TORNA GHEDDAFI, TUTTO E’ PERDONATO - LIBIA A FERRO E FUOCO: LE FORZE SPECIALI, CON IL SOSTEGNO DELL'EGITTO, PASSANO CON I GOLPISTI DI HAFTAR - E L'ITALIA CONTINUA A INVOCARE UNA ILLUSORIA "TRANSIZIONE DEMOCRATICA"

1.MILIZIE LIBICHE MIOPIA ITALIANA
Franco Venturini per ‘Il Corriere della Sera'

Con il suo gusto della provocazione Stalin chiedeva quante divisioni avesse il Papa, ma oggi, nel caos libico che è tornato ad infiammarsi, non è per nulla retorico domandarsi quante milizie abbia il generale Khalifa Haftar.

In Libia è facile conquistare la ribalta del grilletto, non esiste il monopolio della forza perché non esiste lo Stato. Ma poi, fatalmente, giunge il momento di fare la conta: chi appoggia Haftar, quanti uomini ha, e quali mezzi? Nel puzzle di armi e petrolio che è oggi la Libia non vai lontano se non vinci questa gara a chi è più forte. Per questo è importante che la base aerea di Tobruk e le truppe speciali di stanza a Bengasi si siano schierate con Haftar.

Per questo è un segnale che la milizia di Zindan (la più numerosa dopo quella di Misurata) si stia coordinando con il generale. E per questo contano gli appoggi che Khalifa Haftar dovrebbe aver maturato negli Usa e in Egitto: negli Usa vivendoci a lungo dopo aver rotto con Gheddafi, in Egitto perché il maresciallo Fattah al Sisi, che sarà eletto presidente tra una settimana, dopo Morsi vuole colpire tutti i Fratelli Musulmani, compresi quelli che crescono al di là del confine libico.

Forse è proprio pensando all'Egitto e agli Usa che Khalifa Haftar ripete ad ogni occasione di «voler liberare la Libia dagli islamisti». Ma gli ostacoli restano formidabili. L'Algeria ha fatto sapere che interverrà qualora forze egiziane superassero il confine. Il sud della Libia è popolato da guerriglieri qaedisti che combattono nel Sahel. Alcune autorità di Tripoli hanno chiesto proprio agli islamisti di difendere la capitale. E un fantomatico governo ha sospeso il primo ministro appena designato e sciolto il Parlamento.

Davanti a un simile rompicapo Haftar avrà i mezzi per prevalere, oppure sarà guerra civile su larga scala? Visto dall'Italia l'ennesimo terremoto libico può soltanto far crescere un allarme ormai permanente. È facile immaginare quale accelerazione imprimerebbe una guerra generalizzata al macabro business dei migranti che aspettano di rischiare la vita per giungere da noi. E sebbene l'Eni sia riuscita finora a limitare i danni, non è difficile prevedere che gas e petrolio diretti in Italia ne soffrirebbero ulteriormente.


È ora che il governo italiano, mentre sollecita la solidarietà europea in tema di immigrazione, chieda anche la definizione di una strategia nei confronti della Libia. Non ha più molto senso invocare una illusoria «transizione democratica». Non basta che l'America affidi l'addestramento di soldati libici all'Italia (che lo sta facendo) e a qualche altro Paese europeo. Serve il coraggio di scegliere. Siamo per la Cirenaica autonoma o per il centralismo di Tripoli? Siamo con o contro, come si dovrebbe presumere, gli islamisti?

Con o contro gli Haftar del momento? A favore o contro interventi senza «scarponi sulla sabbia» ma capaci di correggere almeno una parte degli errori commessi nel 2011 abbattendo Gheddafi senza pensare al domani? La bussola libica è impazzita, d'accordo. Ma prima o poi bisognerà aggiustarla, se non vogliamo che qualcuno chieda quante divisioni ha l'Occidente.


2. LIBIA, LE FORZE SPECIALI PASSANO CON I GOLPISTI - TRIPOLI: ‘C'È DIETRO L'EGITTO'
Maurizio Molinari per ‘La Stampa'

Gruppi jihadisti accusano l'Egitto di appoggiare l'assalto del generale Khalifa Haftar a Bengasi, Tripoli chiama a difesa del traballante governo le milizie islamiche e ottiene l'immediato avallo di Algeri: l'accelerazione della crisi militare in Libia porta con sé lo spettro di un duello per procura fra i potenti vicini che potrebbe coinvolgere altri Paesi del mondo arabo.

A puntare l'indice contro il Cairo sono i «Leoni del monoteismo», una milizia jihadista della Cirenaica, secondo cui Haftar avrebbe iniziato venerdì l'assalto a Bengasi sostenuto da «elicotteri egiziani». È una tesi che rimbalza su alcuni siti islamici maghrebini perché attribuisce al generale egiziano Al Sisi, ex ministro della Difesa e candidato presidente, la volontà di portare in Cirenaica la «guerra totale» contro i fondamentalisti che lo vede già protagonista in patria del pugno di ferro nei confronti dei Fratelli Musulmani.

D'altra parte non è un mistero che proprio i generali egiziani imputano ai jihadisti della Cirenaica di essere stati una sorta di arsenale per i Fratelli Musulmani di Morsi, consentendogli di attingere ad armi e istruttori che spesso venivano trasferiti, attraverso i contrabbandieri del Sinai, alle milizie di Hamas nella Striscia di Gaza.

Si spiega così quanto afferma Muhammad Hijazi, generale delle forze libiche pro-Haftar, che dagli schermi di l-Arabiya paragona «i terroristi di Bengasi ai Fratelli Musulmani» promettendo: «Schiacceremo entrambi». La decisione di alcuni reparti speciali e della base di Tobruk di sostenere Haftar lascia intendere l'esistenza di un piano preordinato.

Alla scelta di Haftar di puntare su militari e clan tribali per espugnare Bengasi, roccaforte dei jihadisti, risponde il governo di Tripoli guidato da Abdullah al Thani facendo appello proprio alle milizie islamiche per difendersi dai rivoltosi. E rilanciando verso Haftar vecchi sospetti di «connivenze con la Cia» in una «rivolta ciadiana contro Gheddafi fallita 25 anni fa».

È in tale cornice che il governo algerino del rieletto Abdelaziz Bouteflika ha espresso, attraverso i suoi portavoce, «pieno sostegno al governo di Tripoli» (che nel frattempo è stato costretto però a «sospendere» l'attività del Parlamento) dichiarando lo stato di emergenza nelle regioni settentrionali, nell'area ricca di petrolio e gas ai confini con la Libia.

«L'Egitto ha interesse a eliminare gli islamici dalla Cirenaica e l'Algeria a garantire la stabilità delle regioni petrolifere in Tripolitania» osservano fonti occidentali al Cairo. E non è tutto perché sul «Muftah» gli analisti Ayat Mneina e Ayman Grada vanno oltre: «Se il Qatar dovesse intervenire in Libia a sostegno degli islamici porterebbe sauditi ed Emirati a compiere la scelta opposta a favore di Haftar» innescando un conflitto per procura che evoca quella siriana. Da qui la scelta del ministero degli Esteri egiziano di gettare acqua sul fuoco: «Siamo contrari a ogni tipo di intervento esterno in Libia».

 

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