1. COME SI SONO PERMESSI DI GETTARE ALLE ORTICHE LA PAROLA D’ONORE DELL’ITALIA E DEGLI ITALIANI? CON QUALE DIRITTO? E A QUALE PREZZO VISTO CHE ADESSO CI VA DI MEZZO L’AMBASCIATORE ITALIANO A NEW DELHI DANIELE MANCINI CHE RISULTA PRATICAMENTE SEQUESTRATO DALLE AUTORITÀ INDIANE? (MANCINI: “MI RIFIUTO DI ACCETTARE”)...

1. LE PAROLE DEL PRESIDENTE
di Antonio Padellaro per Il Fatto

Come si sono permessi di gettare alle ortiche la parola d'onore dell'Italia e degli italiani? Con quale diritto? E a quale prezzo visto che oltre agli incalcolabili danni sulla nostra immagine internazionale già malconcia di suo adesso ci va di mezzo l'ambasciatore italiano a New Delhi che risulta praticamente sequestrato dalle autorità indiane?

C'erano tanti modi per affrontare la controversia sui due marò accusati dell'assassinio di due pescatori del Kerala: il governo Monti ha scelto la strada peggiore e quella più disonorevole. Che comincia alla vigilia del Natale 2012 quando il governo indiano concede a Girone e Latorre una licenza di due settimane per trascorrere le feste in famiglia.

Come garanzia per il ritorno dei militari, il governo italiano offre 800 mila euro di cauzione, più l'impegno esplicito dell'ambasciatore d'Italia e dello stesso ministro degli Esteri Terzi, più una dichiarazione d'onore dei marò, ci mancherebbe altro. Ma l'atto più solenne viene dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che dichiara: "Rispetteremo gli impegni".

E ciò che avviene la prima volta, ma non la seconda quando, siamo a febbraio, gli ufficiali ottengono dagli indiani un secondo permesso e ritornano in Italia per votare alle elezioni. Poi l'improvviso voltafaccia italiano, il "colpo gobbo" come è stato allegramente definito da alcuni giornali: i militari restano a casa e tanti saluti alla nostra parola d'onore.

Solo che a Delhi la prendono malissimo e l'inevitabile ritorsione colpisce l'ambasciatore Mancini che non può più muoversi dalla sede diplomatica, tanto che neppure i familiari riescono a contattarlo. Altro che colpo gobbo, una vera idiozia non considerare che la firma di un impegno scritto avrebbe trasformato l'ambasciatore Mancini in una sorta di ostaggio da tenere sotto chiave per ogni evenienza. Ma è la parola d'onore violata che resta un atto vergognoso perché è anche la parola d'onore di tutti gli italiani. Possibile che il capo dello Stato abbia avallato l'inaccettabile dietrofront del governo Monti? E quella frase: "Rispetteremo gli impegni" è da considerarsi anch'essa una finzione? Sarebbe gravissimo, non possiamo crederlo. Presidente, dica qualcosa per favore.

2. INDIA-ITALIA, DUELLO SULL'AMBASCIATORE - PER NEW DELHI, MANCINI NON PUÃ’ LASCIARE IL PAESE. LUI: MI RIFIUTO DI ACCETTARE
Maurizio Caprara per il "Corriere della Sera"

Sembrava che potesse essere l'espulsione dell'ambasciatore d'Italia a New Delhi la reazione dell'India alla decisione del governo italiano di non far ritornare a Kochi Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i marò accusati di aver ucciso i pescatori Ajeesh Binki e Valentine Jelastine scambiandoli per pirati. Invece ieri al capo della sede diplomatica del nostro Paese, Daniele Mancini, è stato profilata la ritorsione opposta: divieto di uscire dai confini indiani. Il contrasto tra Repubblica italiana e secondo Stato al mondo per popolazione resta aperto, ed è presto per prevederne la fine.

L'ambasciatore, che su direttive da Roma aveva firmato l'impegno a far tornare i marò in Kerala dopo quattro settimane di permesso in Italia in occasione delle elezioni, è stato convocato ieri a New Delhi dal ministero degli Esteri. Seconda volta in tre giorni.

«Non può lasciare l'India senza l'autorizzazione della Corte Suprema prima dell'udienza fissata dalla stessa per il 19 marzo», ha detto all'Ansa il responsabile dello studio di avvocati dei marò, Dilijeet Titus, aggiungendo che a Mancini è stato chiesto di mandare una comunicazione sul caso entro il 18. Ritirata l'ingiunzione della Corte, l'ambasciatore non ha accettato di rispettarla. Il giorno prima, si tenga presente, aveva dichiarato di andar via soltanto se definito persona non gradita.

Anche su questo aspetto, come su quale Paese abbia diritto a giudicare circa la morte in mare dei due pescatori, Italia e India danno interpretazioni diverse del diritto internazionale. Secondo la Farnesina, un obbligo di non lasciare l'India va contro l'articolo 29 della Convenzione di Vienna del 1961, in base alla quale i diplomatici hanno libertà di movimento.

Mancini, per inciso, è ambasciatore anche in Nepal. Stando al portavoce del ministero indiano Syed Akbaruddin, la firma per i marò modifica il trattamento: «Se un diplomatico si sottomette volontariamente alla giurisdizione di una corte, quella giurisdizione è applicabile».

Strano se un'India in ascesa economica e politica agisse come l'Iran dopo la Rivoluzione islamica con i diplomatici americani. Questo caso, comunque, ha una sua particolarità. New Delhi, ha riferito il Times of India, ha sospeso la partenza per l'Italia del suo nuovo ambasciatore a Roma Basant Kumar Gupta, prevista per la settimana prossima.

Il suo ministero ha ribadito che viene riesaminato «l'intero ventaglio delle relazioni» con il nostro Paese. Mentre a giornali italiani arrivano email quasi in serie che, sulla scelta di non rimandare a Kochi i marò complicando le relazioni bilaterali, commentano: «Perché questa scelta improvvisa di un governo che non esiste più?».

3. CASO MARÒ, EDOARDO GREPPI: «VIOLAZIONE GRAVE FUORI DALLA PRASSI»
Maria Serena Natale per il "Corriere della Sera"

Limitare la libertà di movimento di un ambasciatore equivale a una grave violazione di prerogative e norme sancite dal diritto internazionale. Un atto non contemplato dalla prassi diplomatica e lesivo delle relazioni bilaterali. Come spiega il professor Edoardo Greppi, consigliere scientifico dell'Ispi, «non è possibile revocare l'immunità diplomatica garantita dalla Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961. Il principio è quello, antichissimo, del Ne impediatur legatio, che in sostanza vieta a uno Stato di adottare misure incompatibili con lo svolgimento della missione diplomatica».

Quali sono gli strumenti a disposizione di un governo per formalizzare la protesta?
«C'è una gradualità nella gestione delle tensioni, prima la convocazione dell'ambasciatore della controparte e il richiamo in patria del proprio (ieri Daniele Mancini è stato convocato per la seconda volta e New Delhi ha sospeso le procedure d'insediamento del nuovo ambasciatore indiano a Roma, ndr). Quindi la revoca del gradimento, che implica una responsabilità personale del diplomatico nella disputa; infine la rottura delle relazioni. All'apice dello scontro l'ambasciatore deve lasciare il Paese».

All'opposto, il divieto di partire può essere letto come un modo più politico che tecnico di esprimere disappunto senza arrivare a una vera e propria sanzione diplomatica?
«Potrebbe segnalare un'ultima apertura al dialogo in una fase di gestione politica della controversia. Se però si trasformasse in una presa d'ostaggio de facto, se l'ambasciatore fosse trattenuto contro la propria volontà per sollecitare uno scambio con i marò, si tratterebbe di una violazione di estrema gravità, non prevista dalla secolare prassi diplomatica».

In una prospettiva di diritto internazionale la posizione italiana può dirsi «molto solida»?
«Chiedendo di poter giudicare i due marò, l'Italia ha impostato la questione in termini non di merito ma di giurisdizione, una linea sostanzialmente e formalmente corretta. Ora, la Carta delle Nazioni Unite stabilisce all'art. 33 del capitolo 6 l'obbligo per gli Stati di trovare una soluzione pacifica alle controversie internazionali attraverso modalità diplomatiche come il negoziato o giurisdizionali come l'arbitrato. Data l'impossibilità di una soluzione diplomatica anche per la mancata collaborazione indiana, Roma può invocare una decisione arbitrale, in tal caso occorrerà un accordo sul giudice competente. Il dialogo diplomatico è ineludibile».

 

 

 

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