MONTI SI RIMANGIA (DI NUOVO) LA SUA PAROLA E DIVENTA PRESIDENTE DI QUEL CHE RESTA DI SCIOLTA CIVICA

Da "Il Fatto Quotidiano"

La parabola di Mario Monti sta in tre flash: il 4 gennaio 2013 presenta, nel craxiano hotel Plaza di Roma, il simbolo del suo partito, Scelta Civica: "Oggi non è nato nessun mio partito personale, ma solo il tentativo di avvicinare i cittadini alla politica". Seconda scena: domenica 14 aprile 2013, nel salotto tv di Fabio Fazio su Rai3: "Non sono mai stato il presidente di Scelta Civica, non sarò né presidente, né segretario".

Ieri il terzo, malinconico, atto, riassunto in una nota stampa: "Mario Monti ha comunicato che ha riflettuto sulla richiesta rivoltagli da tempo da molti eletti e aderenti di assumere il ruolo di Presidente di Scelta Civica". I partecipanti all'assemblea del partito, ovviamente, lo hanno acclamato all'unanimità.

Le evoluzioni di Monti sono così rapide - da riserva della Repubblica a tecnico a politico, da salvatore della Patria a relitto politico radioattivo - che è difficile seguirle. Ma la fotografia di oggi è questa: Scelta Civica è diventata ufficialmente un partito personale, dopo aver perso tutte le componenti del cartello elettorale che voleva il bis del Professore a palazzo Chigi.

Il Futuro e libertà di Gianfranco Fini è stato spazzato via dal voto del 25 febbraio. Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo ha annunciato il divorzio in modo plateale, con un editoriale firmato dal presidente della Ferrari e dall'economista Nicola Rossi: "Italia Futura è nella politica, ma al di fuori dei partiti, e non è, non può essere, non vuole essere la "corrente" di nessun partito". L'associazione ha dato il suo contributo e - dopo aver piazzato un viceministro, Carlo Calenda, nel dicastero dello Sviluppo strategico per gli interessi montezemoliani - si defila, prendendo le distanze da Monti e da Scelta Civica.

L'Udc di Pier Ferdinando Casini non ha mai completato la sua integrazione con Scelta Civica e, anzi, ha iniziato un lento ma progressivo riavvicinamento al Pdl di Silvio Berlusconi. Monti ha perso anche il suo alleato più prezioso, il capo dello Stato Giorgio Napolitano: una prima frizione c'è stata con la scelta di candidarsi alle politiche, lo scontro esplicito con l'autocandidatura alla presidenza del Senato dopo il voto (il Quirinale non poteva accettare che il premier in carica per gli affari correnti volesse lasciare palazzo Chigi, aggiungendo caos al caos).

E adesso cosa resta a Monti? Le ambizioni del Professore sono sempre state notevoli, ma ora si scontrano con la limitatezza dei mezzi. Il Professore ha sempre lasciato intendere che una sua nuova candidatura alla premiership, anche in caso di elezioni anticipate, era poco probabile. Per le cariche istituzionali ci sono pochi margini: anche se il governo Letta vivesse i 18 mesi previsti e poi si andasse a votare, con dimissioni di Napolitano, Monti avrebbe poche possibilità di andare al Quirinale.

Ma ci sono le elezioni europee del 2014: lì Scelta Civica ci sarà, Monti può sperare di tornare a Bruxelles (magari da presidente del Consiglio europeo). Ma c'è un dettaglio difficilmente superabile: Mario Draghi, presidente della Bce, è italiano. E due italiani in posizioni di vertice sarebbero troppi. Ma tentare è lecito.

 

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