1. MENTRE L’ULTIMO COMUNISTA RE GIORGIO DIRIGE IL PAESE, GLI EX PCI AZZERATI DAL GOVERNO LETTA E DALLA STORIA. C’È SOLO ZANONATO, UN SINDACO-SCERIFFO DA PADOVA 2. STREPITOSO “ROMANZO DELLA SCOMPARSA” DI STEFANO DI MICHELE: “NIPOTI DEL DIO MIGLIORE RIDOTTI A FIGLI DEL DIO MINORE. DALLA “FATTORIA DEGLI ANIMALI” DI ORWELL ALLA “FATTORIA IA-IA-O”, CON BERSANI ZIO TOBIA CHE TIENE INSIEME ASINI, CAPRE E CAGNOLINI 3. NON REGGE UNA NAVE CHE NELLA STIVA NASCONDE UNA SCHIERA DI 101 TRADITORI 4. IL PD È PASSATO DALLA FORMULA1 ALLO SFASCIACARROZZE, ANCHE GRAZIE ALLE PRIMARIE 5. UN PARTITO CHE CERCAVA LA SOLUZIONE NEL MITO DELLA “SOCIETÀ CIVILE”, QUASI CHE SI VERGOGNASSE DEL SUO STESSO ESSERE PARTITO, E DA QUESTA È STATO ZAVORRATO POI SFOTTUTO E INFINE ANNEGATO. VEDI LE BEFFE DI GHERARDO COLOMBO IN RAI

Stefano Di Michele per "il Foglio"

Però guarda che quello è un compagno...". "Quello chi?". "Quello lì, quel ministro lì, come cazzo si chiama?, Grey, mi pare...". "Quella è la cera... Vuoi dire Bray?". "Sì, quello... Aho, sta con D'Alema...". "Beh, allora...". E' contabilità stitica, quella che ci tocca in questi giorni, visibilità micragnosa - povera misura, in un governo di dismisura democristiana; imponderabile peso, in un governo di pesi berlusconiani. Noi non ci siamo più - cancellati dal passare del nostro evo dalla dissennatezza dei nostri comportamenti.

Estinti: come il bue primigenio, come il ghiro gigante di Minorca, come la tigre del Caspio, e pure ognuno di questi pareva inestirpabile. Qualche fossile ancora riemerge, nelle cronache dei giornali, qua e là: in un ministero, in un sottosegretariato: fossili di difficile attribuzione, peraltro, ossetti di complessa catalogazione. Sta con D'Alema, dicono - e succede di pensare: sì, era il Pleistocene. Non siamo andati poi così lontani, come sempre ci raccontavamo, e come per decenni abbiamo sperato.

Ci siamo consumati - stoppino che solo faticosamente ancora arde, cera che cola a terra, costellazione persa nello spazio. Come i segni zodiacali, ognuno ancora ne parla e nessuno li ha mai visti. E' come l'Acquario, ormai, Veltroni: speranze millenarie. E' Ariete infuocato e innocuo, D'Alema. E' un Toro inoffensivo, Bersani. E' stato il colossale Titanic del post-post-post comunismo italico, quello di questi giorni: e ogni recupero appare difficile, e nessun miliardario matto, come nessun sommovimento politico, potrà clonarci e riportarci a stupire e a impensierire le carogne padronali, nemmeno chiusi e sigillati in un nostro apposito Jurassic Park.

E' rassegnata Bilancia, la Turco. E' inquieta come Pesci nella rete, la Finocchiaro. E' un Leone inoffensivo e stanco, Violante. E' un enigmatico Sagittario, Cofferati. Siamo ormai, chi più chi meno, come "I compagni" volenterosi e tristi di Mario Monicelli: pasticcioni e sconfitti e dolenti. Nemmeno l'onore delle armi, piuttosto un processo di dimenticanza che già si avverte nell'aria.

Non uno di noi (di noi, si capisce, con nome e cognome e storia) al governo, al più qualche ombra avvolta in una sorta di neo nicodemismo, come una volta si poteva al massimo aspirare a far ministro qualche figurina maiolicata della Sinistra indipendente. Ma almeno lì era una scelta (opportunistica o felice, comunque una scelta). E adesso, ora che Letta si fa Davide e mira alla fronte di Golia, non possiamo neanche trarre consolazione dalla sorte dell'evangelico chicco di grano che muore per germogliare: difficile dare ancora qualche frutto, solo tristemente destinato a marcire tra le zolle.

Noi che fummo comunisti, e gli indifferenti gramscianamente odiavamo, nell'indifferenza rischiamo di precipitare. Le cose ci superano, sul bordo della strada si guarda gli altri passare. Ci cercano ancora - chi a lamento, chi infine a godimento - giusto i nostri cari, quelli che spartirono chiacchiere e speranze e cortei: per nome e cognome ci invoca dolente Emanuele Macaluso, persino richiamando l'alba togliattiana, persino riecheggiando il sole berlingueriano, persino riconvocando la sacralità della Iotti; per nome e cognome ci indica maliziosamente Achille Occhetto (che prima di ognuno l'indifferenza feroce scontò); per nome e cognome ci cataloga Michele Serra, "non rimane, nel consociativismo lettiano, alcuna presenza riconoscibile e significativa".

Evocati, non rispondiamo nemmeno più. Partiti a conquistare il mondo, e a raddrizzare le gambe all'ingiusta società, dal mondo siamo stati presi e dalla società ingurgitati.

Una situazione buffa, prima ancora che tragica e triste: il dissolversi di tutto mentre sopra a tutto e a tutti, nella perigliosa situazione, domina la figura e lo spirito del più illustre di chi comunista fu - seppure a caratura migliorista: il comunismo nostro di cuore messo a misura dello stomaco della realtà circostante: quella di Giorgio Napolitano, benefico mago Merlino che saggiamente apparecchia la Tavola Rotonda del benemerito governo di Letta Jr., e come primo effetto siamo finiti in cucina, in attesa del trasporto in soffitta.

Una tragedia, quella della nostra dissoluzione, che per ora ha soprattutto i toni della farsa: non tanto e non solo il destino cinico e baro, piuttosto i comportamenti cinici e stupidi. Siamo parecchio lontani dalla "fattoria degli animali" di Orwell, lontani davvero, piuttosto dalle parti della "vecchia fattoria ia-ia-o", ché pure visivamente, dalla libera pelata al sigaro toscano, il buon compagno Bersani ha qualcosa dello zio Tobia che faticosamente ha tenuto a bada il suo esercito di asinelli e caprette e cagnolini che alla fine i recinti hanno sfondato e i campi invaso, in un incomprensibile groviglio di ragli e belati e bau-bau - e meno accorti di asinelli e caprette e cagnolini si sono infine mostrati.

Noi che fummo comunisti amavamo una sorta di ordine superiore, quella certa disciplina che esaltava l'insieme e sottovalutava il singolo - e a ragione, pare, avendo visto negli ultimi anni molti singoli elevarsi a strateghi, pensatori, altrui moralizzatori. Ognuno di qualcun altro sempre a farsi insegnante e pedagogo, a lanciare avvertimenti e suggerimenti, a piantar grane e a piantarsi davanti alle telecamere. Il senso della misura (della propria misura, innanzi tutto) si è perso, il senso del ridicolo si è spesso smarrito. Sotto il peso di velleità e supponenze la barca nostra si è schiantata - né ci sono, pare, gommoni buoni per il ripescaggio dei naufraghi, né, si sospetta, alcuno abbia intenzione di mettere in mare quelli disponibili.

Saremo certo altrove, ma senza poter più essere davvero noi. Fummo pure insopportabili, in certi momenti della nostra gloria, ma mai quanto in questa fase terminale. Non regge, una nave che nella stiva nasconde, anziché il suo esercito, una schiera di 101 traditori, altro che "peso morto della storia", il peso vivo (persino strisciante) delle piccole cronache quotidiane.

Non liberi pensatori, non meravigliose temerarie coscienze, non azzardati innovatori: ma plaudenti che attendono l'ombra per colpire, piccole figure che non hanno saputo rivendicare la loro scelta. Così nei giorni che alle beatitudini politiche parevano condurre, si è prima assistito al massacro di Franco Marini, poi a quello incredibile dell'inventore dell'Ulivo, Romano Prodi, poi alle dimissioni del leader del partito che doveva diventare capo del governo, Bersani.

Un vortice di lame e insinuazioni e veleni, un triplo colpo mortale che, non ci avessero pensato da soli i democratici complottisti e pasticcioni, roba così nemmeno Berlusconi, in stretta intesa politica con Godzilla e Thor, avrebbe potuto ottenere. Eravamo saldi e gagliardi appena tre mesi fa, ora visto da fuori il Pd sembra "La caduta della casa degli Usher" di Poe - un luogo di spaventi, di sinistri cigolii, di fantasmi inquieti, spettrale e instabile, quasi in attesa di finire anch'esso inghiottito dal "profondo stagno" che l'attende ai suoi piedi.

Nella nostra partita finale ci siamo dimostrati inadatti e dissipatori e tragicamente teatrali: con iscritti che bruciavano pubblicamente le tessere, "compagni di strada" (una volta la qualifica toccava a Luchino Visconti, adesso a Gherardo Colombo) che minacciavano di prenderla, la tessera, per il gusto di stracciarla: una "linea d'ombra" che sempre più si avvicinava, fino a inghiottirci del tutto.

E forse ci siamo smarriti, e infine definitivamente perduti, noi che fummo comunisti, anche perché nessuna forma della nostra antica educazione politica abbiamo saputo preservare. Se non hai un leader assoluto - fosse carismatico, fosse miliardario e padronale - ancor di più il partito deve essere una cosa seria, vera, ordinata. Non una stupida caserma, ma almeno una sensata organizzazione.

Il perenne "tana libera tutti!" che ci ha condotto dalla pista della Formula Uno al deposito dello sfasciacarrozze ha forse origine anche nel fantasmagorico "Hellzapoppin" della saga delle primarie, che ha finito con l'infeudare l'intero partito in piccole baronie territoriali, insignificanti signorie locali, ducati in fiamme - senza grandezza né letteraria né politica.

Così che ogni eletto di gruppi separati - a volte reali, a volte virtuali - è finito ostaggio. Eletti dalla corta corda, incatenati alla sorte di conventicole vocianti, vigilati a vista: non dalle masse, figurarsi, piuttosto dalla loro stessa vanità di politici irrisolti, politici per caso che si trastullano con la modernità tossica e mediatica dell'antipolitica, così che le responsabilità si azzerano. E della gloria cronachistica di essere portavoce di qualunque attruppata ciarlante anziché dirigente ci si veste e ci si pavoneggia.

Luciano Lama andò a prendersi i colpi dei sampietrini degli autonomi - perché prima di tutto una linea politica la difendi dagli esaltati - certi di questi danno l'idea, in nome della piazza, di poter dare una mano allo smantellamento del manto stradale. Un partito che credeva di trovare la soluzione nel mito della "società civile", quasi che si vergognasse del suo stesso essere partito, e da questa è stato prima zavorrato e poi sfottuto e infine annegato - e lo stesso Bersani, pure della storia comunista quasi figlio prediletto, o almeno figlio ultimo, su tale fronte (caso Rai) ha abdicato.

E ciò che si doveva dirigere ha finito col dirigere. La storia che fu comunista si chiude qui - e non per chiacchiere politologiche o per opportune dissimulazioni (è tra le arti nobili della politica, la dissimulazione). Si chiude qui perché gli eventi ultimi hanno dimostrato che per gli uomini e le donne che vengono da quella storia non c'è posto, in nessun posto - nipoti e pronipoti del Dio Migliore ridotti al rango di figli del Dio Minore.

Attaccati ai tweet in attesa di farsi uscire la voce (140 patetiche battute senza mai essere né Stanislaw J. Lec né Oscar Wilde) - come certi agli ossi oracolari in Cina o ai granchi d'acqua dolce in Camerun o agli editoriali di Marco Travaglio - hanno mostrato una singolare tendenza a riprodurre, anziché a produrre. Forse figli di troppo passato, noi che fummo comunisti, per essere così nel mondo - e la modernità che una volta si voleva insensatamente indirizzare ci ha mutati in deboli e patetici. E nessun rassicurante, salvifico "contrordine compagni!" è ormai più possibile.

 

BERLUSCONI HA CACCIATO I FASCISTI DAL PARLAMENTO E I COMUNISTI DAL GOVERNOie11 bersani lettaENRICO LETTA E GIORGIO NAPOLITANOENRICO LETTA E SILVIO BERLUSCONIBERSANI PRODI A MILANO GHERARDO COLOMBO Sergio Cofferati - Copyright PizziMassimo Dalema FLAVIO ZANONATOmatteo renzi FRANCO MARINI E PIERLUIGI BERSANI Stefano Rodota DALEMA - OCCHETTO - BERSANI - LA GIOIOSA MACCHINA DA GUERRA

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