MATTEO & ENRICO, I “NIPOTINI” DI RE GIORGIO ORA BALLANO SUL TITANIC-PD, L’UNO CONTRO L’ALTRO

Claudio Cerasa per Il Foglio

Sul traballante galeone del Partito democratico la rielezione di Giorgio Napolitano ha avuto l'effetto di indirizzare il Pd su una rotta che rappresenterà la nuova stella polare del centrosinistra post bersaniano.

La rotta indicata dalla scelta di Napolitano, come è stato evidente già da prima dell'elezione del nuovo capo dello stato, ha infatti costretto il Pd a fare i conti con quella che improvvisamente era diventata la grande tentazione di una buona parte della classe dirigente del partito: rinunciare alla propria identità per inseguire i grillini e convincerli che non sarebbe stata un'eresia fare un governello insieme.

Un tempo la tentazione era stata sintetizzata da Bersani con l'espressione "fare scouting" tra i grillini ma nel momento in cui un pezzo di centrosinistra ha ammesso di preferire al Quirinale il candidato di Grillo a quello del Pd - e quando insomma lo scouting del Pd tra i grillini si è trasformato in uno scouting dei grillini nel Pd - è risultato chiaro che il Partito democratico sarebbe stato costretto a fare una scelta importante non solo per l'elezione del presidente della Repubblica ma anche per il futuro del centrosinistra: o in piazza a urlare al golpe sostenendo Rodotà con i Cinque stelle e gli eroi della rifondazione catoblepista o in aula a votare per Napolitano fissano i paletti del centrosinistra che sarà.

Naturalmente l'improvviso passaggio dalla sbiadita immagine della foto di Vasto a quella più nitida della foto di Napolitano non sarà indolore e produrrà danni collaterali che avranno un peso sul percorso del Pd.

Vendola ha già cambiato strada, la sinistra manettara ha caricato i propri remi sulla barca grillina, ma al netto delle perdite il punto è che il Pd - in una fase in cui rimane di fatto senza alleati - per sopravvivere dovrà seguire, in modo forzoso, una rotta simile a quella imboccata nel 2007 quando si mise in moto il galeone del Pd. La rotta del Pd è sintetizzabile in due parole: vocazione maggioritaria.

L'improvviso cambio di direzione avrà dei riflessi nella scelta dei nuovi timonieri del Pd. E se è vero che la mozione Napolitano ha vinto in anticipo il pre congresso del Pd, da qui in avanti avranno un peso i due grandi azionisti della mozione Napolitano, gli unici che nelle ultime settimane, anche prima della roulette russa del Colle, hanno cercato (con Veltroni) di far coincidere la linea del Pd con quella del Quirinale: da un lato Enrico Letta e dall'altro Matteo Renzi. Il ragionamento vale sia per la nuova geografia del Pd sia per il destino del governo. E in entrambi i casi le partite di Letta e Renzi si scontreranno tra loro.

Sul fronte partito, il confronto è di carattere generazionale, e Renzi, con i trenta-quarantenni del Pd (non solo renziani), combatterà per dare ai rottamatori una rappresentanza degna alla guida del partito (non a caso giovani turchi e renziani sono contrari a dare a Letta la guida ad interim del Pd).

Sul fronte governo, invece, il confronto Renzi-Letta avrà un carattere diverso e riguarderà il nome che il Pd proporrà per Palazzo Chigi. Letta è in pole position per guidare il governo e dalla sua - a differenza di Amato - ha il sostegno della Lega (sono stati i suoi ambasciatori a trattare con i maroniani). Ma nonostante ciò, i renziani, preoccupati dal fatto che con Letta sarebbero garantiti i vecchi, hanno intenzione di condurre una battaglia anche su questo fronte.

Due i piani. Il primo coincide con il nome di Amato, con il quale secondo i rottamatori il vecchio Pd potrebbe essere azzerato con più facilità. Il secondo è invece una carta clamorosa che vedrebbe Renzi impegnato a succedere a Monti. L'ipotesi (al momento davvero remota) è sul campo. E nei prossimi giorni il sindaco capirà se varrà la pena di giocare la partita ora, senza aspettare le prossime elezioni.

 

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