LA “MISSION IMPOSSIBLE” DI BERSANI TRA GRILLO E LEGA

Francesco Bei e Goffredo De Marchis per "La Repubblica"

Bersani resta aggrappato all'idea di un'intesa con Grillo. Ma già domani il voto sulle presidenze delle Camere segnerà il suo destino. Al segretario del Pd non è andato giù il diktat di Mario Monti: niente Grillo, al paese servono le larghe intese. Confermando ciò che aveva detto al leader democratico nel loro incontro a quattr'occhi a palazzo Chigi: «Io ti sostengo Pierluigi, ma è difficile unire i nostri voti a quelli di chi vuole uscire dall'euro».

Adesso che la posizione del Professore è ufficiale, Bersani è costretto a registrare un problema in più: «Il ragionamento di Monti non semplifica il cammino della legislatura».
Oltretutto anche nel suo partito stanno cambiando gli equilibri faticosamente stabiliti appena una settimana fa in direzione.

Oggi il Pd riunisce i gruppi di Camera e Senato. Lì Bersani dovrà indicare ai suoi parlamentari i nomi da votare il giorno successivo a Montecitorio e Palazzo Madama. Se non ci saranno aperture inaspettate da parte dei 5stelle, molti deputati sono pronti a mettere in minoranza l'eventuale indicazione di un presidente della Camera grillino. I democratici hanno un nome per quel posto: Dario Franceschini. E in queste ore si sta saldando un asse interno che punta a questa soluzione. Senza se e senza ma.

A Largo del Nazareno stanno prendendo atto di essere stretti nella morsa tra Grillo e Scelta civica. I montiani, dopo le dichiarazioni del premier, sono diventati improvvisamente una variabile incontrollabile e al Senato potrebbero convergere i loro voti su un candidato Pdl se il Pd non mollasse definitivamente il sogno a 5stelle. I nomi su cui si potrebbe costruire un'intesa tra Scelta Civica e Pdl? Gaetano Quagliariello, che però ha l'handicap di aver partecipato alla "marcia" anti-pm fin dentro il Tribunale di Milano. Oppure Renato Schifani, una conferma.

A questo punto, il Pd è chiamato a sciogliere il nodo nel giro di ore, minuti. La tenaglia può alla fine premiare la scelta più semplice, la strada maestra. «Votare alla Camera e al Senato due dei nostri », dicono ora a Largo del Nazareno. I candidati sono in pista da giorni: Franceschini e Anna Finocchiaro. Sicuramente, aiuterebbe l'orgoglio del Pd, dopo la vittoria dimezzata. È un sentimento che si è avvertito forte e chiaro durante l'assemblea degli eletti, lunedì. Anche Matteo Renzi, che oggi riunirà all'hotel Cavour i suoi cinquanta parlamentari, continua a martellare contro Beppe Grillo e "tifa" per non lasciare Montecitorio nelle mani del M5S.

Se da una parte il segretario Pd continua in pubblico a puntare unicamente sulla carta Grillo, il tam tam romano rilancia l'ipotesi di una nuova, clamorosa, sponda. E proprio nel giorno dell'incontro tra gli sherpa del Pd e quelli del Carroccio. La possibilità
cioè di un'apertura alla Lega in vista del voto di fiducia. «Loro - spiega una fonte democratica - sono interessati a far partire la legislatura ed evitare nuove elezioni a breve.

A Maroni serve tempo per consolidare il suo progetto di trasformare il Carroccio in un partito come la Csu bavarese». Per questo i leghisti, senza rompere con Berlusconi, potrebbero concedere una fiducia "tecnica" a Bersani per iniziare il suo cammino a palazzo Chigi. Ipotesi quasi fantascientifica, ma che rende bene la dimensione della difficoltà che incontra il segretario nel suo tentativo.

Chi ha parlato con Bersani lo descrive sempre più pessimista, ma determinato comunque a provarci e a chiedere a Napolitano un «mandato pieno» per potersi presentare in Parlamento e ricevere un voto. Consapevole della "mission impossible" che si è caricato sulle spalle, il leader del Pd è già pronto comunque a passare la mano. Ma prima ha in mente di «proiettare il film fotogramma per fotogramma: tutti i passaggi di questa vicenda dovranno essere giudicati dagli italiani».

E se dovesse fallire ha in mente un'ultima mossa per aiutare il suo successore a formare una maggioranza, «lasciando una porta aperta alle larghe intese per chi verrà dopo di me». Insomma sarebbe proprio Bersani a certificare l'impossibilità di coinvolgere i grillini in un progetto di governo e a orientare la
bussola del partito in un'altra direzione. Verso Monti e, necessariamente, il Pdl.

Nel Pd, nel caso il segretario dovesse gettare la spugna, si ipotizza un incarico ad un altro esponente del partito, uno dei due presidenti delle Camere: Anna Finocchiaro o Dario Franceschini. Mentre l'idea di affidare di nuovo palazzo Chigi a un tecnico - si fanno i nomi di Fabrizio Saccomanni (Banca d'Italia) o Pier Carlo Padoan (Ocse) - non trova alcun consenso. «Già ci siamo dissanguati con Monti - dicono al Nazareno - il governo dei tecnici ha fatto il suo tempo».

Ma alla fine di una giornata complicata, i fedelissimi di Bersani non smettono di guardare al Movimento. Hanno seguito con il fiato sospeso la riunione dei grillini tenuta al Senato, soprattutto la sua durata. È stata molto lunga. «Non significa che andrà in porto il nostro tentativo - dice un bersaniano - . Ma significa che c'è una discussione aperta nei 5stelle, un confronto vero ». E che se al voto sulle Camere mancano solo 24 ore, per l'inizio delle consultazioni al Quirinale ci sono ancora quattro giorni. È uno spiraglio.

 

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