomo solo al comando» e i suoi favori verso il parlamentarismo. Come il giovane turco Matteo Orfini che non ci sta a riscrivere la storia del Pd sulle riforme istituzionali. D'Alema prepara un intervento per domani. E tutto il partito (Renzi compreso che sarà in direzione) è concentrato su questo passaggio che è delicatissimo perché può apparire come un nuovo cedimento alle parole d'ordine berlusconiane.

 

LETTA E napolitano ENRICO LETTA E GIORGIO NAPOLITANOLETTA-BINDI-BERSANI ALL'ASSEMBLEA PDRosy Bindi ed Enrico LettaMassimo Dalema prodi romano MATTEO RENZI

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