UN MARTINI PER DIMENTICARE - BORRELLI RICORDA CON COMMOZIONE IL CARDINALE E SORVOLA SUL BRACCIO DI FERRO DEL ’95 TRA LA CURIA DI MILANO E IL POOL DI MANI PULITE - UN’INCHIESTA SU UNA TANGENTE SCATENO’ BORRELLI: “IN ITALIA CI SONO PRETI CHE HANNO SENTITO IL NOSTRO IMPEGNO ETICO. MA PER I VERTICI NON SAPREI” - IL PORTAVOCE DI MARTINI REPLICO’ DURISSIMO: “FORSE I GIUDICI SONO STATI COLTI DA QUALCHE FORMA DI AMNESIA…”

Luca Fazzo per "il Giornale"

Milano, 1995. Politica allo sbando. Città disorientata. Due soli poteri forti all'ombra della Madonnina. Uno è Carlo Maria Martini, che all'epoca è da quindici anni arcivescovo della città. L'altro ­ assiso a trecento metri di distanza, al quarto piano del palazzo di giustizia - è il pool Mani Pulite.

Nei giorni scorsi, a leggere molti degli articoli pubblicati in occasione della morte di Martini, è sembrato che in quegli anni convulsi Procura e Curia marciassero affiancate nella crociata che doveva purificare la politica, che Borrelli e i suoi pm avessero nel gesuita divenuto cardinale una sponda morale e un alleato affidabile.

Intervistato, lo stesso Borrelli conferma questa ricostruzione e traccia di Martini un ritratto commosso e quasi affettuoso. Ma davvero le cose andarono così? In realtà, appannata nelle nebbie dei ricordi dei cronisti e degli articoli di giornale, c'è anche una storia diversa. È la storia di alcune settimane convulse, tra l'inverno e la primavera del 1995, in cui sembrava che neppure la Chiesa milanese dovesse passare indenne nella tempesta scatenata dal pool.

Le indagini di Mani Pulite arrivarono a scavare persino in Arcivescovado, nel regno di Martini. Nei loro verbali, i pm di Borrelli avevano una bomba: la storia di una tangente pagata da una struttura della Curia ai funzionari del catasto. Poteva essere un nuovo terremoto.

Gli investigatori non trovarono, pare, grande collaborazione da parte degli uomini del cardinale. Ma poche settimane dopo Borrelli e i suoi sostituti approfittarono di un viaggio in Brasile per togliersi dalle scarpe un bel po' di sassolini e scagliarli contro la Chiesa, accusandola di non avere fatto praticamente nulla per combattere la corruzione e agevolare le inchieste.

In Arcivescovado la presero malissimo, e Martini diede incarico al suo portavoce di rispondere a brutto muso al pool. È in quelle settimane che nei corridoi del tribunale iniziò a circolare persino la voce più inverosimile, quella di un provvedimento del pool in arrivo per il cardinale. Ovviamente non era vero, per il semplice motivo che in una Curia non è l'arcivescovo a occuparsi di affari immobiliari.

Ma la sostanza cambiava di poco: se la tangente fosse stata accertata, se le manette - o anche solo un avviso di garanzia - avessero raggiunto gli uomini di fiducia di Martini, lo choc per la città sarebbe stato enorme, e tra i due palazzi si sarebbe scavato un fossato difficilmente colmabile. Invece il clima tornò a rasserenarsi, i pm smussarono le loro dichiarazioni contro la Chiesa, negli ambienti di Curia fecero sapere che il sostegno delle tonache alle toghe era fuori discussione. E della tangente pagata al catasto non si sentì più parlare.

A trovare le tracce della tangente era stata Margherita Taddei, lo stesso pm che di lì a poco aprirà l'inchiesta contro Silvio Berlusconi per le tangenti ai giudici romani. Indagando su Enzo Viganò, leader di un sindacato dei dirigenti del ministero delle Finanze, la Taddei aveva trovato le tracce di una stecca da 150 milioni di lire versata dall'Istituto diocesano per il sostentamento del clero, il più importante braccio secolare della Curia, che si occupa anche della gestione dell'imponente pa­trimonio immobiliare della Chiesa milanese.

Scopo della mazzetta, edulcorare un documento del Catasto, il certificato di congruità relativo ad un fabbricato. A raccontare per prima la notizia fu, il 22 febbraio 1995 , Repubblica , raccontando che la Taddei aveva fatto sequestrare le carte dell'istituto diocesano. E citando una fonte investigativa, secondo cui a fare scattare l'inchiesta era stato un articolo del nuovo Concordato, firmato nel 1984 da Craxi e dal cardinale Casaroli, che sottopone alle norme italiane le operazioni immobiliari degli enti ecclesiastici.

«Non abbiamo ricevuto nessun avviso di garanzia - disse il presidente dell'Istituto, don Giovanni Barbareschi - ed escludo che abbiamo mai pagato tangenti». In Arcivescovado lo sconcerto per l'iniziativa del pool fu grande. E il malumore aumentò quando Borrelli e tre pm andarono in Brasile, invitati per un ciclo di conferenze. Qui, parlando con alcuni esponenti radicali della Teologia delle liberazione, andarono giù pesanti con la Chiesa italiana.

Iniziò Gherardo Colombo,l'unico cattolico del pool: «La base della Chiesa era senz'altro con noi e ha appoggiato il nostro lavoro ma purtroppo è forse in alto che non c'è stata altrettanta attenzione». Gli fece eco Borrelli: «In Italia ci sono preti che hanno sentito il nostro impegno etico. Ma per i vertici non saprei...».

Apriti cielo. Il giorno dopo l'intera Chiesa italiana parte al contrattacco, l'Osservatore Romano accusò il pool di «demagogia». Martini tacque. Ma fece parlare il suo portavoce, don Gilberto Donnini: «Ho letto con grande sorpresa le dichiarazioni dei giudici. Forse sono stati colti da qualche forma di amnesia».

 

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