SANZIONI SGASATE - MENTRE GLI USA BASTONANO LA RUSSIA DI PUTIN, LA UE METTE SANZIONI SOFT A 15 PERSONALITÀ RUSSE COINVOLTE NELLA CRISI UCRAINA EVITANDO GLI ESPONENTI COINVOLTI IN AFFARI ENERGETICI - SOUTH STREAM PROSEGUE SENZA PIANO B

1 - NUOVE SANZIONI UE, PUTIN MINACCIA
Beda Romano per il "Sole 24 Ore"

Come previsto, l'Unione europea ha pubblicato ieri la lista di altre 15 personalità colpite dai Ventotto per il loro coinvolgimento nella crisi ucraina. Le persone sono esponenti russi e separatisti ucraini; e tra questi, personalità vicine al presidente russo Vladimir Putin.

La scelta ha provocato la dura reazione del Cremlino che ha accusato l'Europa di essere al soldo degli Stati Uniti, e Putin stesso ha affermato che se Usa e Ue insisteranno con le sanzioni, la Russia dovrà rivedere la presenza delle aziende europee e americane nei settori strategici della sua economia e in particolare nell'energia. Nel frattempo, nell'Est dell'Ucraina, separatisti pro-russi hanno preso il controllo della città di Luhansk.

Tra le 15 personalità spiccano i nomi di Valery Gerasimov, il capo di stato maggiore delle forze armate russe; di Ludmila Ivanovna Shvetsova, la vice presidente della Duma; e di Dmitry Kozak, il vice primo ministro russo. Non sono stati colpiti, tuttavia, i vertici dei gruppi energetici, a differenza di quanto non abbiano deciso lunedì gli Stati Uniti che hanno inserito nella lista delle persone sanzionate anche Igor Sechin, il presidente di Rosneft, di proprietà per il 20% dell'inglese BP (si veda Il Sole/24 Ore di ieri).

Ormai, sono 48 le persone colpite da sanzioni europee; le 15 annunciate ieri si aggiungono alle precedenti 33 personalità, tutte accusate di contribuire alla destabilizzazione dell'Ucraina, sulla scia dell'annessione della Crimea alla Russia. L'Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza, Catherine Ashton, ha spiegato ieri che la decisione, più morbida di quella americana di lunedì, è stata presa perché la Russia è venuta meno finora al suo impegno di raffreddare le tensioni in Ucraina.

Mosca è accusata di ammassare truppe alla frontiera con il paese e di sostenere la comunità russofona in vista di una annessione alla Russia. «Chiedo alla Russia di prendere misure concrete a sostegno dell'accordo di Ginevra», ha detto la signora Ashton. L'intesa firmata da Ue, Usa, Russia e Ucraina prevede tra le altre cose il disarmo delle milizie pro-russe nel paese. Dalla capitale russa, è giunta una critica alla Ue, accusata di subire le pressioni di Washington, più propensa di Bruxelles a sanzionare Mosca.

Il ministero degli Esteri russo ha fatto notare che «invece di costringere la cricca di Kiev a sedere al tavolo dei negoziati con il sud-est dell'Ucraina sul futuro del paese», Bruxelles è «agli ordini di Washington e ha adottato una serie di misure non amichevoli nei confronti della Russia. Non vi vergognate?». Mosca è convinta che l'Occidente non si renda conto di come nella complessa partita ucraina il ruolo di estremisti ucraini non sia da sottovalutare.

Per ora, l'ipotesi di sanzioni economiche rimane sul tavolo. Secondo Maja Kocijancic, portavoce della signora Ashton, la preparazione di queste misure è a uno stadio «molto avanzato». Dal canto suo, Jean-Christophe Gray, il portavoce del premier inglese David Cameron, ha spiegato: «Il passaggio» a questo tipo di sanzioni, molto controverse per l'eventuale impatto economico sull'Europa, «avverrebbe in caso di escalation molto molto seria, come per esempio una invasione militare diretta».

Sul terreno gli scontri tra comunità russofona e forze ucraine nell'Est del paese continuano. Separatisti pro-russi hanno preso ieri il controllo di numerosi edifici pubblici nella città di Luhansk. Secondo giornalisti sul posto, la polizia ucraina non è intervenuta. Intanto rappresentanti di Ue, Russia e Ucraina si incontreranno a Varsavia venerdì per una riunione sulla sicurezza delle forniture di gas russo. Il tentativo è di trovare punti d'incontro nonostante le gravissime tensioni politiche.

2 - SOUTH STREAM AVANTI, SENZA PIANO B
Antonella Scott per il "Sole 24 Ore"

Quando un tubo - nove tonnellate di acciaio lunghe 12 metri - viene fatto rotolare da una fase di controllo all'altra, il rumore che fa sembra un rombo di tuono. Ma a parte questo ogni altra eco resta lontana, che siano le preoccupanti notizie dall'Ucraina orientale o l'allargarsi della ragnatela delle sanzioni internazionali contro la Russia. La politica non vuole entrare negli impianti di Mülheim, bacino della Ruhr, dove la tedesca Europipe ha iniziato da poche settimane a costruire la prima delle quattro linee che comporranno South Stream.

Sarà Saipem a posare i tubi in fondo al Mar Nero. Ieri il gruppo italiano, che cura le connessioni alla terraferma di tutte le quattro linee, si è aggiudicato anche il contratto da 400 milioni per fornire lavori di supporto al secondo braccio, che verrà posato dalla svizzera Allseas: Saipem seguirà la predisposizione degli attraversamenti sottomarini dei tubi, il coordinamento dei cantieri di stoccaggio, il collegamento alle sezioni di approdo. South Stream si tufferà ad Anapa, costa orientale del Mar Nero a un passo dalla Crimea (e infatti Vladimir Putin già pensa di aggiungere una deviazione), e dopo 930 km riemergerà in Bulgaria.

Diritto per la sua strada, malgrado tutto? «Il cliente è estremamente determinato ad andare avanti», aveva detto pochi giorni fa Umberto Vergine, amministratore delegato di Saipem. E il cliente è la South Stream Transport B.V., joint venture con sede ad Amsterdam di cui fanno parte Gazprom (50%), Eni al 20%, i francesi di Edf e i tedeschi di Wintershall, con una quota del 15% ciascuno.

Il consorzio ha la responsabilità del tratto offshore, non delle parti del gasdotto che attraverseranno sulla terraferma i Balcani fino all'Italia, basandosi sugli accordi intergovernativi con Bulgaria, Serbia, Ungheria e Slovenia che hanno suscitato le obiezioni della Ue. Ed è solo alla South Stream Transport, nel quartier generale di Europipe, che fa riferimento l'amministratore delegato Michael Gräf a chi gli chiede se non è preoccupato per il possibile impatto di una crisi tra la Russia e l'Unione Europea. «Noi abbiamo un contratto con una compagnia olandese - taglia corto -. Abbiamo iniziato i lavori in aprile, li finiremo tra un anno. Le domande politiche non sono per noi».

È questa la linea: se a causa della politica il futuro è «fosco», come lo ha descritto Paolo Scaroni, le ragioni economiche e industriali di un progetto non cambiano per chi è impegnato a portarlo a termine. «L'intero impianto di Mülheim è dedicato a South Stream», dice Gräf.

Accanto alle controversie politiche, del resto, al gasdotto voluto da Putin per passare alla larga dall'Ucraina le sfide non sono mai mancate. «A questa profondità un gasdotto di queste dimensioni non era mai stato posato», racconta Jasper Jansen, portavoce di South Stream Transport, facendo notare come il Mar Nero abbia tra l'altro la caratteristica di scendere bruscamente e all'improvviso fino ai 2.200 metri.

«Per questo - aggiunge - nella scelta delle compagnie abbiamo cercato chi avesse già fatto questa esperienza».

Nell'impianto di Mülheim, è evidente che l'ordine South Stream - che significa lavoro per 700 persone - non è come tutti gli altri. Ludwig Oesterlein, responsabile dello stabilimento, illustra i procedimenti di controllo aggiunti specificamente per le condizioni in cui abiterà il gasdotto. Duemila tonnellate di lastre di acciaio (tedesco) entrano ogni giorno per uscire sotto forma di 240 dei 75mila tubi che comporranno la prima linea, e che dovranno sopportare una pressione interna di 300 bar, oltre a quella esterna.

Automatizziamo il più possibile, spiega Oesterlein, ma nei dettagli non si può fare a meno di un uomo: e sono uomini, non macchine, quelli che si infilano con una torcia in mano lungo quei 12 metri di acciaio di 81 cm di diametro per verificare visivamente che nessun difetto possa compromettere la tenuta del tubo, o la prossima saldatura. Una serie di test infinita, nulla sembra lasciato al caso.

Politica a parte, naturalmente. E se si bloccasse tutto? «No - dice Oesterlein - non abbiamo un piano B. Siamo dedicati a questo progetto completamente. Fermarlo, significherebbe fermare l'impianto».

 

 

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