1- I LOBBISTI UFFICIALI NO, MA QUELLI IN INCOGNITO SÌ, DILAGANO ALLA CORTE DI OBAMA 2- IL LIBERAL “NEW YORK TIMES” SBUGIARDA IL PRESIDENTE CHE AVEVA PROMESSO GUERRA TOTALE ALL’INFLUENZA CORRUTTRICE DEI GRANDI GRUPPI DI PRESSIONE AMERICANI 2- UN ESEMPIO PER TUTTI. ANDY SPAHN, IMPRENDITORE DI UN SOCIETÀ DI LOS ANGELES, HA GIÀ RACCOLTO 500MILA DOLLARI PER LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE USA. SUL SUO SITO WEB ASSICURA AI VISITATORI DI AVERE “ESTESE RELAZIONI A WASHINGTON”. SPAHN È NOTO PER AVER SVOLTO ATTIVITÀ DI LOBBY PER LA DREAMWORKS ED ESSERE STATO NOMINATO DA BARACK OBAMA MEMBRO DI UNA COMMISSIONE PRESIDENZIALE SULLE ARTI 4- “LA RETORICA OBAMIANA NON FA CHE PORTARE QUESTE ATTIVITÀ ANCORA PIÙ NELL’OMBRA”

Dagoreport da "The New York Times"
http://nyti.ms/v9WQiD

I lobbisti ufficiali no, ma quelli in incognito sì. Il "New York Times" punzecchia nel vivo Barack Obama. Il presidente aveva promesso che non avrebbe preso soldi dai grandi gruppi di pressione americani, ma la promessa pare sia stata mantenuta solo a metà.

Almeno 15 tra i "bundlers" della sua campagna elettorale, ovvero i ricchi sostenitori che rimpinguano le casse del capo degli Sati Uniti o sollecitano altri a farlo, sono coinvolti in attività di lobbying. Dove sta il trucco? Nel fatto che nessuno di questi risulta registrato ufficialmente come lobbista. Risultato: la forma (ma solo quella) è salva.

Molto spesso è assai difficile individuare la differenza tra questi cosiddetti "bundlers" e i lobbisti per professione. Si muovono nei corridoi del potere di Washington, molti di loro ospitano Obama agli eventi di raccolta fondi o visitano la Casa Bianca per questioni politiche o affari. Finora hanno già raccolta circa 5 milioni di dollari da investire nella corsa per la rielezione di Barack alla Casa Bianca.

Sia quando era ancora un candidato, sia da presidente, Obama si è impegnato a porre un freno all'influenza corruttrice dei gruppi di interesse, salvo poi consentire loro non solo di contribuire a finanziare la sua campagna, ma anche di ricoprire posti all'interno della sua amministrazione. Per il presidente c'è il serio rischio di una perdita di credibilità sui temi etici: le politiche sbandierate in campagna elettorale possono convivere con quanto poi viene realmente praticato per accumulare fondi eletterali?

Sally Susman è una manager della casa farmaceutica Pfizer. Per sostenere la campagna di Obama ha raccolto oltre 500mila dollari e ha contribuito a organizzare a Manhattan la cena da 35mila 800 dollari a persona a cui il presidente ha partecipato a giugno. Al contempo guida il potente gruppo di pressione della Pfizer e ha visitato la Casa Bianca quattro volte nel 2009, due delle quali per questioni relative all'export. Tuttavia, in base alle leggi bizantine che regolano il settore, Sally Susman non è registrata come lobbista.

Lo stesso vale per David L. Cohen, il quale sovrintende alle attività di lobbying della Comcast Corporation, ma è anche membro dell'esclusivo club dei bundlers di Obama. Era suo il giardino dove nel giugno scorso si sono riuniti attorno al capo degli Stati Uniti circa 120 ospiti. Ognuno di loro, per esserci, ha sborsato almeno 10mila dollari. Obama ha definito Cohen e la moglie dei "grandi amici".

La questione è soprattutto di coerenza. Mentre i repubblicani non hanno posto alcuna restrizione ai lobbisti, Obama l'ha promessa. Dei 15 bundlers lobbisti di fatto, ma non di nome, almeno quattro, in passato, erano registrati come tali. Anche se Obama ha contribuito a far assumere un'accezione negativa alla parola "lobby" - molti, a Wall Streett, oggi preferiscono usare l'eufemismo "government affairs" - alcuni dei suoi sostenitori pubblicizzano la propria influenza nelle stanze che contano per trovare clienti.

Un esempio per tutti, Andy Spahn: è proprietario di una compagnia di Los Angeles e ha già raccolto 500mila dollari per la rielezione del presidente Usa. Sul suo sito web assicura ai visitatori di avere "estese relazioni a Washington". Spahn è noto per aver svolto attività di lobby per la DreamWorks ed essere stato nominato da Obama membro di una commissione presidenziale sulle arti.

Lo staff di Obama, in merito a tutto ciò, non rilascia commenti, ma un portavoce della sua campagna ha diffuso un comunicato in cui viene ribadito l'impegno profuso dal presidente "per limitare l'influenza fuori misura dei lobbisti nella politica" e sottolineato la distanza dai Repubblicani che invece accettano finanziamenti dai gruppi di pressione. Ma la questione è sempre quella: il divario tra la posizione pubblica di Obama e i modi in cui vengono raccolti i fondi per la sua campagna, anche grazie all'ambiguità della legge che decide su chi debba registrarsi come lobbista. C'è persino chi sostiene che la linea dura sbandierata dal Capo americano sia servita solo a scoraggiare chi di fatto fa lobby a registrarsi ufficialmente.

Ecco cosa pensa un lobbista Democratico, registrato, che lavora spesso con l'amministrazione Obama e che parla sotto anonimato: "Tutta questa retorica non fa che portare le attività di lobby ancora più nell'ombra. Obama non prenderà soldi da un lobbista registrato come me, ma questo non vuol dire che non prenderà soldi da persone che fanno lobbying".

 

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