UN MINISTRO DI TERZI CATEGORIA

Irene Guetta per "Libero"

Dicono che il ministro Giulio Maria Terzi di Sant'Agata sia permaloso e vendicativo con i giornalisti che scrivono male di lui. Pazienza. Certo, il bergamasco classe 1946, laurea in Giurisprudenza con specializzazione in diritto internazionale, non è aiutato dal fatto di essere il peggiore ministro degli Esteri dell'Italia repubblicana.

Fatto incontestabile da giovedì, quando il resto del governo è arrivato al punto di scavalcarlo e di restituire i marò all'India senza avvertirlo: si capisce chiaramente da come reagisce sulla sua pagina Facebook. Gli chiedono conto della notizia che lampeggia sulle agenzie e risponde: «Strano che il ministro degli Esteri non ne sappia nulla...».

Poi aggiunge un faccino, un po' triste, un po' incredulo. Del resto si legge anche nel comunicato ufficiale del governo che Giulio Maria Terzi di Sant'Agata è stato estromesso nel momento più critico, quello dell'incontro con i marò per avvisarli che stavano per essere riconsegnati nelle mani degli indiani, dopo le due settimane di grande illusione assieme alle famiglie: «Oggi il Presidente del Consiglio Mario Monti, insieme al Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola e al Sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura, ha incontrato i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, per valutare congiuntamente la posizione italiana e i risultati delle discussioni avvenute tra le autorità italiane e quelle indiane».

Insomma: il premier Mario Monti, il ministro della Difesa e il blando Staffan de Mistura, il sottosegretario della Farnesina che di fatto avrebbe commissariato il suo capo sul dossier marò. Risultato: Giulio Maria Terzi di Sant'Agata sarebbe così diventato un ministro a cui succedono le cose a sua insaputa (lui ieri a Sky ha negato e ha parlato di «decisioni collegiali») come prima Claudio Scajola, a cui pagavano una casa senza che lui sapesse nulla - e che però con uno scampolo di stile in più si dimise.

Incorreggibile. Lui no, non si dimette, «non ne vedo il motivo» dice. Anzi, ieri ha rilanciato con un'intervista penosa a Repubblica in cui sostiene che ora le cose sono cambiate, «sono sotto una luce diversa» e in cui accenna all'idea che i due marinai adesso godono di garanzie maggiori grazie a un misterioso patto con l'India e non corrono più il rischio di essere condannati a morte.

Peccato che il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, lo abbia smentito un paio di ore dopo, dicendo che non esiste nessun patto con l'Italia e che è felice che i due militari siano restituiti per essere giudicati - notando di passaggio che secondo la giurisprudenza indiana «la pena di morte è rarissima in questi casi». Viene in mente un messaggio tronfio lanciato dal ministro su Twitter l'11 marzo: «La giurisdizione è italiana. Disponibili a trovare soluzioni con India in sede internazionale. Intanto i nostri marò restano in Italia».

Restano in Italia: come no. La verità è che Giulio Maria Terzi di Sant'Agata ha provato a forzare la mano al governo fidando che Monti fosse troppo preso nella caccia agli incarichi per i compiti di governo, e avrebbe voluto farlo fin dalla licenza di Natale, ma gli è andata male. Voleva salvare l'immagine e non essere ricordato come il ministro dei marò, ma si è infilato - e con lui il suo governo a partire da Monti - in un pasticcio di proporzioni incredibili per la storia della diplomazia occidentale.

Il suo smacco ora è doppio. E certamente peserà sul seguito della sua carriera, che Giulio Maria Terzi di Sant'Agata vorrebbe così disperatamente continuare in politica. Tanto che fece circolare per una settimana voci sulla sua candidatura imminente con il Pdl - che però alle Politiche ha candidato chiunque tranne lui. Ora, pare voglia correre a sindaco di Bergamo.

«Ho sbagliato a votare». Twitter e Facebook lo hanno fregato più volte. Il ministro avrebbe dovuto lasciare perdere quest'ansia di mostrarsi moderno e che invece lo ha reso così goffo. I giornalisti ricordano ancora quando il personale della Farnesina spediva mail per avvisarli che il capo aveva appena scodellato un nuovo messaggio su Twitter (come spedire un telegramma per dire che si sta per telefonare).

O quando, ospite al Meeting di Rimini, fece saltare un appuntamento istituzionale col presidente dell'Onu Nassir Abdulaziz Al- Nasser perché impegnato a cena con sua moglie. O ancora la volta che si complimentò con Hillary Clinton per l'atterraggio della sonda Curiosity su Marte, con un messaggio ufficiale che ricordava il ruolo dell'agenzia spaziale italiana, come a dire «della festa anch'io sono parte».

Tanto tecnologico che poi finiva spaesato nel seggio di Brembate, dove le cronache locali raccontano che il 24 febbraio sia uscito dalla cabina elettorale con la scheda in mano e abbia chiesto con imbarazzo se poteva averne un'altra: «Ho sbagliato a votare». Ah, il governo dei tecnici. Che poi questa gentilezza che Giulio Maria Terzi di Sant'Agata fosse un tecnico, arrivato al governo Monti grazie al suo essere un diplomatico di carriera, è da sfatare.

Terzi ha semmai usato il suo ruolo di ambasciatore per prepararsi un futuro politico. Prima organizzando il viaggio in Israele che sdoganò definitivamente Gianfranco Fini nel 2003 (l'irresponsabile della Farnesina allora era ambasciatore a Gerusalemme), poi sondando il terreno negli Stati Uniti sempre per conto di Gianfranco Fini, in cerca di una sponda politica oltre Atlantico (era il 2010, il ministro era ambasciatore a Washington). Quando Fini è evaporato nel nulla, il «tecnico» è rimasto nudo, senza copertura e ha provato a fare da solo. Con questi risultati.

 

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