OCCHIALI RIGATI – CON L’USCITA DI ANDREA GUERRA DAI VERTICI DI LUXOTTICA ECCO L’ENNESIMA SUCCESSIONE DI LEONARDO DEL VECCHIO A SE STESSO – CON GUERRA INCOMPRENSIONI SUI GOOGLE GLASS MA ANCHE INSOFFERENZA PER LA POLITICA

Stefano Cingolani per “Il Foglio

 

LEONARDO DEL VECCHIO jpegLEONARDO DEL VECCHIO jpeg

Le società migliori sono quelle nelle quali uno dei due soci muore la notte immediatamente dopo la firma del contratto”. Cesare Vivante, considerato il padre del diritto commerciale italiano, amava colpire con sentenze irriverenti, “nate dalle cose”, cioè dalla realtà. Il giurista morì nel 1944.

 

Leonardo Del Vecchio aveva solo nove anni, era orfano di padre e, capelli rasati a zero, trascorreva le notti scosse dai bombardamenti nelle camerate dei martinitt, come venivano chiamati gli orfani milanesi perché ospitati, nel XVI secolo, nel convento di San Martino. Tuttavia, fin da quando nel 1961 aprì ad Agordo la prima fabbrichetta per montature di occhiali, il secondo uomo più ricco d’Italia è stato iscritto d’ufficio alla scuola giuridica di Vivante.

 

DEL VECCHIO DEL VECCHIO

Lo scontro al vertice che ha portato alle dimissioni dell’amministratore delegato Andrea Guerra, ne è una prova concreta. E non è la prima. Quindici anni fa, il primogenito Claudio aspirava a prendere la guida operativa dell’impero, ma dovette mollare, così decise di battere la propria strada comprando e rilanciando la Brooks Brothers che aveva vestito Lincoln e Gianni Agnelli, ma non vestiva più i nuovi americani. Leonardo non fa sconti a nessuno: lo dimostrano i rapporti d’affari bruscamente interrotti con l’amico Giorgio Armani (anche se lo stilista rimane azionista di Luxottica e dopo dieci anni ha stretto un nuovo accordo commerciale), o gli screzi ai vertici delle Assicurazioni Generali delle quali è azionista rilevante.

 

Leonardo Del VecchioLeonardo Del Vecchio

E’ il paradigma Vivante che incide soprattutto sulla successione. Sembrava quasi scontato che Del Vecchio volesse adottare il modello di Berle & Means, separando proprietà e gestione: lui a Monte Carlo a godersi lo yacht da 62 metri Moneikos e a giocare a risiko con i suoi pacchetti d’azioni eccellenti; ad Agordo, a Milano, in Cina o a New York un manager di professione. Invece no, la panchina per quanto foderata di velluto, non gli si addice; Del Vecchio non può lasciare nelle mani di nessun altro l’impero creato dal nulla.

 

Andrea Guerra Andrea Guerra

Ormai è una delle prime vere multinazionali italiane. Su 70 mila dipendenti, 60 mila sono fuori dall’Europa, la maggior parte impiegati nella vendita al dettaglio e all’ingrosso. Distribuisce 73 milioni di montature per occhiali nel mondo e ne produce 275 mila al giorno nei propri stabilimenti (sei in Italia, due in Cina, uno in India e uno negli Stati Uniti per gli occhiali da sole).

 

I motivi del conflitto con Guerra non sono chiari. Tanto che le scuole di pensiero diventano addirittura tre. La prima chiama in causa la strategia. Sono sorti dissidi sull’accordo raggiunto cinque mesi fa con Google per gli avveniristici occhiali web, i Google Glass. Ora si stanno formando solo squadre di tecnici, il lancio è previsto per l’anno prossimo, ma si presenta costoso e ad alto rischio (“Bisogna convincere la gente ad indossare un computer”, ha ammesso Astro Teller responsabile del progetto per conto di Google).

 

Premio Guido Carli Mario Orfeo e Andrea Guerra Premio Guido Carli Mario Orfeo e Andrea Guerra

Dunque, tutto il contrario della filosofia Del Vecchio attenta ai conti, aliena dai debiti e restia a fare il passo più lungo della gamba. Va bene la moda con i marchi glamour (Bulgari, Ralph Lauren, Prada e via di questo passo), va bene l’acquisizione di Persol o anche quella, più azzardata, della mitica Ray-Ban, in fondo fanno tutti lo stesso mestiere. Ma la high tech è tutta un’altra cosa. Guerra ci crede, il patron no e vince il patron.

 

La seconda spiegazione è più triviale: Guerra voleva più soldi. Non che guadagni poco. In dieci anni ha incassato 65 milioni; del resto, durante la sua gestione il titolo è triplicato (da 13 a 39 euro), mentre i ricavi sono più che raddoppiati (da 3 a 7 miliardi) con una capitalizzazione pari a 20 miliardi. Nonostante la crisi, dal 2008 i debiti si sono ridotti, mentre sono aumentati gli utili e il capitale.

 

LuxotticaLuxottica

Dunque, Guerra è un amministratore di successo e nello stesso tempo un uomo che guarda alla sinistra riformista. Negli ultimi tempi, così, è stato tutto un corteggiamento da parte del governo Renzi: prima un posto da ministro, poi uno al vertice delle Poste o di qualche altra azienda a partecipazione statale. Il manager ha alzato il prezzo ed è entrato in rotta di collisione.

 

Il terzo filone ha a che fare proprio con la politica. L’investitura da parte di Renzi non è piaciuta a Del Vecchio che ha sempre cercato di tenersi lontano da ogni coinvolgimento diretto. Non ha mai chiesto auti ai governi, s’è fatto da solo e da solo vuole restare, niente favori da ricevere né da restituire. Il balzo in avanti lo ha compiuto in America, grazie alla scelta di quotarsi a Wall Street. A Piazza Affari è arrivato sull’onda di un successo già multinazionale.

luxotticaluxottica

 

Del Vecchio ha le proprie preferenze politiche, sia chiaro. A lui fin dall’inizio era piaciuto Berlusconi, a differenza del clan Agnelli e dei salotti buoni (dei quali non ha mai fatto parte) ed è sempre rimasto vicino al Cavaliere. Finché, deluso, ha finito per sostenere Beppe Grillo. “Premier? E perché no – ha dichiarato il primo marzo – Non credo sia più stupido di quelli che abbiamo avuto fino adesso”. E si è sbilanciato fino ad auspicare un governo tra Pd e pentastellati: “Se rifanno tutto non è male, se invece continuano a nominare gli stessi allora è tutto inutile”.

 

luxotticaluxottica

Sono stati in parecchi, tra Lorsingori, a votare Grillo nonostante le invettive del comico contro l’imperialismo delle multinazionali. Ma Del Vecchio è l’unico ad essersi esposto apertamente, suscitando un mare di polemiche. Dunque, meglio tornare sotto traccia e seguire la politica dietro le quinte. L’attivismo attorno a Guerra, insomma, deve averlo seccato.

 

Così, il martinett del capitalismo italiano (fino al 1970 c’era Angelo Rizzoli senior a contendergli il titolo, ma allora il re degli occhiali era solo agli esordi) è di nuovo solo al comando, come sempre, fin da quando alla Luxottica, incastonata tra le Alpi, lavoravano in sette, tra i quali se stesso e il fratello più il capo officina Luigi Francavilla che è rimasto sempre al suo fianco e siede in consiglio di amministrazione come vicepresidente.

logo persollogo persol

 

Erano gli anni in cui Leonardo di notte caricava il camioncino per arrivare presto a Milano e fare il giro dei negozi. I tempi in cui si teneva sveglio con la simpamina, come egli stesso ha raccontato, e sgomitava per farsi spazio convinto che il mondo avrebbe avuto sempre più bisogno non solo di lenti, ma di occhiali leggeri, eleganti, spiritosi persino.

 

I grandi risultati sono frutto di una notevole capacità di organizzare e vendere. Gli esperti direbbero che per capire Luxottica bisogna partire dal retail e risalire fino al vertice, in parole povere dal consumatore al produttore. Ma Del Vecchio non è un piazzista, comincia come incisore e adatta il suo mestiere alle montature degli occhiali fin dal 1961 quando lavora in esclusiva per la Metalflex. Nel 1968 si mette in proprio e dieci anni dopo compie il salto commerciale acquisendo la Scarrone, numero uno in Italia nella distribuzione di occhiali. Da allora, non si ferma più.

 

Ray BanRay Ban

Nel 1982 sbarca negli States e acquista il 50 per cento della Avant-Garde Optics, prima al mondo nei prodotti ottici, e comincia a darsi una struttura più sofisticata con una holding finanziaria al vertice, la Fininco che nel 1987 diventa società per azioni con il nome Luxottica Group.

 

Il salto nella moda con Armani e tutti gli altri marchi colloca l’azienda ancora poco conosciuta sotto i riflettori e prepara la quotazione a Wall Street. Idea coraggiosa, non azzardata. La Borsa di Milano (siamo nel 1990) ha consumato un decennio in ascesa e resta sempre l’anticamera dei soliti noti, mentre si fanno sotto i nuovi padroni, i banchieri che di lì a poco assorbiranno circa la metà dei valori quotati. Meglio gettarsi nel mare grande, soprattutto se si è in grado di nuotare. Il collocamento riesce, Luxottica incamera denaro fresco ed è pronta per nuove acquisizioni che negli States culminano con Ray-Ban nel 1999 e in Italia con Persol nel 1995.

LA SOFFERENA DI MATTEO RENZI IN BICICLETTALA SOFFERENA DI MATTEO RENZI IN BICICLETTA

 

La campagna d’America che ha segnato il salto di qualità si deve al primogenito Claudio responsabile di tutte le attività Usa dal 1982 al 1997. Vantando le buone prove e le qualità messe in luce, il giovanotto cerca spazio, convinto che il padre gli avrebbe lasciato al più presto le redini dell’azienda. Ma così non è. Anzi, aumentano le tensioni, anche se nella struttura della proprietà Claudio ha mantenuto un ruolo di prim’ordine.

 

Padre e figlio alla svolta del millennio fanno la pace, Claudio si ritira e decide di restare negli Stati Uniti prendendo una strada parallela. L’occasione clamorosa arriva subito dopo l’11 settembre. L’attacco di al Qaida alle Torri gemelle ha distrutto anche Brooks Brothers, storico marchio d’abbigliamento dell’establishment americano.

 

Il negozio al numero 1 di Church Street è distrutto e Marks & Spencer, la catena inglese di grandi magazzini, decide di vendere tutto. Claudio non si fa scappare l’occasione, ghiotta anche perché l’Italia è il paese europeo dove il marchio Brooks Brothers è più amato e conosciuto.

MILLENNIUM RAI3 MATTEO RENZIMILLENNIUM RAI3 MATTEO RENZI

 

L’acquisizione è costosa, quasi 225 milioni di dollari in contanti, in parte raccolti vendendo azioni Luxottica, in parte anticipati dal padre che lo incoraggia anche se molti pensano che sia un azzardo. Invece, dopo pochi anni arriva una svolta clamorosa e oggi, con un fatturato di un miliardo di dollari e una linea meno polverosa, è sbarcato in Europa a cominciare da Italia e Gran Bretagna.

 

Tutto è bene quel che finisce bene? Non esattamente. La successione e la gestione restano un problema e Del Vecchio, dopo l’uscita di Claudio, deve trovare due soluzioni, una per la catena della proprietà, l’altra per il comando in azienda.
Negli anni Novanta il gruppo era controllato da due finanziarie: la Leonardo che faceva capo al fondatore e deteneva il 56 per cento delle azioni e la Delfin con il 15 per cento nelle mani del delfino (nomen omen).

matteo renzimatteo renzi

 

Restava però incerta la posizione degli altri eredi avuti da mogli e compagne diverse. Il primo matrimonio con Luciana Negro era finito con un divorzio e tre figli: oltre a Claudio anche Marisa e Paola. Dalla seconda moglie Nicoletta Zampillo è nato Leonardo Maria. Ma anche questa relazione s’era sciolta per vie legali. Poco dopo nella vita di Leonardo entrava Sabina Grossi.

 

Altri due figli, Luca e Clemente, con una separazione (niente nozze questa volta) quando è tornata in scena Nicoletta con la quale Leonardo si è sposato di nuovo nel 2010. Dunque, dividere il patrimonio è diventato sempre più complicato. Di qui le ansie del delfino.

 

NICOLA ZINGARETTI NICOLA ZINGARETTI

Per cambiare l’assetto proprietario Leonardo Del Vecchio fonde in Delfin le due finanziarie al comando e rafforza così il proprio controllo. In occasione delle sue seconde nozze con Nicoletta Zampillo pensa di costituire una fondazione composta da tutti i figli, affidando loro in parti uguali la nuda proprietà e riservandosi l’usufrutto fino alla morte. Restano irrisolti però i problemi legali legati alla quota legittima (un quarto spetta alla vedova).

 

Nicola Zingaretti Nicola Zingaretti

Non si sa esattamente a quanto ammonti la ricchezza di Del Vecchio. Forbes ha calcolato 15,3 miliardi di dollari (numero 49 al mondo nel 2013). Non tutto è compreso nella holding. Per esempio lo yacht, il jet privato e una serie di palazzi e immobili a Milano, Chamonix e varie parti d’Europa. Una struttura non del tutto trasparente secondo il fisco italiano che ha contestato proprio le finanziarie “esterovestite”, domiciliate in Lussemburgo, a Londra, in Olanda. Nel 2009 Del Vecchio ha raggiunto un accordo con l’Agenzia delle entrate per 300 milioni, in fondo non troppo oneroso. I beni dell’ex martinett e la loro divisione restano rompicapi non solo legali, ma affettivi per un uomo che si è sempre presentato come padre e nonno premuroso.


Per gestire l’azienda, Del Vecchio cerca un manager di nome. Nel 2004 assume Andrea Guerra, figlio di un principe del foro romano, amico fin dai tempi della scuola di Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio, l’uomo forte del Pd romano. Amministratore capace e di belle maniere, ha lanciato il gruppo Merloni all’estero prendendo Indesit e sbarcando in Inghilterra.

Nicola Zingaretti Nicola Zingaretti

 

Sembra l’uomo giusto anche perché nasconde la propria determinazione dietro una cortina di comprensione, dialogo, consenso. “Parlare e capire – dice sempre – Per guidare gli uomini, bisogna cominciare da queste due semplici azioni”. Con lui, Luxottica mette una marcia in più e compie un secondo salto, dopo quello americano. Entra in Cina, in Turchia, in Messico e si estende a nuovi rami, senza allontanarsi dal tronco principale, seguendo insomma la cultura aziendale che pretende la massima concentrazione sul mestiere che si sa fare meglio degli altri.

 

Così, nel 2007 arriva la statunitense Oakley specializzata nell’ottica per lo sport: costa (2,1 miliardi di dollari in contanti) ma arricchisce il portafoglio prodotti e lo rende più sofisticato. L’accordo con Google, in fondo, rappresenta il culmine di questa strategia rivolta a un pubblico nuovo e alla tecnologia non solo alle catene di vendita.

Nicola Zingaretti Nicola Zingaretti

 

Guerra si è spinto troppo in là? Vedremo. Certo Del Vecchio, nonostante sia ormai vicino alla soglia degli 80 anni, non si ritira nella dorata Monte Carlo e non si fa rottamare. Né l’amato primogenito né lo stimato manager lo hanno scalzato. Il primo settembre si riunisce il consiglio di amministrazione e si parla di un cambiamento per linee interne: per esempio il direttore generale Enrico Cavatorta sotto la supervisione di Francavilla o il banchiere Claudio Costamagna, molto ascoltato da Del Vecchio, che siede in cda. Tuttavia, anche se prevarrà un esterno come Gianmario Tondato Da Ruos oggi in Autogrill o Bob Kunze-Concewitz che guida Campari (i nomi per ora più gettonati), nessuno avrà bisogno di chiedersi chi comanda davvero. Il colpo di coda del patron non lascia spazio a equivoci.

 

Leonardo Del VecchioLeonardo Del Vecchio

Proprietà e gestione vengono riunite, ma ancora una volta si ripropone l’eterna domanda sul destino del capitalismo familiare italiano. Il dubbio già sollevato per i nomi storici, quelli del primo capitalismo (gli Agnelli, Pirelli) o per i condottieri degli anni Ottanta (da De Benedetti a Berlusconi), vale anche per i protagonisti di quel quarto capitalismo che finora ha impedito la decadenza industriale dell’Italia.

 

LEONARDO DEL VECCHIOLEONARDO DEL VECCHIO

I figli dei Merloni, che Guerra conosce bene, non sono stati in grado di seguire le orme dei padri e hanno venduto all’americana Whirlpool. Gli eredi Agnelli hanno trovato manager di prim’ordine, da Gianluigi Gabetti a Sergio Marchionne. Ma non s’è fatto avanti un modello nuovo. Così, il paradigma Vivante che ha rappresentato il meglio e il peggio del capitalismo italiano, è ancora in auge. E c’è chi canta già il de profundis al primato dei funzionari del capitale sui capitalisti, mettendo nello stesso mazzo l’uscita di Guerra e quella di Giovanni Perissinotto dalle Generali, il conflitto tra Enrico Cucchiani e Giovanni Bazoli in Banca Intesa o lo stesso incerto destino di Alessandro Profumo e dei McKinsey boys.

LEONARDO DEL VECCHIOLEONARDO DEL VECCHIO


Luxottica praticamente non ha sentito la crisi; insieme a Tod’s, Campari, Autogrill, Prysmian (ex Pirelli cavi), Tenaris e una pattuglia di altre lepri coraggiose, è saltata sulla globalizzazione e ha contribuito a tenere a galla l’Italia. Ma vive in un ambiente sempre più instabile e competitivo, dove il futuro è tutto da reinventare, mentre dietro non s’intravedono nuovi capitali di ventura pronti a prendere il testimone. E’ presto per fasciarsi la testa, ma le bende vanno sempre tenute a portata di mano.

Ultimi Dagoreport

gabriele gravina luciano spalletti gianpiero ventura giorgia meloni carlo tavecchio franco carraro matteo salvini matteo renzi giuseppe conte elly schlein

DAGOREPORT! IL CALCIO È POLITICA! NEL FLOP DELLA NAZIONALE SI RINTRACCIANO GLI INGREDIENTI PEGGIORI DEL PAESE: INCOMPETENZA, IMPROVVISAZIONE, MANCANZA DI PROFESSIONALITÀ. L’ITALIA È UN PAESE G7 CHE È FUORI DAI TAVOLI CHE CONTANO (DALL’UCRAINA ALLA LIBIA) E NEL CALCIO AFFONDA NELLA MEDIOCRITÀ. GRAVINA È L’EMBLEMA DELLA MANCATA ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’ AL PARI DI ELLY SCHLEIN CHE DOPO LA BATOSTA REFERENDARIA, SI AGGRAPPA AI NUMERI, PER DIRE CHE SÌ IL CENTROSINISTRA HA PIÙ VOTI DELLA MELONI. LA SCONFITTA? SOLO UN DETTAGLIO - NELLE SQUADRE I GIOVANI NON TROVANO SPAZIO, NEI PARTITI IDEM, A MENO CHE NON SIANO POLLI DI BATTERIA. LA CANDIDATURA ALLA GUIDA DEL CONI DI FRANCO CARRARO, A 85 ANNI, MOSTRA L’ETERNO RITORNO DELL’ETERNO RIPOSO - PER QUANTO ANCORA DOVREMO SORBIRCI LE SCENEGGIATE AUTO-ASSOLUTORIE DELLA FIGC? PER QUANTO ANCORA I NOSTRI POLITICI POTRANNO RIFILARCI SUPERCAZZOLE? - LE RESPONSABILITA' DEI MEDIA - VIDEO

giorgia meloni matteo salvini elly schlein giuseppe conte bonelli fratoianni

DAGOREPORT - L’ESITO DEL REFERENDUM, LANCIATO DALLA SETE DI POTERE DI LANDINI IN CUI SONO CADUTI GLI INETTI SCHLEIN E CONTE, HA SPINTO UNA BEFFARDA MELONI A CANTARE VITTORIA DETTANDO AI SUOI GAZZETTIERI CHE IL RISULTATO “RISCHIA DI INCHIODARMI A PALAZZO CHIGI PER DIECI ANNI”. COME SE IL 70% CHE SE N'È FREGATO DI ANDARE A VOTARE, SIA TUTTO A FAVORE DELLA DESTRA. UNA FURBATA DA VENDITORE DI TAPPETI PERCHÉ IL FUTURO DEL GOVERNO MELONI NON E' PER NIENTE DIPINTO DI ROSA. A PARTE LA DISCRIMINANTE GEOPOLITICA, CHE VEDE IL TURBO-SOVRANISMO ANTI-UE DI SALVINI COZZARE CON IL RIPOSIZIONAMENTO EURO-PPE DELLA CAMALEONTICA DUCETTA, IL PASSAGGIO PIÙ DIFFICILE ARRIVERÀ CON LE REGIONALI DEL PROSSIMO AUTUNNO, DOVE RISCHIA SERIAMENTE DI PERDERE LE MARCHE MENTRE IL VENETO È APPESO ALLE MOSSE DI ZAIA. I TIMORI DELLA MELONI SI SONO APPALESATI QUANDO È SBUCATO IL NASO AD APRISCATOLE DI DONZELLI ANNUNCIANDO UN’APERTURA SUL TERZO MANDATO CON LO SCOPO DI LANCIARE UN SALVAGENTE A SALVINI E NELLO STESSO TEMPO MANDARE ALL’ARIA IL CAMPOLARGO IN CAMPANIA - DALL'ESITO DELLE REGIONALI LA SGARBATA PREMIER DELLA GARBATELLA CAPIRA' SE HA I NUMERI PER ANDARE AL VOTO ANTICIPATO SENZA SALVINI TRA I PIEDI…

francesco milleri gaetano caltagirone giorgia meloni giovanbattista fazzolari mediobanca nagel alberto

DAGOREPORT - IL GIORNO DEL GIUDIZIO SI AVVICINA, CAMPO DI BATTAGLIA: L’ASSEMBLEA DI MEDIOBANCA DEL 16 GIUGNO. IN CASO DI VITTORIA DELL'INFERNALE CALTAGIRONE, SI SPALANCHEREBBERO LE PORTE DI TRE DELLE PRINCIPALI ISTITUZIONI FINANZIARIE ITALIANE (GENERALI, MEDIOBANCA E MPS) AL GOVERNO MELONI: UN FATTO POLITICO EPOCALE – SUDORI FREDDI A MILANO CHE SI CHIEDE ATTONITA: COME PUÒ VENIRE IN MENTE A CALTARICCONE DI SCALARE IL GRUPPO EDITORIALE ‘’CLASS’’ PERCHÉ A LUI CONTRARIO (DETIENE IL SECONDO QUOTIDIANO ECONOMICO, “MILANO FINANZA”)? UN’ATTITUDINE AUTORITARIA CHE DEL RESTO FA MAGNIFICAMENTE SCOPA CON IL “QUI COMANDO IO!” DEL GOVERNO MELONI – SUDORI FREDDISSIMI ANCHE A ROMA: SI ACCAVALLANO LE VOCI SUGLI EREDI DEL VECCHIO, GRANDE PARTNER CON LA HOLDING DELFIN DELLE SCALATE CALTAGIRONESCHE, CHE SPINGONO IL LORO CEO FRANCESCO MILLERI A SGANCIARSI DAL BOSS ROMANO DEL CALCESTRUZZO. CHE UNA PARTE DELLA TURBOLENTA FAMIGLIA NON SOPPORTI MILLERI, È UN FATTO. CHE CI RIESCA, È UN’ALTRA STORIA - LA DECISIONE DELLA DELFIN (HA IL 20% DI AZIONI MEDIOBANCA) È INFATTI DIRIMENTE: IN CASO DI FALLIMENTO IL 16 GIUGNO, SAREBBE LA CULATA DEFINITIVA NON SOLO ALL’OTTUAGENARIO “PADRONE DI ROMA” MA ANCHE UN SONORO "VAFFA" AI SOGNI DI MELONI E FAZZOLARI DI ESPUGNARE IL POTERE IN MANO AI “BANCHIERI DEL PD”… 

biennale di venezia antonio monda pietrangelo buttafuoco alessandro giuli alfredo mantovano

DAGOREPORT - ANTONIO MONDA, IL ''BEL AMI'' PIÙ RAMPINO DEL BEL PAESE, È AGITATISSIMO: SI È APERTA LA PARTITA PER LA DIREZIONE DELLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA DEL 2026 - UNA POLTRONISSIMA, CHE DOVREBBE FAR TREMARE I POLSI (È IN CONCORRENZA CON IL FESTIVAL DI CANNES), CHE DA ANNI TRAVAGLIA LA VITA E GLI INCIUCI DEL GIORNALISTA MONDA, MAGNIFICAMENTE DOTATO DI UNA CHIAPPA A SINISTRA (“REPUBBLICA” IN QUOTA ELKANN); MENTRE LA NATICA DI DESTRA, BEN SUPPORTATA DAL FRATELLO ANDREA, DIRETTORE DELL’”OSSERVATORE ROMANO”, GODE DEI BUONI RAPPORTI CON IL PIO ALFREDO MANTOVANO - ALL’ANNUNCIO FATALE DI GIULI, SU INPUT DI MANTOVANO, DI CONSEGNARE LA MOSTRA DEL 2026 NELLE MANINE FATATE DI MONDA, IL PRESIDENTE DELLA BIENNALE BUTTAFUOCO, CHE NON HA MAI STIMATO (EUFEMISMO) L’AEDO DELLA FUFFA ESOTERICA DI DESTRA, AVREBBE ASSUNTO UN’ESPRESSIONE ATTONITA, SAPENDO BENE COSA COMPORTEREBBE PER LUI UN FALLIMENTO NELLA RASSEGNA CINEMATOGRAFICA, MEDIATICAMENTE PIÙ POPOLARE E INTERNAZIONALE (DELLE BIENNALI VENEZIANE SU ARCHITETTURA, TEATRO, BALLETTO, MUSICA, NON FREGA NIENTE A NESSUNO)

marina berlusconi silvio vanadia greta jasmin el moktadi in arte grelmoss - 3

DAGOREPORT - BUNGA BUNGA FOREVER! IL VERO ''EREDE ORMONALE" DI SILVIO BERLUSCONI È IL NIPOTE SILVIO, RAMPOLLO PRODOTTO DEL MATRIMONIO DI MARINA CON MAURIZIO VANADIA - SE IL CAVALIER POMPETTA PROVOCAVA INQUINAMENTO ACUSTICO E DANNI ALL'UDITO GORGHEGGIANDO CANZONI FRANCESI E NAPOLETANE, IL VENTENNE EREDE BERLUSCHINO NON E' DA MENO: E' BEN NOTO ALLE SPERICOLATE NOTTI MILANESI LA SUA AMBIZIONE DI DIVENTARE UN MITO DEL RAP, TENDENZA SFERA EBBASTA E TONY EFFE - SUBITO SPEDITO DA MAMMA MARINA A LONDRA, IL DISCOLO NON HA PERSO IL VIZIO DI FOLLEGGIARE: DA MESI FA COPPIA FISSA CON LA CURVACEA GRETA JASMIN EL MOKTADI, IN "ARTE" GRELMOS. PROFESSIONE? CANTANTE, MODELLA E INFLUENCER, NATA A NOVARA MA DI ORIGINI MAROCCHINE (COME LA RUBY DEL NONNO) - IL RAMPOLLO SU INSTAGRAM POSTA FOTO CON LE MANINE SULLE CHIAPPE DELLA RAGAZZA E VIDEO CON SOTTOFONDO DI CANZONI CON RIME TIPO: "GIRO A SANTA COME FA PIER SILVIO, MANCA UN MILIARDINO. ENTRO IN BANCA, MI FANNO L'INCHINO". MA PIER SILVIO È LO ZIO E MARINA E' FURIBONDA... - VIDEO

francesca fialdini mario orfeo

DAGOREPORT: MAI DIRE RAI! – COME MAI “REPUBBLICA” HA INGAGGIATO UNA BATTAGLIA CONTRO L’ARRIVO DI NUNZIA DE GIROLAMO AL POSTO DI FRANCESCA FIALDINI NELLA DOMENICA POMERIGGIO DI RAI1? NON È UN MISTERO CHE IL DIRETTORE, MARIO ORFEO, ANCORA MOLTO INFLUENTE A VIALE MAZZINI, STIMA MOLTO LA FIALDINI (FU LUI A FAVORIRNE L’ASCESA DA DIRETTORE GENERALE) - PER EVITARE IL SILURAMENTO DEL PROGRAMMA DELLA CONDUTTRICE, A LARGO FOCHETTI HANNO MESSO NEL MIRINO PRIMA IL TRASH-SEX SCODELLATO DA NUNZIA COL SUO "CIAO MASCHIO", E POI IL PRESIDENTE RAI AD INTERIM, IL LEGHISTA ANTONIO MARANO, PER UN PRESUNTO CONFLITTO DI INTERESSI - MA L'ORGANIGRAMMA RAI VUOLE CHE IL DIRIGENTE RESPONSABILE DEL DAY-TIME, DA CUI DIPENDE IL PROGRAMMA DELLA FIALDINI, SIA ANGELO MELLONE...